Roma, 24 dic – Si parla di patriarcato come di un potere esercitato dagli uomini con ricadute di sottomissione delle donne e si ritiene che il matriarcato ne sia l’esatto opposto. Ma non è così.
Sulle rovine del patriarcato
Infatti, la parola matriarcato, simmetrica al termine patriarcato, può far pensare ad un’inversione dei ruoli e dei rapporti di potere, mentre spesso si tratta di un rapporto in cui il carattere del potere è molto diverso. Andando nel passato si scopre che fra gli Etruschi Il rapporto tra uomini e donne era ancora incerto e non determinato dalla proprietà privata e dalla prevalenza economica, come accadrà in epoche storiche successive. Nella quotidianità vi erano manifestazioni di comportamenti individuali e distinti come quelli dovuti all’uso di oggetti. Ne poteva risultare un habitat diviso, che mostrava a quale genere appartengano gli oggetti presenti in casa. Un caso particolare era quello riguardante lo sviluppo dell’agricoltura che comportava modi diversi di intendere la proprietà: le pietre appartenevano agli uomini, mentre gli oggetti in legno appartenevano alle donne. Non un fatto solo curioso, se si pensa ai diversi ruoli esercitati da uomini e donne a quell’epoca.
Come nasce e si sviluppa il matriarcato?
Apparve in Europa nell’Ottocento ed è stata una tesi sostenuta e sviluppata dal sociologo svizzero Johann Jakob Bachofen e successivamente dall’etnologo e antropologo statunitense Lewis Henry Morgan. Il patriarcato era stato considerato esistente e diffuso nelle religioni ebraica, cristiana, buddista e islamica e, per i legami stretti con la società, non poteva essere che così
L’opera di Johann Jakob Bachofen, Das Mutterrecht, pubblicata nel 1861 venne accostata per importanza da Walter Benjamin al Capitale di Marx e all’Origine delle specie di Darwin, pubblicati nello stesso decennio. È un’opera densa, ardua, ricca di intuizioni. La teoria di Bachofen è profondamente innovativa. Nato nel 1815 in Svizzera, fu prima di tutto un magistrato con la passione per il diritto romano. Durante un viaggio in Italia, all’età di 27 anni, rimase affascinato dai resti delle antichità, dall’enigma delle loro iscrizioni e dei loro simboli. Da quel momento in poi, intraprese una lunga ricerca che portò a quella che lui stesso presentò come una “scoperta”, alla maniera di un archeologo che scopre un tesoro. Si rende conto con stupore che un insieme di tratti culturali arcaici non appartenevano al patriarcato, invertendo così una tesi che sino ad allora aveva contraddistinto la cultura Occidentale. Afferma poi che tutte le civiltà erano iniziate con una fase di supremazia femminile. Definisce questa fase “ginecocrazia” in cui avviene la trasmissione dalla madre del nome, dello status sociale o dei titoli nobiliari, in cui le sorelle possono avere la preminenza sui fratelli, in cui il delitto inespiabile è il matricidio. Si tratta di un sistema simbolico basato su una grande valorizzazione del potere della nascita femminile e, allo stesso tempo, della funzione creativa. Da ciò possiamo dedurre tutte le sue dimensioni culturali. Bachofen individua così una base etica ancorata al rapporto tra madre e figlio, da cui scaturisce uno stile di vita che favorisce l’unione, l’amore, la pace e la cura.
Bachofen porterà a conclusione la sua tesi in una prospettiva evoluzionistica, che farà coincidere con l’avvento del diritto paterno, soprattutto introdotto nel diritto romano, e che corrisponderà ad un perfezionamento morale, ovvero ad un processo di spiritualizzazione. Bachofen, ispirandosi ai romantici tedeschi, basò il suo pensiero sullo studio del mito e arrivò a distinguere due principi culturali fondamentali: materno e paterno. E quindi individuò un bipolarismo femminile e maschile, ognuno con la sua logica. Precisò che in una fase iniziale si manifestò una ginecocrazia caratterizzata dall’anarchia e dalla promiscuità sessuale.
La caduta di un’impostazione umana
Si deve osservare che l’indebolimento del patriarcato, evidente ai nostri giorni, produrrà, a livello civile, una grave crisi. I sociologi hanno da tempo dimostrato l’importanza delle strutture familiari nell’organizzazione delle relazioni culturali. In Occidente, questa struttura familiare è tradizionalmente monogama, esogama ed eterosessuale. Si basa sull’autorità del padre. L’attuale messa in discussione di questi fondamenti non è priva di conseguenze. L’ordine sociale simbolico, portato avanti dalla figura paterna, si ritrova sempre più indebolito e sempre meno trasmesso. I valori legati a questo ordine sociale stanno svanendo, facendo precipitare l’intera società in una forma di crisi esistenziale.
Si deve ricordare che il passaggio dalla concezione materna alla concezione paterna dell’esistenza è la svolta più importante nella storia dei rapporti fra i due sessi. L’essenza spirituale prevale sull’essenza corporea, alla quale si riducono i rapporti ai livelli primitivi della creazione. La maternità fa parte del lato corporeo dell’esistenza umana che garantisce la vicinanza dell’uomo agli altri esseri viventi. Invece la paternità fa parte del lato spirituale dell’esistenza umana, che è proprio solo dell’uomo. Un’epoca passa e si estingue e un’altra risorge sui suoi resti. Albeggia una nuova civiltà opposta alla precedente. Alla divinità della madre subentra quella del padre, alla sovranità della notte quella del giorno, alla preeminenza del lato sinistro quella del lato destro.
L’antichità, vista come una forma di insegnamento preziosa, è particolarmente importante, perché portò ogni principio a piena attuazione in ogni ambito della vita. Il patriarcato prese forma e si impose con due poteri: all’inizio l’Apollo delfico e il principio politico romano dell’Imperium virile.
