Roma, 16 mar – La critica distrugge la tua serie tv? È ovviamente colpa di Trump. Non è uno scherzo: in un periodo in cui se i centri sociali devastano Napoli allora è colpa di Salvini, se una ragazza mette in rete il suo video porno e poi si suicida è colpa della società patriarcale fallocentrica e maschilista e se il mondo nato dalla sconfitta dell’Asse va a scatafascio è chiaramente colpa del nazi-fascismo dilagante, non può sembrare poi tanto strano il fatto che si pensi davvero che se un prodotto va male sia chiaramente colpa del perfido neopresidente Usa.
La serie in questione è Iron Fist, targata Marvel e prodotta da Netflix che dovrebbe uscire il 17 marzo ma che la critica che ha potuto vedere in anteprima la prima metà della stagione ha letteralmente devastato. Si va infatti da “Iron Fist è l’esempio più frustrante dei problemi di Netflix: dialoghi sterili, mancanza di spessore e profondità. Buona fortuna: andare oltre i due episodi è stata una sfida” (Variety) a “Sono sorpreso del fatto che sia così scadente. È ridicolmente brutta” (Polygon) passando per “I fan temevano il peggio quando la serie è stata annunciata, e tutti i loro timori si sono avverati” (Verge). Il tutto per una serie che racconta le origini e la storia di Danny Rand, erede miliardario dell’impero imprenditoriale Rand, che torna a New York dopo anni di addestramento in Tibet dove ha imparato a padroneggiare la mistica tecnica di arti marziali del “Pugno d’Acciaio” e che userà per combattere il crimine.
Un omaggio alle vecchie serie pulp di arti marziali e misticismo orientale molto in voga negli anni ’20 e ’30, un mix tra The Shadow e Green Hornet e altri eroi simili che negli anni ’70 furono omaggiati dal fumettista Roy Thomas, già adattatore a fumetti di Conan il Barbaro di Howard, che appunto diede vita al nuovo super eroe proprio sulla scia dei successi degli ultimi e più famosi film di Bruce Lee. Ok, ma Trump che c’entra? Stando a Finn Jones, attore protagonista che interpreta proprio Danny Rand, la sua elezione è proprio la causa di tutto. “Interpreto un supereroe milionario americano bianco in un momento in cui l’archetipo del milionario americano è il nemico pubblico numero uno, soprattutto negli USA. Abbiamo girato la serie molto prima dell’elezione di Trump e, ora che è al potere, credo sia molto interessante vedere come questa percezione renda difficile fare il tifo per qualcuno che viene dai privilegi della razza bianca nel momento in cui quell’archetipo è il nemico pubblico numero uno”. Avete capito bene: i privilegi della razza bianca rappresentano il nemico numero uno.
Avevamo già assistito a forme estreme di autorazzismo, particolarmente in voga in Usa in questi tempi anche con forme da psicanalisi, ma il fatto che vengano utilizzate con tale naturalezza come giustificazione sociologica come a dimostrare che quello che si dice è ovvio e soprattutto quasi con soddisfazione che il proprio fallimento possa essere usato per fare demagogia democratica e progressista d’accatto, diventa quasi comico. Quindi nessun problema di regia, di recitazione, di sceneggiatura, di montaggio, di copioni: semplicemente qualunque spettatore odia il bianco milionario. Batman, Iron Man, Doctor Strange insomma, gli autori dei massimi incassi dei cinecomics dell’ultimo decennio, nel meraviglioso mondo parallelo di Finn Jones sono odiati da tutti. Ma soprattutto è ovvio che tutto quanto il mondo condivida l’odio verso l’archetipo descritto da Jones, è ovvio che ogni bianco odi se stesso come Jones e i suoi sodali, è ovvio anche che anche la metà abbondante di americani che ha votato Trump veda in Trump il male assoluto. Un colpo di spugna fatto con un sorriso sui problemi delle ultime serie dell’accoppiata Marvel-Netflix, che dopo il meritato successo del riuscitissimo Daredevil con Charlie Cox ha fatto storcere più di un naso con il noioso e stiracchiato Jessica Jones e con l’inconcludente e forzatissimo Luke Cage. Il primo aveva per protagonista una donna e il secondo un nero che lotta per la libertà di Harlem: evidentemente se non hanno avuto successo è colpa di Trump che ha reso la società maschilista e razzista, ovvio no?
Carlomanno Adinolfi