Roma, 12 giu – Grazie azzurrini, perché il vostro è stato un mondiale under 20 super. Grazie per essere giunti per la prima volta alla finale di una manifestazione che – diciamolo pure con onestà – vale molto poco per tracciare il futuro roseo delle nazionali maggiori (diversamente dovremmo dedurre di essere stati scarsi negli ultimi quarant’anni, non essendovi praticamente mai arrivati in fondo ma avendo portato a casa con gli “adulti” ben due mondiali e un europeo: stesso dicasi per i pochi successi di altre nazionali under 20 europee nel torneo). In ogni caso, ci serviva, specialmente in questo difficile momento storico.
Grazie azzurrini
Grazie azzurrini per il bel gioco, la voglia di lottare e soprattutto per le individualità espresse, unico aspetto che veramente conta nelle nazionali giovanili, considerato quanto esposto prima. Dunque benissimo Simone Pafundi, splendido Tommaso Baldanzi, grazie anche a Cesare Casadei ma anche a tanti altri, da Giuseppe Ambrosino a Mattia Zanotti. Come è logico che sia, solo una parte di voi potrebbe emergere in un’Italia normale. Ma siccome siamo in un’Italia malata – incredibilmente anche nel calcio – c’è da essere molto più pessimisti. In ogni caso, la vostra impresa sportiva serviva. Quanto meno per cercare di fare un minimo di dissidenza culturale su una questione enormemente dannosa per il calcio italiano nel suo complesso. Sconfitti da un Uruguay che ha strameritato la vittoria, sia chiaro: i sudamericani andavano a mille, al doppio se non al triplo dei nostri. Troppa differenza (soprattutto fisica) che ha schiacciato gli uomini di Nunziata. Ma non fa niente: va bene anche così.
Individualità che spariscono tutte matematicamente: è una legge scientifica
Il punto è solo questo: non è possibile che tutti i giovani si perdano per strada. È assolutamente normale che molti lo facciano, ma se si giunge alla totalità praticamente matematica, c’è qualcosa che non funziona nelle fasi di avanzamento e soprattutto nella selezione dei talenti. Abbiamo vissuto un decennio stranissimo e incredibile, al termine del quale alcuni calciatori oggi colonne della squadra campione d’Italia e della nazionale campione d’Europa – come Giovanni Di Lorenzo – sono usciti dalla Lega Pro soltanto intorno ai 25 anni di età. In cui in squadre top come il Milan un talento assoluto come Riccardo Saponara è stato mandato via dopo appena una manciata di partite in un paio d’anni (per poi sprofondare per sempre in provincia) mentre un altro talento spagnolo (Brahim Diaz) è stato titolare per quasi tre anni – ed in modo pressoché indiscutibile – avendo inciso, se va bene, in un’altrettanta manciata di partite. Esiste una sproporzione oggettiva tra le attese che si concedono a stranieri di valore almeno discutibile, e ogni talento italiano che mostri di saper giocare a pallone, talvolta anche su livelli superiori alla media. Non vediamo all’orizzonte una rivoluzione culturale tale da impedire una sorte simile – e triste – anche ai vari Pafundi e Baldanzi. Anzi, osserviamo il solito clima distruttivo e per nulla analitico. Addirittura, nei commenti sottostanti alla notizia della sconfitta in finale postata dalla Gazzetta su facebook, tanti hanno commentato parlando di “livello tecnico imbarazzante” e di incapacità dei nostri di “infilare due passaggi di fila”. Il che può voler dire solo due cose: aver visto solo la partita con l’Uruguay (ignorando molte delle spettacolari prestazioni precedenti) oppure, come spesso avviene, non guardare davvero le partite. Speriamo, in ogni caso e vivamente, di sbagliarci.
Stelio Fergola