Roma, 19 apr – Halo e Fallout: incredibile a dirsi ma i videogiochi ci salveranno ancora. Da cosa? Dalla noia e dalle derive debolucce che hanno preso ad essere spacciate per science fiction. Va detto, i videogiochi sono sempre stati un’isola felice di violenza e sparatutto in un mondo di fate rosa ed arcobaleni.
Halo e Fallout contro i pensieri deboli
Ricorderete sicuramente quell’epoca in cui i genitori, professori e giornalisti insorgevano contro i contenuti violenti di giochi come Doom, Gta o Call of Duty. Sono bastati vent’anni – più o meno – perché alla fine questi fossero travasati nei contenuti video delle piattaforme streaming. Per fortuna. Ragioni di mercato, certo. Le generazioni cresciute con il joystick in mano iniziano ad essere un obiettivo succulento nonostante anni di divieti e Pegi 18. Non è un caso che nel giro di due anni, due delle maggiori piattaforme di streaming a pagamento – Paramount+ e Amazon Prime Video – abbiano puntato decisamente forte sulla produzione di serie basate su due delle serie videoludiche più importanti di tutti i tempi: Halo e Fallout. Due videogame che nel loro genere hanno segnato un prima e un dopo e soprattutto hanno rappresentato un fenomeno generazionale che ha bucato ogni tipo di genere ed hanno attraversato con successo il decennio delle console. Detta così perché dovrebbe interessarci? Perché sia Halo che Fallout in controtendenza a qualsiasi buonismo mettono in scena mondi e dimensioni violente, tecno-futuriste, tribali e guerriere; conformate da un’etica ed un’estetica che facilmente qualcuno potrebbe definire Fascista. Ma d’altronde è così, se perfino Batman e Dune sono spesso scimmiottati sul web come prodotti fascisti: “space fascists and sand penises” è uno dei commenti che va per la maggiore al secondo capitolo della saga di Herbert ricreata da Villeneuve. Insomma, qualsiasi cosa grondi guerre, feudalesimo, onore e gerarchia è ovviamente assimilabile all’Ur fascismo. Potrebbe anche starci bene così.
Due serie decisamente hardcore
In ogni caso, tornando a noi, Halo e Fallout si presentano come videogame e serie tv decisamente prometeiste seppur con ambientazioni e riferimenti differenti sono legate assieme da una sorta di “cultura dell’acciaio”, o venerazione dell’armatura.
Chiunque conosca le due serie videoludiche saprà che il protagonista di Halo – lo Spartan John 117 – è un soldato geneticamente modificato cresciuto ed addestrato in una comunità spartiata con il solo scopo di combattere, ed indossa costantemente la sua armatura come un oggetto inseparabile e sua stessa carne; idea questa che traspare anche nelle prime due stagioni nonostante si venga meno al diktat fondamentale dei videogiochi di non mostrare mai il volto del protagonista. D’altro canto chi conosce Fallout sa benissimo che la sua ambientazione post-atomica dal sapore retro-futurista è un campo di battaglia: la “zona contaminata” è il teatro di una feroce e grottesca lotta per la sopravvivenza, ma anche lo scenario dove alcune tecnocrazie tentato di ristabilire una parvenza d’ordine ed autorità. Il rapporto con la tecnologia nelle due serie non è strettamente negativo: in Halo assistiamo ad un’umanità evoluta e supertecnologica che viene sfidata da un nemico altrettanto simile, sia per mezzi che per “furor belli”; in Fallout la tecnologia è oggetto dei desideri di qualsiasi fazione che vuole dominare sulle altre in un mondo in preda al caos e all’anarchia, soprattutto di quella “Brotherhood of steel” (in italiano Confraternita d’acciaio) che ricrea in seno all’era radioattiva un monachesimo guerriero di stampo mistico e che si pone come obiettivo una sorta di archeologia della tecnologie prebelliche per averne l’assoluto monopolio.
