Roma, 2 mag – Il concerto del Primo Maggio è talmente pregno di messaggi impegnati da mantenere un’ineguagliabile record di fugacità: il giorno dopo non se lo fila più nessuno. Come è possibile che dopo tanto cantare e scandire slogan, finisca tutto così, come un fuoco fatuo? Domanda retorica, di quelle a cui di solito si evita di rispondere per evitare di rimarcare quello che tutti pensano ogni volta che osservano tal piazza giubilante: sono tutti lì per saltellare e divertirsi, nulla più. Il lavoro, tema cruciale nonché decennale problema in Italia, in quel preciso momento interessa davvero a pochissimi giovani presenti in piazza, ammesso che quei pochissimi non siano fantasmi apparsi lì per sbaglio. E’ così ogni anno, ne è conscio chiunque, pure chi non riesce ad ammetterlo per mera pavidità o timore di essere accusato di insensibilità. Per bucare la coltre di ipocrisia che ammanta il concertone organizzato dai sindacati, toccò attendere lo strepitoso pezzo di Elio e le storie tese, quel Complesso del Primo Maggio che attacca così: “Questa è la canzone del complesso del primo maggio. Che in genere si esibisce sotto il sole di pomeriggio. Con la chitarra acustica accordata calante. Che la gente che balla a torso nudo neanche la sente”.
Sì, il concerto del Primo Maggio ha rotto i coglioni
Il fatto è che se a sinistra l’evento ha stufato i meno assuefatti alla retorica da quattro soldi, quelli seduti sulla consuetudine conservativa del “così è sempre stato e deve sempre essere”, a destra ogni volta irrompe un generale, quanto sacrosanto: avete rotto i coglioni. Sì, non giriamoci attorno, l’esclamazione classica è esattamente quella, triviale eppur calzante. Dopotutto assistiamo sempre alla solita litania, a un palcoscenico allestito per propagandare dettami politici di parte, visioni di parte, sparate di parte, sproloqui di parte. E quella parte è sempre di sinistra, in tutte le sue sfumature più o meno tendenti al rosso sbiadito, sinfonia di petaloso globalista con spruzzate di fricchettonaggine chic. Ampio margine di errore: è sempre da destra che si finisce per accusare il tipo umano di sinistra di vagabondaggine, nullafacenza intrinseca sol perché saltella in piazza. Scivoloni tendenti al reazionario cieco. Così facendo si evita di affrontare ciò che si deve. Non è infatti con la spocchia del presunto stacanovista che si vince una battaglia culturale.
Ma il lavoro è tutto
L’errore generale è quello di archiviare in un giorno di sparate inutili il problema del lavoro in Italia. Oltre le frasi fatte tirate fuori all’uopo, è il lavoro che dovrebbe occupare la gran parte dell’agenda politica di qualsivoglia partito italiano. E’ il lavoro la principale emergenza italiana e su questo tema ci si deve confrontare, anche scontrare se necessario. Perché è sempre il lavoro, soltanto il lavoro, che garantisce la prosperità della nostra nazione. Quando non c’è, quando è precario, quando è usato per strimpellare amenità, quando è considerato soltanto un richiamo dei fasti perduti, si finisce per banalizzarlo, dunque per annientarne il significato più profondo. Serve allora la consapevolezza della civiltà del lavoro, senza la quale è impossibile immaginare un futuro quantomeno dignitoso per i nostri figli. Quindi sì, ribadiamolo: il concerto del primo maggio ha rotto i coglioni, il lavoro no, il lavoro è tutto.
Eugenio Palazzini