Roma, 22 giu – Sabato è andata in scena, a Roma, la manifestazione del comitato “Difendiamo i nostri figli!” contro l’ideologia gender. Per l’occasione, Repubblica ha ospitato una lettera aperta ai manifestanti scritta da Cristiana Alicata, ex componente della Direzione Nazionale PD e attivista lgbt. Quella che segue è una risposta a tale testo, benché esso fosse indirizzato a chi sabato era in piazza, cosa che non riguarda lo scrivente, come peraltro specificato [a.s.]
Cara Cristiana,
ho letto la tua lettera pubblicata su Repubblica in cui ti rivolgevi ai movimenti e alla famiglie scese in piazza sabato in piazza San Giovanni contro l’ideologia gender. Una manifestazione, lo preciso, a cui io non ho aderito, a cui non sono andato e sui cui presupposti teorici, politici e confessionali ho serissime riserve, pur condividendo alcune delle istanze portate in piazza. Non sto, quindi, facendo una difesa a oltranza del cosiddetto “Family day”. Ritengo solamente che i termini della questione continuino a essere poco chiari, anche a causa del minimalismo banalizzatore di posizioni come la tua, che è speculare al terrorismo ideologico di chi ha posizioni opposte.
Tu scrivi:
“La questione di genere non è altro che desiderare che tutte le bambine del mondo possano scegliere non se mettersi o no una gonna rosa, ma se con quella bellissima gonna rosa possono arrivare nello spazio come il capitano Cristoforetti oppure fare le mamme appagate di 4 figli sapendo di averlo scelto tra migliaia di altre possibilità, le stesse che hanno i maschietti”.
Mi sembra un discorso di assoluto buonsenso.
C’è solo una cosa che non capisco: i 639.000 risultati che trovo su Google se cerco “gender neutrality” sono stati inseriti nella notte dagli organizzatori del “Family day”? È stato solo un brutto sogno quello che abbiamo fatto qualche tempo fa, immaginando che un blogger di MicroMega subisse un processo politico ad opera di un’altra blogger della stessa rivista proprio per aver postato su Facebook la foto della sua bimba con una tutina rosa? Ovviamente puoi sempre dirmi, Cristiana, che tu rifiuti toni e magari contenuti della polemica che ti ho appena linkato, ma non puoi dirmi che questi argomenti non siano nell’aria, che di questo non si parli, che non ci sia dibattito assurdo e fanatico anche sul colore dei vestiti dei bimbi.
Va da sé che non sono così sciocco da credere che lo spartiacque della civiltà passi per la sfumatura di rosa delle gonnelline delle nostre bimbe e non credo che i “valori” (quali?) crollino all’improvviso se
una ragazzina prende in mano un camion giocattolo anziché una bambola. Tanto meno, però, credo che i “diritti” (quali?) facciano un passo avanti di un millimetro se costringiamo i nostri bambini a giocare solo con anonime forme geometriche di colore grigio per evitare di esercitare “discriminazioni di genere”. Per me questo, prima di essere “scandaloso” – il linguaggio dell’indignazione non mi appartiene, mai – è semplicemente folle.
“Nessuno di noi vuole insegnare ai bambini di quattro anni le cose irripetibili che sono state scritte”, scrivi. Anche qui hai buon gioco nello smarcarti da certi deliri di internet, in cui ci si immagina che da un momento all’altro nelle scuole diventino obbligatorie le ammucchiate. Purtroppo la superficialità con cui vengono portate avanti certe battaglie nuoce alla causa anti-gender più di qualsiasi altra cosa. Ovviamente so benissimo che nessuna forza politica sta per introdurre la pedofilia di Stato negli asili.
Non sono stati però gli organizzatori del “Family day” a redigere gli “Standard per l’Educazione Sessuale in Europa”, ma la Federazione italiana sessuologia scientifica e l’Oms. Ora, al di là di ogni scandalismo a buon mercato, possiamo dire che è quanto meno lecito chiedersi cosa si intenda di preciso quando a pagina 38 si scrive che a scuola, nella fascia di età che va da 0 a 4 anni, occorre “trasmettere informazioni su gioia e piacere nel toccare il proprio corpo, masturbazione infantile precoce”? E quando leggiamo che nella stessa fascia d’età occorre mettere i bambini in grado di “esprimere i propri bisogni, desideri e limiti, ad esempio nel ‘gioco del dottore’”, non ritieni che almeno dal punto di vista lessicale non sia stato fatto nulla per evitare fraintendimenti?
Che poi da qui qualcuno parta per la tangente è sbagliato, ma non così folle, credimi.
Il salto che troppo spesso si fa tra omosessualità e pedofilia è certamente ignobile (del resto i pedofili sono molto spesso persone apparentemente rispettabilissime e dai “solidi valori”). A pochi giorni dalle condanne per il caso del Forteto, tuttavia, qualche domandina sul legame tra abusi sui minori ed educazione “libertaria” forse è ora di farsele. Negli esperimenti fatti in questo senso negli anni ’70, i casi di degenerazioni di questo tipo non si contano (così come analoghi interrogativi suscitano modelli educativi diametralmente opposti, come quelli autoritari di matrice religiosa…). Di tutto ciò non avete colpa né tu né Scalfarotto né, forse, quei ragazzoni che hanno sfilato qualche giorno fa per le vie di Roma in pose improbabili e che poi magari sono integerrime persone nella vita di tutti i giorni. Quest’alito di ideologia che da un po’ tira sulle questioni dell‘identità di genere, tuttavia, ricorda da vicino quegli episodi infausti e se qualcuno sente questa brezza e decide di coprirsi non lo si può biasimare.
L’ideologia che riecheggia è nello specifico quella di certi deliri neofemministi americani, in cui si afferma, eccome, non che “non ci sono differenze biologiche tra maschi e femmine”, ma che tali differenze sono irrilevanti e che comunque vanno dinamitate da una ben precisa opera di decostruzione. Ci sono fior di citazioni, su questo, altro che “inesistente ideologia gender”. Ci sono anche agghiaccianti esperienze pratiche, di tutto ciò, come l’assurdo caso dei gemelli Reimer affidati alle amorevoli cure del dottor John Money. L’idea che ci sia un fiume carsico che da queste follie estremistiche arriva a certi paludati programmi scolastici di cui si discute l’adozione mi sembra purtroppo tutt’altro che peregrina.
E se non è “ideologia gender”, del resto, come dobbiamo chiamare il fatto che in Svezia l’Enciclopedia Nazionale introduca tutto a un tratto il pronome neutro “hen”, prima inesistente? Oppure il fatto che nello stesso paese siano stati approvati per legge 170 nomi unisex? Il tutto, peraltro, in un Paese che ha già raggiunto quella “parità dei diritti” che dovrebbe essere l’obbiettivo di certe politiche. A me tutta questa ansia di “neutralità” – che peraltro costituisce paradossalmente la forma peggiore di condizionamento – fa orrore. Non vogliamo chiamarla “ideologia gender”? Benissimo, chiamiamola “Paperino”. Ecco, a me “Paperino” sta sulle palle, con fondati motivi. Posso dirlo ad alta voce, senza necessariamente accodarmi a cori bigotti, ma anche senza temere che domani qualche ddl troppo zelante stabilisca che sono da rieducare?
Adriano Scianca