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Ho scoperto la “macchina di Santa Rosa”

by Stelio Fergola
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macchina di santa rosa

Roma, 4 sett – Ieri sera, 3 settembre, è stato il giorno del tradizionale trasporto della “macchina di Santa Rosa” di Viterbo. Ovvero una delle “macchine a spalla” più famose d’Italia, insieme a quelle di Nola, di Palmi e di Sassari. Ho conosciuto questa storia per bene circa una settimana fa e per la prima volta in assoluto ho assistito alla manifestazione, ieri sera. Un’esperienza che definire cardiopalmica è perfino eufemistico. Sebbene a rischiare problemi cardiaci non siano certo gli spettatori, ma i “facchini”, leggasi meglio i 100 folli che, nel capoluogo laziale, ogni anno trasportano, letteralmente, un “bestione” (non mi viene altro modo per definirlo) alto circa 30 metri e pesante un quantitativo di chili indefinibili senza farsi venire un “infarto col pensiero” (quintali, quintali e ancora quintali), un gigante in grado di superare per elevazione la stragrande maggioranza degli edifici della città. E di trasportarlo per circa 1,2 chilometri (allungati a 2 in alcune occasioni), da San Sisto  a Piazza Verdi, al Santuario di Santa Rosa, termine della “corsa”della macchina (che in un passaggio è perfino tale, senza retoriche: nel tratto finale, i facchini, che diventasno 150, corrono proprio, senza mezze misure). Il tutto a rievocare la traslazione della succitata santa nel 1258 per volere di Papa Alessandro IV.

La follia della macchina di Santa Rosa

Quanto segue è una descrizione giocoforza incompleta di quanto assistito dal vivo. Chi vuole farsene un’idea può spulciare uno qualsiasi dei video Youtube che riprendono i trasporti delle macchine negli anni passati, per una tradizione che in realtà dura ormai da secoli. Oppure godersi il filmato completo dell’edizione 2024. Ma lo dico senza mezzi termini: di persona si tratta di una visione, o meglio di una sensazione perenne, difficilmente comunicabile in modo diverso dai propri occhi. La follia, già. Perché la follia? Motivo lineare, semplice, diretto: vedere 150 uomini che trasportano una torre – perché di questo si tratta – fa venire i brividi. Impossibile non pensare ai rischi di sicurezza, impossibile non pensare alle possibilità che uno di loro, per sbaglio, si senta male. Rischio semi-impossibile, sia chiaro, ma comunque presente. Non ce ne si cura, però. Come non se ne curano i cittadini, non se ne curano gli stessi “facchini” (ovvero i 150 trasportatori già troppe volte citati). Perché c’è un obiettivo più alto di tutto ciò, ed è la tradizione. O forse, meglio ancora, la bellezza.

C’è una “benedizione speciale” per i facchini convocati a San Sisto, prima del trasporto eccezionale più incredibile che un uomo moderno possa osservare. Parlo con i viterbesi e con chi conosce la storia e mi dicono cose contrastanti. C’è chi parla addirittura di benedizione “in articulo mortis”, ovvero precedente al possibile decesso. Altri la descrivono, probabilmente più correttamente, come qualcosa di simile, ma non esattamente una estrema unzione. Il rischio, come detto, esiste. Però non è estremo. Di conseguenza, sì alla benedizione, ma di “mortis”, per fortuna, non se ne vedono (e neanche di incidenti: l’ultimo, senza conseguenze enormi, è datato 1986). Anche perché i pazzi eroi facchini non fanno, ovviamente, “tutta una tirata”, ma diverse tappe prima di giungere al Santuario. Ciò che colpisce della macchina di Santa Rosa, però, è il “suo popolo”: ovvero i viterbesi.