Il culto dell’armatura
Al centro quindi il culto dell’armatura e dell’acciaio come unico mezzo per sconfiggere i propri nemici, che sia il collettivo teocratico alieno Covenant o che siano i supermutanti del deserto del Mojave. Nelle serie uscite a distanza di un anno una
dall’altra i creatori sono riusciti a mantenere lo spirito che ha contraddistinto i videogiochi, perfino il suo black humor più spinto, ricreando quindi il fascino che ha catturato milioni di giocatori: in Halo la serie si muove bene sui passi di un eroismo
“spartano” in contrapposizione al fanatismo alieno che vorrebbe inaugurare una sorta di “fine della storia” attivando antichissime armi di distruzione di massa; in Fallout domina l’etica del singolo e viene ben posta la differenza tra mondo esterno – barbaro e violento – e microcosmo dei “Vault”, bunker antinucleari costruiti prima della guerra e abitati dai discendenti di coloro che hanno avuto abbastanza soldi per mettersi al riparo, permeati di cultura nozionistica, perbenismo e managerismo. Nei giochi come nella serie i protagonisti compiono vari “passaggi di stato”. Lucy McLean – protagonista di Fallout interpretata da Ella Purnell – dovrà abbandonare per forza di cose il mondo borghese e alienato del Vault per scontrarsi con la dura verità della zona contaminata della California: “Tu vieni da un mondo fatto di regole, di leggi,
questo posto è indifferente a tutto questo”. Insomma niente filosofie alla “restiamo umani”, anzi l’invito esplicito alla ferocia che annienta ogni falsa morale. Particolarmente significativa la scena in cui gli abitanti del Vault devono decidere in modo collettivo-democratico del destino di alcuni prigionieri – degli “intrusi” predoni che hanno saccheggiato e ucciso nel loro rifugio securitario. La scena manco a dirlo rievoca perfettamente i dibattiti sull’integrazione, dove un gruppo benestante crede di poter correggere i “difettucci” degli esterni-violenti a forza di buone intenzioni: “integriamoli” dice uno, “gli possiamo insegnare l’etica di Kant”, dice un altro; rappresentazione plastica del dramma europeo, dove le classi dirigenti rinchiuse nei
loro bozzoli credono che l’unica cosa che divida “noi” da “loro” sia una vuota cultura. Non bisogna andare troppo lontano in effetti. Lo stesso Ministro dell’Istruzione Valditara crede in questo tipo di “integrazione culturale”: diamogli la musica e le belle
arti e tutti diventeranno automaticamente italiani. Vuote speranze che saranno demolite dalla realtà. In Halo Master-Chief dovrà portarsi ogni limite umano – e sovraumano – per sconfiggere gli alieni che hanno dichiarato la loro spietata e santa guerra contro l’umanità.
Alla fine della storia c’è rimedio
In tutte e due le serie c’è un esplicito attacco all’ormai arcinoto teorema della “fine della storia” e del moto progressivo del tempo: in Halo più che mai viene messo in scena uno scontro cosmico tra una razza in ascesa nella storia – quella umana – e un collettivo di razze che dalla storia vuole fanaticamente “uscire” distruggendo qualsiasi cosa sul suo cammino. I Covenant sono fieri, fanatici e mossi da un nobile sentimento guerriero ma seguono un gruppo di “profeti” che intende attivare degli antichi artefatti, vestigia di una prima civilizzazione universale, in nome di un “grande viaggio” in un al di là non proprio chiaro nemmeno a loro. Peccato che come spesso accade a chi insegue idee di fuga dalla storia, finiranno per scatenare dei cataclismi cosmici. In Fallout – soprattutto la serie, creata da Jonathan Nolan e Lisa Joy che ricordiamo nelle serie Westworld hanno portato un attacco frontale ai “profeti del deserto” – è chiaro come un cartello di multinazionali infarcite d’ideologia liberale e manageriale intendano portare la storia del mondo “sempre diviso in fazioni in contrasto tra di loro” sui lidi di una pace perpetua attraverso lo sterminio indiscriminato di qualsiasi nemico per poi riaffermare nei secoli un dominio manageriale ed illuminato su tutta l’umanità finalmente depurata dai contrasti. Il “tempo” dice uno dei manager della Vault-tech – l’azienda che ha creato i bunker solo per poi scatenare la guerra termonucleare – è l’arma che ci permetterà di prevalere su tutti: un’idea chiaramente grottesca ma che non è troppo lontana dalle derive malthusiane e restrittive della nostra società globalizzata, che ormai legge ogni sfida del presente in chiave biblica (guardate il fanatismo green sul clima) e preferisce immaginare un’estinzione di massa come risposta ai problemi energetici e demografici, piuttosto che la fusione nucleare o la colonizzazione di Marte. Al centro degli intrighi e degli incroci resta ovviamente l’uomo e la sua armatura-pelle: l’eroico Spartan che arde su di una pira perché il suo spirito raggiunga le stelle, oppure il cavaliere d’acciaio che con il suo scudiero sfida le insidie delle terre selvagge perché la forma del futuro possa essere tagliata dalla sua spada. Battaglie ed inseguimenti.
Pirati e spie. Eroi e traditori. Bestie e botte. Queste due serie ci offrono tutto ciò di cui un uomo ha bisogno in termini di intrattenimento riuscendo nell’intento di trasportare lo spirito che ha contraddistinto i videogame in serie di successo, senza
paura di mostrare la violenza e lo splatter che li ha caratterizzati nel tempo. Resta sicuramente come traccia l’evidente riposizionamento dei contenuti streaming da un woke forzato ad un barbaro ritorno dell’anima originale di ogni intrattenimento: la tragedia e il pathos; l’avventura e lo scontro; la carne e l’acciaio che si fondono nella grande, ardente, fucina della storia.
Sergio Filacchioni