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Gli Stati Uniti rischiano davvero una nuova guerra civile?

by Stelio Fergola
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Roma, 20 ago – Il 20 agosto del 1866 il presidente degli Stati Uniti Andrew Johnson dichiarava cessate le ostilità della guerra civile. Un conflitto accesissimo che aveva insanguinato il Paese per anni, producendo un ammontare di morti incredibile per le popolazioni dell’epoca (oltre un milione). In realtà, lo scontro nei fatti era terminato nel maggio dell’anno precedente, il 1865. In ogni caso, il ricordo della guerra di secessione statunitense è solo uno spunto da rivolgere al presente americano. O quanto meno agli ultimi otto anni, indicativi di una frattura che ormai in molti cominciano a ritenere foriera di ulteriori e nuovamente sanguinosi sviluppi.

La frattura americana tra “trumpismo” e neoconservatorismo

La precisazione da fare è la solita: chi dice che “sono tutti uguali” soffre del solito irrefrenabile rifiuto della razionalità. O, semplicemente, non ha molta voglia di ragionare e preferisce abbandonarsi alla tesi più semplice. Che dal 2016 in poi negli Stati Uniti si siano verificati degli eventi quanto meno “bizzarri” non è però oggetto di discussione. Così come non lo è il fatto che protagonista di questi eventi – nel bene e nel male – sia stato Donald Trump. Il quale vinse in quell’anno un’elezione contro ogni pronostico e contro buona parte dello stesso Partito Repubblicano nelle cui fila aveva fatto strada.

Già questo lo rendeva un personaggio significativamente differente da altri presidenti o ex candidati del Gop. La sua politica a capo degli Stati Uniti d’America, fino al 2020, ha parzialmente mostrato questa tendenza differente. L’ha palesata nella distensione con Kim Jong Un (mentre tutto l’apparato interno era propenso a uno scontro), l’ha palesata in Siria (dove l’apparato desiderava mantenere la presenza americana nell’area), l’ha palesata perfino in Iran, quando l’uccisione del generale Qasem Soleimani non ha generato nessuno scontro con Teheran (al di là delle parole dure). L’ha mostrata in Venezuela (nonostante il consigliere John Bolton avesse spinto in ogni modo in senso contrario), l’ha mostrata in Russia, dove – sempre al di là delle parole che valgono poco, se poi non c’ìè la sostanza – è rimasto tutto “fermo” per quattro anni. Non sbaglia chi sostiene che la guerra ucraina sia scoppiata con quattro anni di ritardo, con la presidenza del tycoon a “congelare” in qualche maniera una situazione complicatasi enormemente dopo il 2014.

Certamente, ha concesso molto e si è allineato su molte questioni (in alcuni casi andando anche oltre, come quando dichiarò Gerusalemme capitale dello Stato di Israele). Però il famoso “sunto” secondo il quale nessun nuovo teatro di guerra sia stato generato o “favorito” durante il suo mandato (a differenza di, solo negli ultimi 34 anni, George Bush Senior, Bill Clinton, George Bush Junior, Barack Obama e Joe Biden, repubbicani e democratici quasi egualmente suddivisi) è altrettanto incontestabile.

Come sono incontestabili le azioni durissime a cui è stato sottoposto in patria. Sia dalla stampa mainstream (ad eccezione di Fox, unico canale alleao dell’ex-presidente) che dai giudici, dalle inchieste incredibili sulle sue avventure sessuali, alle discutibilissime modalità delle elezioni del 2020 (delle quali furono provate non una, ma diverse irregolarità, con la stampa occidentale addirittura capace di negarle). Per non parlare dei fatti di Capitol Hill del 2021 che, al di là dell’attribuzione di responsabilità, restano un fatto clamoroso. Magari poco sostanziale, certo. Sicuramente teatrale. Ma comunque clamoroso, per un Paese a guida del contesto occidentale. Tanto per non farci mancare i dubbi, ci si è messo anche l’attentato a Trump del mese scorso, al quale il tycoon è sopravvissuto praticamente per miracolo. Insomma, ci vuole veramente tanta faccia tosta per sostenere che Donald Trump non abbia dato alcun tipo di fastidio alla politica americana, sia repubblicana che democratica. Ed è abbastanza inquietante che i sedicenti “sovranisti” – che ancora si definiscono tali – inquadrino le consultazioni del prossimo novembre come uno scontro tra “eguali” di cui si dovrebbe addirittura discutere un’eventuale differenza.

Gli Stati Uniti rischiano davvero una guerra civile?

Solo un tordo, insomma, può negare che sia in atto uno scontro tra minoranze in salsa yankee. Poste tutte le condizioni e gli eventi quanto meno “frizzanti” degli ultimi otto anni, il quesito si pone eccome. Quanto sia realistico è però un altro discorso. Non tanto per una questione di schieramenti e di effettivi conflitti, ma di società. Una certezza la abbiamo: tanta tensione in America non si registra davvero dai tempi della guerra di secessione ottocentesca. A livelli molto simili si è giunti con i movimenti per i diritti civili tra il 1954 e il 1968, quando oltreoceano si discusse dell’opportunità di superare una legislazione interna profondamente razzista nei confronti degli afroamericani. Ma c’è una differenza: il mondo globale che si stava allora rafforzando, esattamente come quello esploso proprio dopo “il Sessantotto” era economicamente e culturalmente interessato a superarla. Di conseguenza non c’era un reale conflitto “sistemico” ma solo superficialmente “popolare”. Come ci insegna Gaetano Mosca, sono sempre le minoranze a fare la differenza, trascinandosi dietro l’appoggio o la contestazione delle masse. Questo potrebbe essere un argomento a favore della possibilità di scoppio reale di una guerra civile.

Che però resta un’eventualità ancora abbastanza difficile (beninteso che nessuno di noi può prevedere il futuro). Per combattere, infatti, occorre stabilire quante persone siano seriamente disposte a farlo. E gli Stati Uniti del XXI secolo, similmente a tutte le società che compongono il suo decadente impero, sono abitati da una popolazione di consumisti incalliti e di “moderni” nel senso più debilitante del termine. Certamente, vivono anche il delirio di una società abituata ad utilizzare le armi come se fossero degli elettrodomestici, e questo è un altro argomento che potrebbe essere “antropologicamente” a favore di una possibilità di reale scontro fisico. La sensazione è che, ad oggi, si potrebbe quasi parlare di “guerra civile fredda”. Ovvero sì un conflitto tra minoranze con interessi diversi, ma che possa solo sfiorare una reale crisi.

Stelio Fergola

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