Il popolo

Viterbesi di ogni età, sesso e quant’altro si riuniscono ogni anno per assistere a un evento che non può essere definito “normale” in qualsiasi modo lo si voglia declinare. E si vede anche dalla reazione della gente. Un entusiasmo a dir poco contagioso avvolge completamente la città. Quando la macchina è “lontana” dalla propria zona di osservazione, le urla della folla già si odono copiose, osservando sui maxischermi i progressi dei facchini. Ma quando la macchina si mostra “dal vivo”, il delirio regna sovrano sul serio. E allora la gente impazzisce letteralmente. A dire il vero, l’esaltazione parte già dalla sfilata dei facchini precedente al trasporto e alla “benedizione speciale”. Già in quel momento l’adrenalina comincia a salire, almeno in chi è consapevole di ciò che sta per accadere. Noi ci troviamo a Piazza del Plebiscito, in Comune, da una posizione onestamente privlegiata. Ma orde intere di giovani e meno giovani sono sulle strade di Viterbo dalla mattina, per “prenotarsi” un posto.

La macchina parte da Piazza Fontana Grande alle ore 21:30 circa. Bambini, uomini, donne e nonni già cominciano ad esultare. Poi c’è la prima pausa, ma noi non la osserviamo se non dallo schermo presente in piazza. La nostra posizione corrisponde alla seconda delle soste dei facchini. Verso le ore 21:50 la macchina riparte. Il capo facchino scandisce come il più spietato degli allenatori il “tempo” ai trasportatori: “Uno, uno, uno!”. Da noi la folla comincia a perdere il lume della ragione. Dalla retrovie di una strada confluente nella piazza, si vede la croce in cima alla macchina. Già in quel momento è impossibile trattenere lo stupore. Il bestione illuminato arriva di fronte a noi intorno alle 22:00, con i facchini che, a questo punto, lo fanno ruotare su se stesso. Il sottoscritto comincia a “sudare” e a “sentire” il peso soltanto guardandoli. Chiaramente, se uno dei facchini leggerà questo pezzo sarà ben disposto – a piena ragione – a prendere per i fondelli il sottoscritto. “Cialtrone, l’abbiamo portata noi, non tu”. Dunque rettifico, o meglio riordino le idee. “Com’è possibile decidere di fare un’impresa del genere? Io morirei dopo due passi“, forse è un pensiero, “condito” da domanda, più rispettosa.

Evento da diffondere

Dopo aver assistito al tutto, la prima domanda che ho posto a chi mi stava intorno è stata la seguente: “Possibile che una magnificenza simile non venga trasmessa in diretta nazionale ogni anno?”. Probabilmente come le altre macchine a spalla sopracitate. In realtà, una diretta c’è, ed è su Tv 2000, l’emittente vaticana. Resta uno spreco immenso, per qualcosa che meriterebbe senza mezzi termini la trasmissione in Rai. Senza sé e senza ma. Una follia tradizionale di questa portata non è semplicemente descrivibile, anche se ci ho provato. Mi è venuto più volte da pensare che se fosse ripresa non dall’Italia, ma dal Giappone, saremmo tutti in piedi ad applaudire alle tradizioni nipponiche e al loro senso della fatica e dell’impegno. In ogni caso, non sono certo il primo a meravigliarsi di questa mancata diffusione mediatica: negli ultimi anni, dal fronte “Vittorio Sgarbi”, qualcosa si è udito. Bisognerebbe però fare di più. Come si fa, del resto, per il palio di Siena. Non è qualcosa di “normale”, lo ripeto, ma fottutamente incredibile anche solo a “pensarci”. Una meraviglia simile si è fermata, guarda un po’, solo durante l’epoca disgraziata del Covid. E poi c’è tutto un mondo che orbita costantemente intorno all’evento: dalla macchina che cambia ogni cinque anni, ai bandi per disegnare quella nuova, la città che si prepara. No no, questa roba dovrebbe diventare di diffusione nazionale domani mattina. Non so se di concerto alle altre macchine a spalla di Nola, Sassari e Palmi. Di sicuro mantenerla “semplicemente” una questione viterbese è un crimine contro l’umanità. Anzi, contro l’Italia.

Stelio Fergola

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