Roma, 23 ago – Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha paragonato il Pnrr alla pianificazione sovietica. Dunque ai piani quinquennali di approccio comunista, per intenderci, dal momento che la pianificazione non è stata certo un’esclusiva del sistema sovietico (anche la Germania nazista era dotata di un modello di pianificazione quadriennale, la differenza è che controllava solo una parte dell’economia e non il sistema del mercato nella sua totalità). Non si è trattato di un paragone assoluto, è bene precisarlo per dovere di cronaca, ma di un parallelismo “filosofico”. Andiamo con ordine.
“Pnrr evoca la pianificazione sovietica”: Giorgetti duro contro le regole Ue
Andrebbe ricordato quanto sia singolare che affermazioni tanto critiche provengano proprio da uno degli elementi più europeisti di un governo già di per sé spiccatamente europeista. In ogni caso, ciò può essere letto anche come un raffronto – durissimo – con la realtà. Facile approvare qualsiasi cosa che provenga da Bruxelles, quando poi però ci si deve fare i conti – e da titolare di un dicastero – è altrettanto semplice non poter fare a meno di notare “magicamente” i suoi limiti. E allora ecco che si devono fronteggiare ogni anno le regole folli di Maastricht, dunque con l’impossibilità di fare spesa pubblica perfino per chi abbia – come Giorgetti – un orientamento apertamente liberale e liberista – ecco che bisogna fare i conti con la “metà” del Pnrr che dovrà essere restituita con tanto di interessi. Ma cosa ha detto il ministro?
Anzitutto, non si è trattato di un pensiero troppo articolato, stando a quanto riportato dall’Ansa, ma di una battuta, proferita al meeting di Rimini. In secondo luogo, il ministro ha usato il verbo “evocare”, dunque non ha fatto un paragone diretto. Le parole precise ad oggi riportate sono le seguenti: “Potrei riempirvi di titoli di piani e progetti che ricordano i piani quinquennali dell’Unione sovietica, scusate la battuta”.
Poi ha aggiunto considerazioni sulle difficoltà a stare dietro alle regole europee e a espandere i progetti di politica economica. Testuale: “Abbiamo fatto un’enorme fatica” per estendere Industria 5.0 “rispetto ai diktat di Bruxelles”. Critiche anche al nuovo Patto di stabilità: “Il pensiero lungo non è adeguatamente valutato e ci costringe a decisioni di politica di bilancio inevitabilmente di corto respiro“. Insomma, quello che sappiamo da tempo: non ci sono mai i “piccioli”, con le regole europee. E senza piccioli si fa poco. Al governo però c’è lei, caro Giorgetti, non qualcun altro. E la responsabilità di aver fatto passare la riforma del Patto è sua come dei suoi colleghi.
Quanto è vero?
Veniamo al punto: quanto è “realistica” la battuta di Giorgetti? Se non avesse usato il verbo “evocare” ma qualcosa di direttamente raffrontabile (esempio: “Il Pnrr è come la pianificazione sovietica”) sarebbe stata una sciocchezza, perdonabile solo per il contesto sarcastico.
La “evocazione” cambia le carte in tavola e spinge a una riflessione. Cominciamo col dire che la pianificazione sovietica non c’entra nulla col sistema di Bruxelles perché a suo termpo essa lavorava su un piano completamente diverso, quello delle società del cosiddetto socialismo reale e di una progettazione, quella quinquennale, che salvo alcune eccezioni controllava completamente l’economia, privata perfino della domanda e dell’offerta e con valute di scambio – o monete – sostanzialmente solo simboliche. Lo Stato decideva cosa produrre e quanto, di conseguenza anche quanto di esso dovesse essere consumato. Il mercato nel senso vero del termine non esisteva.
L’Ue si trova ad operare ovviamente in un contesto in cui le regole di mercato sono vivissime (come del resto, in qualsiasi sistema economico che non sia stato quello comunista praticamente dall’affermazione delle monete come mezzi di scambio). Semplicemente, essendo animata da un apprroccio tendenzialmente ordoliberista, essa considera lo “Stato minimo” un mezzo per applicare le sue regole, sui bilanci e sul resto. Il che comporta conseguenze che conosciamo da decenni: montagne di tasse da un lato. tagli enormi alla spesa pubblica dall’altro. Il punto è che il sistema id “controlo” dell’economia risponde a una filosofia simile a quella sovietca, ovvero basata sulla necessità di impedire agli Stati di regolarsi liberamente sul fronte degli investimenti e dei piani di lungo termine, obbligandoli praticamente a ragionare alla giornata.
Poi c’è un altro tema che avvicina la “filosofia economica” europea a quella comunista, ed è la mancanza di senso della realtà. L’idea di uno Stato – qualsiasi esso sia – impossibilitato a regolarsi da solo sulle voci di cui sopra è insostenibile. Tanto è chei Paesi più ancorati al “debito” su scala mondiale sono anche quelli più poveri: le Nazioni del Sudamerica, del Sud-Est asiatico, ovviamente quelle africane, molte di esse inchiodate al franco Cfa (una moneta dai vincoli molto simili a quelli introdotti con l’Euro). Fino a pochi anni fa era la Nigeria uno dei Paesi con il debito pubblico più basso al mondo, tra quelli di dimensioni medio grandi. Oggi nazioni come la Repubblica democratica del Congo sono nella top ten “virtuosa” (per capirci). Contesti che sacrificano apertamente le voci di sviluppo e di investimento per “tenere a posto i conti”. Un atteggiamento che Paesi come gli Stati Uniti o il Giappone – per fare due esempi clamorosi – si guardano bene dal tenere, nonostante i loro conti, da un punto di vista “europeo”, siano più che fuori controllo. Il comunismo, da par suo, aveva generato un sistema che pretendeva sul serio di creare una società senza mercato e senza soldi (o con soldi del tutto slegati da un valore reale), ed era collassato per il fatto di aver inseguito ossessivamente questa illusione.
Insomma, se si parla di approccio filosofico, tra Pnrr e pianificazione sovietica qualcosa di simile c’è. L’Urss era un “pilota automatico” tanto quanto il Pnrr, sebbene di natura completamente diversa. Perché se l’argomento è invece la struttura economica, allora gli universi sono distanti e imparagonabili tra loro. Di certo, entrambe sono visioni irrealistiche della società immanente e anche dello stesso essere umano. Il socialismo reale ha giè consumato il suo esperimento, quello brussellese è ancora in pieno corso.
Stelio Fergola