Roma, 10 mag – E’ di queste ore il susseguirsi di allarmi catastrofistici sulla sparizione di alcune isole a causa, dicono, del surriscaldamento globale antropogenico. In effetti, alla 21esima conferenza sul clima non è mancata la fuga in avanti di chi ha chiesto di ridurre il presunto aumento della temperatura, da qui a 85 anni, sotto il valore di 1.5 °C. Il problema però è a monte della questione strettamente scientifica della frode ambientalista in questione, e risiede nella distorta percezione che di se ha la stragrande maggioranza delle persone, chiuse in un nichilismo autistico di stampo depressivo che impedisce anche solo di porsi delle domande rispetto all’idea propagandata dai circoli malthusiani, in particolare britannici, di “rientro dolce” della popolazione umana entro e non oltre il miliardo di unità.
Questa cricca di assassini anti-umanisti d’alto bordo hanno instillato da secoli nel “comune buon senso” (anticamera di ogni cialtroneria) l’idea che l’attività umana sia una presenza innaturale, la prima ad essere accaduta sul pianeta. Se è pur vero che è differente dalle cose precedenti, essa è simultaneamente la continuazione di processi naturali terrestri, che in sé non furono mai in condizione di stagnazione. Tra le grandi menti che lo fecero notare vi fu lo scienziato russo Vladimir Vernadskij (1863-1945), di cui ci siamo già occupati in passato.
L’elaborazione del concetto di biosfera non è tanto una questione meramente descrittiva, quanto un fase del suo pensiero atta a coglierne il funzionamento in qualità di processo unificato e, cosa più importante, il modo in cui cambia. Nel 1938 scrisse: “L’evoluzione della biosfera è connessa all’intensificazione del processo evolutivo della materia vivente”. In molti scritti redatti tra gli anni Venti e gli anni Trenta si trovano riflessioni specifiche sull’evoluzione della biosfera, caratterizzata da un’intensità sempre crescente di ciò che egli chiamò migrazione biogenica degli atomi. Arrivò ad asserire che questa richiesta determina la sopravvivenza delle specie: quelle specie che possono intensificare ulteriormente la propria attività della biosfera possono sopravvivere, mentre quelle che non possono sono destinate a scomparire. In parole povere: la biosfera determina il passaggio di materia dalla litosfera ad essa, modificando permanentemente e profondamente il mondo intero. L’esempio più clamoroso è la natura ossidante della nostra atmosfera, che dipende dalla presenza di microorganismi fotosintetici agli albori dell’evoluzione.
Negli anni Trenta invece si concentrò pesantemente su un’altra “sfera” che ha caratteristiche uniche, benché consistente con gli aspetti noti dell’evoluzione. La definì noosfera, intesa come espressione del pensiero scientifico, ed in generale del lavoro umano, visto come fenomeno planetario. La portata della sua intuizione è quindi rivoluzionaria: la mente umana come forza geologica di trasformazione su vasta scala dell’Universo. Una nuova fase della materia planetaria, una nuova forza della natura, una nuova tendenza ad estrarre dal caos l’ordine.
In altre parole: per l’uomo, idealisticamente inteso come soggetto della storia, sarebbe innaturale invertire la tendenza al proprio sviluppo, che come ben sappiamo non è limitato alla semplice crescita del PIL (comunque necessaria) ma implica tutte quelle innovazioni capaci di cambiare la realtà circostante. Si dovrebbe aggiungere che la noosfera non è un necessariamente un concetto limitato al pianeta Terra, così come la grecità non fu un concetto limitato all’Ellade ma fu fatta propria dai navigatori che colonizzarono mezzo mediterraneo. Per sua definizione, la noosfera è il regno dell’influenza della creatività umana sull’universo, indi è almeno teoricamente una sfera illimitata nella sua estensione territoriale.
Obnubilati da una nebbia mentale collettiva di accademici venduti e media complici, coloro che dibattono di cambiamenti climatici cominciano a pensare che ci siano stati concessi solo un paio di secoli di industrialismo, e che ora quel tempo sia finito. Dobbiamo correre ai ripari perché abbiamo raggiunto non si sa bene quale limite invalicabile. Interessante che chi è convinto che l’anidride carbonica sia un problema siano poi gli stessi che sprecano tanto fiato in simili assurdità, quando è palese persino ad un ignorante il fatto che abbiamo appena iniziato, come specie, a sfruttare le enormi potenzialità del fuoco nucleare di pace, arrivando appena a lambire la fusione nucleare controllata, il potere infinito dei nuclei stellari che alimenta il Sole. Potere illimitato. Forse è questa prospettiva prometeica che spaventa così tanto le menti semplici, che leggono al contrario il celebre monito che lo zio Ben lascia a Peter Parker come unica (ma fondamentale) eredità: da un grande potere derivano grandi responsabilità, per cui i vigliacchi della decrescita, pur di non avere responsabilità, rifuggono anche il potere come un Aragon qualunque.
Vernadskij fu molto chiaro a proposito: “L’inviluppo dell’intera superficie della biosfera da una specie sociale unificata del regno animale – cioè dall’umanità – è stato completato dopo molte centinaia di migliaia di anni di lotta tempestosa e inarrestabile. Non v’è angolo della Terra che sia inaccessibile all’umanità. Non vi sono limiti alla nostra crescita demografica. L’uomo, attraverso il pensiero scientifico e attraverso la propria vita, organizzato socialmente in Stati, e guidato dalla tecnologia, sta creando una nuova forza biogenica nella biosfera, che guida la sua crescita demografica e crea condizioni favorevoli per la sua popolazione in porzioni della biosfera, precedentemente impenetrabili dalla vita umana, e anche in luoghi in cui prima mancava la vita”.
La nostra tradizione, come Italiani, è sempre stata quella costruttivistica delle civiltà che si sono succedute fino in epoca recentissima sul nostro territorio. La sfida di questo secolo sarà proprio quella di superare definitivamente il folle e cancerogeno paradigma della scarsità, sostituendovi qualcosa che abbia maggiormente a che fare con la nostra natura di eredi di Prometeo, nonché, ovviamente, di Galileo.
Matteo Rovatti