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È il “premierato delle indecisioni” in salsa Giorgia Meloni

by Carlo Maria Persano
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Roma, 18 nov – Il governo ha presentato la riforma elettorale del “premierato”, ovvero per l’elezione diretta del Presidente del Consiglio, ma la proposta è zeppa di vaste indecisioni dettate dalle solite paure della Meloni. Vediamo di che si tratta.

La riforma prevede cinque punti

L’elezione diretta del premier, oggi invece designato dal Presidente della Repubblica. In pratica il candidato premier è già espresso nella scheda elettorale. Una legge elettorale con premio di maggioranza al 55% senza ballottaggio e senza per il momento specificare una soglia minima di voti da ottenere. Una norma anti ribaltone in base alla quale, in caso di mancanza di voti in Parlamento per il premier appena eletto, verrebbe designato un secondo premier eletto in Parlamento, escludendo quindi la possibilità di un tecnico non eletto. Con un massimo di due premier per legislatura. La modifica dei poteri del capo dello Stato che non nomina il premier eletto ma nominerebbe l’eventuale premier in sostituzione del premier eletto. Lo stop alla designazione di nuovi senatori a vita.

Premierato: tre punti su cinque preannunciano confusione

Come visto per decenni, l’attuale Costituzione ha provocato equivoci e giochi sotto banco nella gestione del potere da parte dei governi. Da qui l’esigenza di rendere più efficaci le prerogative del premier e dei suoi ministri. Ma la proposta del governo Meloni va nella stessa direzione degli schemi passati. Vediamo perché.

L’ELEZIONE DEL PREMIER COME SINDACO D’ITALIA

L’elezione diretta del premier tramite la scheda elettorale è un punto della riforma chiaro e senza equivoci, e il collaudato funzionamento per l’elezione dei sindaci darebbe tranquillità agli elettori.

UN ALTO PREMIO DI MAGGIORANZA SENZA IL BALLOTTAGGIO

Con questo punto iniziano i problemi. Infatti si vuole attribuire alla coalizione (o al partito) che ha vinto le elezioni un premio di maggioranza del 55% senza aver stabilito una soglia minima di voti da ottenere. In pratica, se si presentassero cinque coalizioni con un forte sparpagliamento dei voti, la coalizione vincente potrebbe aver preso anche solo un 15% di voti ma ne riceverebbe il 55%. Con una palese ingiustizia agli occhi degli elettori.

In più, non è prevista la formula del ballottaggio dove gli elettori passano dalla scelta di chi vogliono alla scelta di chi non vogliono, in stile Le Pen-Macron come in Francia. Sicuramente odiosa, ma inevitabile se si vuole eliminare la sensazione di governare con una manciata di voti.

RESTANO TROPPI POTERI AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

Nelle dichiarazioni elettorali della Meloni c’era l’elezione diretta del Presidente della Repubblica, poi mutata in elezione diretta del premier.

Con la riforma proposta, il Presidente della Repubblica verrebbe ancora eletto dai parlamentari e dai rappresentanti regionali, con invece un premier “eletto dal popolo”. Rilevato questo aspetto etico e psicologico, la riforma lascia timidamente quasi inalterati i poteri del Presidente della Repubblica. Vediamo quali sono i principali e quali potrebbero essere gli effetti.

Capo dell’esercito. Capo del Csm, ovvero capo della magistratura. Nomina dei ministri di governo. Nomina del secondo premier subentrante. Diciamo subito che, da decenni, il Presidente della Repubblica nomina un ministro dell’Economia solo se è completamente gradito a Bruxelles. Non se è competente, ma solo se è gradito. Poco tempo fa fu bocciato l’economista Savona perché ritenuto in grado tecnicamente di far uscire l’Italia dall’Euro e, al suo posto, fu scelto l’incompetente Gualtieri, sicuramente incapace per quell’operazione. Questa situazione si ripeterebbe pari pari.

Anche per la nomina del secondo premier ci sarebbero le stesse operazioni di corte già viste e riviste. Per far cadere un premier si cercherebbero i soliti franchi tiratori all’interno della coalizione di governo. Poi il Presidente della Repubblica sceglierebbe il secondo premier tra i parlamentari che gli hanno dimostrato amicizia, tipo Crosetto, e il gioco è fatto. Il Crosetto della situazione, benché non eletto come premier, avrebbe anche più poteri del premier eletto perché lui sarebbe l’ultima scelta se non si vuole lo scioglimento delle Camere, con la solita solfa della pensione minima per i parlamentari, che quindi se lo terrebbero a tutti i costi.

Perché non si vogliono togliere i poteri a Mattarella

La scusa retorica è che il Presidente sarebbe il garante dell’unità nazionale. In realtà, questa riforma costituzionale dovrebbe essere votata da 2/3 del parlamento e non ha quei  numeri: di conseguenza, si dovrebbe andare a un referendum come fece Renzi. Pochi lo dicono, ma il timore della Meloni è che Mattarella si dimetta in contrasto con la riforma e venga presentato al referendum come l’alternativa alla Meloni. Può essere che la Meloni abbia il coraggio di sfidare un Mattarella che, alla Scala di Milano, ha preso sei minuti di applausi continuati (contate il tempo e rabbrividite) da tutte le “sciure” della ztl milanese??

Stiamo parlando di quella Giorgia che prima diceva “guai al Mes” e oggi dice “votiamolo tanto poi non lo usiamo”. Che prima diceva “blocco navale” e poi ci dice “accoglienza diffusa”.

Eh sì, magari avremmo necessità di una riforma che ci proteggesse dalle bugie elettorali. Un commento solo per le teste calde sulla nomina dei senatori a vita. Con l’attuale Costituzione, i senatori nominati (anche non fossero a vita), appaiono come una parodia della monarchia, dove il Presidente si sostituisce al re che nominava conti e marchesi invece dei senatori, mentre in una Costituzione rivoluzionaria (ecco le teste calde), la nomina estesa di una parte del parlamento da parte di tribulali premianti, rappresenterebbe la realizzazione di uno Stato etico. Si supererebbe così della finta meritocrazia liberale. Quindi, no ai senatori a vita in un contesto di farsa liberale, ma sì in altro contesto.

Carlo Maria Persano

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