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“Happy Valley”: un telefilm proibizionista (e perciò oscurato in Italia)

by La Redazione
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Happy Valley serie tv

Roma, 21 gen –  “Stuck in speed dump city / Where the only thing that’s pretty / Is the thought of getting out” (“intrappolato tra i dossi stradali di una città in cui la sola cosa bella è il pensiero di andarsene”): Trouble Town, canzone di Jake Bugg diventata la sigla di Happy Valley è un chiaro avviso allo spettatore: l’abito fa il monaco, eccome, e la deprimente atmosfera di Halifax (la Calder Valley è davvero soprannominata, con sarcasmo, “Valle Allegra”) ne rappresenta per davvero la vivibilità.

Tre telefilm in uno, ecco Happy Valley

Le tre serie (2014, ’16 e ’23) seguono la lotta senza quartiere tra il sergente Catherine Cawood (Sarah Lancashire), poliziotta intelligente, energica e carismatica, e Tommy Lee Royce (James Norton), manovale della criminalità organizzata che si dimostra essere l’incarnazione del Male. Sullo sfondo, la sfida tra la polizia dello Yorkshire e la banda di mafiosi slavi (per cui lavora Tommy) che coprendosi con imprese edili di scarsa qualità fa dilagare droga nella regione. Catherine cresce (assieme alla sorella Clare, ex alcolizzata ed eroinomane, che ora lavora in una comunità) il nipote Ryan: il bambino che la di lei figlia, Becky, ebbe con Tommy subito prima di suicidarsi (la visione della figlia impiccata perseguita Catherine). La triste fine di Becky ha distrutto la famiglia di Catherine: Richard, il padre, si è risposato (pur restando amico, e talvolta amante, di Catherine); il fratello della ragazza, Daniel, ferito dall’essere diventato il capro espiatorio del lutto di Catherine, si è allontanato dalla madre.

Alle due macro-storie (la guerra privata tra Catherine e Tommy, e quella tra Scotland Yard e la gang di Darius Knezevic), ogni serie ne affianca una ulteriore. La prima: Kevin, contabile per l’azienda diretta da Nevison Gallagher (già collega di suo padre, nonché uomo più ricco della zona) propone ad Ashley (che per conto dei Knezevic gestisce i cantieri che fanno da copertura al traffico di droga) di rapire la figlia di Nevison, la studentessa inconcludente Anne. Ashley affida il rapimento della ragazza a due suoi “muratori”, Whippey e Tommy: le esitazioni dell’uno e la brutalità dell’altro innescheranno una scia di sangue.

La seconda: mentre Anne si arruola in polizia per riaversi dai traumi del rapimento, Catherine (che ospita Ilinka, una delle donne croate sfruttate dai Knezevic nell’ennesima attività di copertura: una fabbrica di biscotti) scopre il cadavere di Lynn, la madre di Tommy, mentre indaga sul traffico di pecore avvelenate e sottratte ai danni di Alison e di suo figlio Daryl, lo zimbello dei bulli locali; l’indagine sull’uccisione di Lynn si intreccia con quella d’un presunto serial killer di prostitute. Intanto John, uno dei detective della stazione di Catherine, sposato (infelicemente) e padre di tre ragazzi, cerca di sbarazzarsi dell’amante, Vicky; la quale in un primo momento si mostra fragile, per poi rivolgergli contro un piano perfido. Tommy, ergastolano, convince Frances, una donna ingenua, fragile e dissociata che se ne è infatuata, a mettersi suo per conto sulle tracce di Ryan.

La terza: Catherine è ormai alla soglia della pensione, e ha comprato una jeep per viaggiare sino all’Himalaya. Ryan è ormai adolescente, e di nascosto dalla nonna è rimasto in contatto col padre (che, di nuovo a processo, mente per coprire i Knezevic). L’insegnante di educazione fisica di Ryan, Rob – un maniaco del controllo, arrogante e saccente, manesco e latentemente pedofilo – porta all’esaurimento la moglie, Joanna, madre delle sue due bambine (che evadono dal malessere famigliare rinchiudendosi in un costante torpore). Joanna è diventata dipendente dagli ansiolitici che, senza ricetta, le ha procurato un farmacista indiano, Faisal, che spaccia psicofarmaci sottobanco per mantenere i capricci della moglie e delle due figlie adolescenti (che lo ricambiano con un aperto e sarcastico disprezzo): Faisal è però soggiogato da Ivan e Matija, due scagnozzi dei Knezevic, che hanno scoperto il suo traffico e ne pretendono i proventi. La tragica morte d’una donna ipovedente (caduta per colpa d’una finestra costruita male dalle ditta di copertura dei Knezevic) riporta la polizia di Halifax alla caccia della gang: ma si avvicina anche lo scontro finale tra Catherine e Tommy.