Nei miti antichi
Nelle Dionisiache del poeta greco Nonno di Panopoli, Apollo e Dioniso si disputano il premio dinanzi al consesso degli dèi. Questa scena esibisce la natura sublime ma debole apollinea e il segreto del trionfo di Dioniso. In quest’opera è posta molta attenzione al conflitto fra idee universali, quali si manifestano nelle forme dei rapporti fra i sessi, a partire dalla resistenza del principio indigeno di Iside, basato sulla maternità e sulle fertilità, contro la concezione greca della paternità.
Il principio spirituale dell’Apollo delfico non seppe dare la sua impronta alla vita del mondo antico e a farle superare l’inferiore concezione materiale dei rapporti fra i sessi. L’umanità deve la vittoria del patriarcato all’idea di Stato di Roma, che gli diede rigorosa forma giuridica, realizzandolo in tutti le sfere Il diritto romano. Affermò il principio paterno contro gli attacchi e i pericoli dell’Oriente, contro l’avanzata considerevole di culti materni, come quelli di Iside o di Cibele, e degli stessi Misteri dionisiaci.. E’ bene precisare che uno degli aspetti salienti dell’opera di Bachofen è l’aver messo in luce l’identità femminile con un metodo storiografico e filologico di grande rilievo culturale utilizzato nella ricerca. Diede impulso ed importanza al mito nello sviluppo storico.
Infatti, il mito, lungi dall’essere storia certificata come nella storiografia ufficiale o verità rivelata come nel divenire del Nuovo e nel Vecchio Testamento, è l’eco della storia. Rappresenta la parte vera, integra, che si è salvata da contaminazioni ideologiche, da corruzioni politiche e religiose, e da speculazioni filosofiche e teologiche.
Il mondo contemporaneo
Nel descrivere la società attuale e la caduta del patriarcato, lo scrittore francese Xavier Eman ricorre al ritratto di una società priva della ragione, alla deriva, estranea a se stessa. La fine della coppia è raffigurata attraverso la rappresentazione di donne venali e castratrici. Si occupa poi di quelle che chiama le tartuferie della sinistra benpensante: Le descrive denunciando il comportamento di un “ piccolo borghese bianco cisgender ” che passa il suo tempo a esaltare i benefici dell’immigrazione fino al giorno in cui i migranti, privi di documenti, arrivano nel suo opulento appartamento parigino di avenue de Breteuil. Xavier Eman aggiunge che il sistema mediatico e l’avvilente mediocrità dei programmi televisivi partecipano a questa rappresentazione. Si lancia polemicamente contro gli acrobati del piccolo schermo e lo fa con convinzione e distacco; dimostrando come dietro la cosiddetta rivoluzione del progressismo si nasconda un’operazione di delegittimazione del vecchio mondo. I progressisti vogliono eliminare tutte quelle che chiamano scorie del passato, un’anticipazione della Cancel Culture, per dare vita a un mondo nuovo. A tal proposito cita il caso di un liceo di periferia che portava il nome di un eroe della Grande Guerra e che viene ribattezzato con il nome d’arte di un rapper.
D’altra parte, si può intendere la storia come contraddistinta da due momenti chiave. Il primo ha come punto di riferimento Il movimento femminista che, secondo un principio di universalità, considerava l’uguaglianza come sinonimo di identità. In questo modo si voleva sostenere che le donne erano “uomini come gli altri”. Quindi non si accettava che potessero esistere professioni o lavori diversi, alcuni riservati dalla natura agli uomini e altri alle donne. Si negavano la specificità e la differenza fra i sessi, con un’accentuazione dell’effetto mascolinità sulle donne. Sembra una contraddizione, ma succede che l’assenza di parità venga reclamata solo laddove è esercitata a vantaggio degli uomini.
Inoltre, la molteplicità dei generi porta a considerare che alla nascita tutti sono in una condizione indefinita e fluida. Per di più il manifestarsi di una visione “queer” del mondo porta affermare che tutto è rivedibile e discutibile. Ai bambini di quattro o cinque anni viene così spiegato che possono scegliere il loro genere come desiderano.
Le nozioni di mascolinità e femminilità vengono quindi negate, ma allo stesso tempo, sotto l’influenza del politicamente corretto, il maschile viene costantemente resuscitato per metterlo sotto accusa in circostanze di lesa femminilità.
In definitiva, si deve sostenere la tesi secondo la quale gli uomini rinuncino alla loro virilità, con spregio definita una “mascolinità tossica”. Ieri le donne volevano essere “uomini come gli altri”, oggi sono gli uomini che devono imparare a diventare “donne come le altre”. La mascolinità diventa così una condizione patologica e prevale una concezione per così dire orwelliana: l’uomo è donna, quindi gli uomini devono femminilizzarsi, mettere a tacere il loro gusto per il rischio e per l’avventura, rivolgersi ai prodotti di bellezza per mutare il loro aspetto fisico. Nuova versione della guerra dei sessi, dove il nemico è chiamato alla redenzione perdendo la propria identità.
L’eroe, come figura tragica, scompare. Viene riproposto in una nuova versione che contraddice quella di aver scelto di avere una vita gloriosa ma breve, piuttosto che una vita comoda ma ordinaria. Gli eroi celebrati nella letteratura e nella cinematografia di oggi non sono eroi, perché sono invincibili, perché non provano la minima paura, perché non c’è nulla di tragico in loro. Sono superuomini solo in termini di testosterone. In senso letterale, sono “uomini aumentati”, come li rappresentano i sostenitori del “superumanesimo”. Siamo lontanissimi da Achille o Sigfrido.
Roberto Ugo Nucci