Due grandi antagonisti

Happy Valley è il duello tra due grandi figure tragiche (oltre che il confronto tra due bravi attori): Catherine che, con tutti i suoi errori e le sue balordaggini (significativa la scelta di imbruttire la Lancashire, per non “angelicare” il personaggio) rappresenta il Bene, la fortezza, la giustizia, la protezione, la lealtà; contro Tommy (il quale invece è, anche sciatto e malridotto, bellissimo) che invece è un’emanazione terrena di Satana (tanto più blasfema risulta la sua conversione in carcere: dalle croci che comincia a farsi tatuare nella seconda serie, al look “nazareno” – barba e capelli lunghi, con tanto di sfregio sulla fronte a mo’ di corona di spine – che sfoggia al principio della terza). Uccide con ferocia e senza rimorsi, è capace di atrocità impensabili quali brutalizzare la madre (ed è poi abbastanza ipocrita da piangerla); è un calcolatore tanto rancoroso quanto paziente, un manipolatore che sfrutta i sentimenti degli altri per fare del male e, a sua volta, ne prova uno solo, l’odio. Tommy è un “grand villain”, la cui eccellenza nella negatività fa risaltare ancor di più la meschinità degli altri “cattivi” del telefilm – Kevin, “quell’insopportabile fighetta” che prima fa rapire per invidia e lucro la figlia d’un suo collega, poi cerca di condividere con chiunque la colpa del suo losco piano; Ashley, il finto imprenditore edile al servizio dei narcotrafficanti; Vicky, la ricattatrice seriale di amanti più o meno occasionali; John, il detective che giudica gli altri in base al costo della loro automobile e si fa ricattare da una squallida “mantide religiosa”; i due disagiati sospettati di essere gli uccisori delle povere prostitute da strada (le quali si vendono, a ribadire lo squallore della Calder Valley, per 5 o 10 sterline); Rob, l’insegnante di ginnastica precisino che bullizza la moglie e i ragazzini cui lancia sguardi lascivi; Faisal, il farmacista che invece di dire alla moglie cosa possono permettersi e cosa no si improvvisa spacciatore per assecondarne gli stravizi, e subisce i lazzi delle figlie (che lo disistimano al punto di tifare per il suo contendente – Rob – in una lite stradale).

Alla perfetta capacità di procurare il male di Tommy, corrisponde la perfetta sopportazione di Catherine, che si fa davvero carico delle croci altrui (come se non bastassero le sue), a differenza di Tommy che si traveste da Gesù. Non per nulla resta amica di Nevison, padre severo e giusto per la figlia come per i dipendenti, e della sciaguratissima Alison, sopravvissuta suo malgrado al padre e al figlio.

La noia della provincia inglese e il flagello della droga

Alle due trame che attraversano ogni serie, fa da basso continuo il malessere giovanile della cittadina: più e più volte Catherine si trova a ingaggiare grottesche risse (dai quali esce spesso vincitrice ma sempre tumefatta) con patetici tossici. Il flagello di Halifax e della sua “valle allegra” è la droga: non per nulla il principale cattivo del telefilm, Tommy, lavora per la banda di mafiosi il cui principale business è il traffico di droga. Nei loro appuntamenti Catherine insiste perché l’ex marito, giornalista locale, indaghi sul flagello della droga invece di scrivere articoli sull’ennesimo poveretto che ha dato spettacolo; intanto sciorina, a beneficio dello spettatore come dei disagiati che arresta (o di quelli che castiga per aver riso delle disgrazie altrui), la terribile realtà del dilagare della droga. Quella “pesante”, già nociva di per sé, è tagliata male; quella “leggera” induce spesso psicosi, e rovina tanto le vite dei consumatori quanto quelle delle famiglie.

Nel Regno Unito, dove il possesso di droga è stato depenalizzato con conseguenze devastanti, il telefilm – trasmesso dalla BBC in prima serata – ha avuto ascolti importanti (una media di nove milioni di spettatori a puntata); in Italia, dove chi ha interesse nello smercio di stupefacenti fa da anni pressioni, è stata distrattamente proposta da canali di streaming. Eppure gioverebbe a una battaglia politica, che anche dalla ferma opposizione alla cultura della droga deve passare.

Tommaso de Brabant

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