Roma, 27 giu – Il 26 giugno del 363, Flavio Claudio Giuliano moriva in battaglia, come un vero Cesare, nel corso della campagna contro i Sasanidi, a Maranga. Attaccato a sorpresa dal nemico nel tragitto verso Samarra, per la foga salì a cavallo senza terminare di montare l’armatura. Un giavellotto lo colpì al fianco e per le conseguenze di quella ferita morì diverse ore dopo. Aveva 32 anni e aveva regnato meno di venti mesi, lasciando tuttavia un’impronta indelebile nella storia. La ricorrenza può sembrare una curiosità per eruditi, eppure l’eredità spirituale di Giuliano mantiene una perdurante attualità. In un’epoca come la nostra, in cui la diversità fra i popoli e le culture viene vista come un male da estirpare, un retaggio arcaico da eliminare, ripensare alla visione imperiale di questo Imperatore filosofo e guerriero può darci delle coordinate spirituali cruciali.
Come noto, la visione religiosa e politica di Giuliano ruota attorno alle figure degli Dèi etnarchi, figure divine protettrici dei popoli, che l’imperatore trae dal suo retroterra filosofico neoplatonico. Scrive l’Augusto nel Contro i Galilei: “Il demiurgo è comune padre e re di tutti quanti, mentre le restanti funzioni sono state da lui assegnate a Dèi etnarchi dei popoli e protettori di città (ethnàrkais kai poliùkois teoìs), ciascuno dei quali governa in conformità con se stesso la parte che ha avuto in sorte. Infatti, siccome nel padre tutto è perfetto e tutto è uno, mentre negli Dèi particolari domina in uno una potenza e in un altro un’altra, allora Ares governa le nazioni bellicose, Atena quelle bellicose e sagge, Hermes quelle piuttosto astute che audaci; e le nazioni governate dagli Dèi rispettivi corrispondono all’essenza caratteristica di questi ultimi” (115D-E). Esiste, quindi, un archetipo celeste delle nazioni, un’essenza divina dei popoli.
A tale archetipo divino corrispondono innanzitutto i caratteri delle nazioni: “Mi si dica quale è la causa per cui i Celti e i Germani sono coraggiosi, i Greci e i Romani generalmente inclini alla vita politica e umani, oltre ad avere indole fiera e combattiva, gli Egizi piuttosto intelligenti e industriosi, imbelli e portati al lusso i Siriani, ma anche intelligenti, calorosi, agili e pronti a imparare. Se uno non vede nessuna causa di questa differenza fra le nazioni, ma piuttosto dice che ciò sia effetto del caso, come può ancora pensare che il mondo sia governato da una provvidenza?” (116B). Ma anche le diverse legislazioni sono tratte dal carattere ancestrale di ogni popolo: “Quanto alle leggi, è evidente che la natura umana le ha stabilite conformi a se stessa: civili e umane da coloro in cui era stata coltivata al massimo grado la benevolenza per gli uomini, selvagge e disumane da coloro in cui era insita e contenuta una opposta natura di costumi. I legislatori, con l’educazione, hanno aggiunto poco ai caratteri naturali e alle attitudini” (131C). Persino le caratteristiche del territorio e la conformazione fisica è spiegabile in quest’ottica: “Ciò lo si vede anche nei corpi, se si osserva quanto differiscano i Germani e gli Sciti dai Libici e dagli Etiopi. È forse anche questo un semplice ordine e in nulla cooperano con gli Dèi l’aria e il territorio nella conformazione del corpo?” (143D-E).
Quindi c’è un nesso che lega la terra, la razza, le culture, le legislazioni e le forze divine. Non è casuale che un popolo viva su una determinata terra, abbia certe caratteristiche fisiche, si sia dato certi ordinamenti e abbia una data cultura. Una nazione ha un archetipo divino e il suo compito è di restare fedele a quel prototipo, senza perdere di vista la propria tradizione. Per Giuliano, esiste un cosmo di differenze etno-culturali, a presidio del quale sono posti degli Dèi particolari, sottoposti al dominio dell’unico Demiurgo. La differenza è un dato costitutivo del mondo, non un enigma da risolvere o un peccato da espiare: ha a che fare con il tessuto fisico e metafisico stesso della realtà. Essere buoni cittadini, e ancor più buoni legislatori, significa quindi essere fedeli al proprio archetipo, essere devoti all’Etnarca, essere conformi alla propria natura. Per difendere tale concezione di un impero politico e spirituale di differenze ordinate, Giuliano non esitò a scagliarsi contro quello che era il “mondialismo” del suo tempo, annullatore delle specificità e delle tradizioni. Una lezione, questa, che non può cadere nella polvere proprio in quest’epoca.
Adriano Scianca
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Purtroppo Giuliano non sapeva che questo mondo è dominato dal Demiurgo – che non è l’entità che lui pensava, è il creatore imperfetto e malvagio precisamente indicato dagli gnostici – ed è per questo motivo gli uomini eletti come Giuliano, come Federico II di Svevia e altri “avatar” sono stati sconfitti e che oggi siamo dominati da creature vili e oscure come lo scemo Obama e lo spregevole prete venuto “dalla fine del mondo”. Leggete Serrano e vi sarà chiaro tutto. Noi siamo destinati a lottare sempre, e spesso a perdere, perché il nostro mondo è altrove.
Roma si ingrandirà sempre per incorporazione di sangue diverso, civilizzando popoli diversi e a renderli partecipi di obiettivi comuni, nell’Occidente sarà il prototipo di Stato, Roma, nella suprema indifferenza alla purezza razziale. Così iniziò il piccolo villaggio sul Palatino circodato da genti latine, razza uguale, lingua quasi identica, ma nessuna connessione reciproca, la prima fusione/stupro nel ratto delle Sabine, poi gli etruschi, fino ad arrivare ad integrare nell’impero etnie e culture molto distanti come i siriaci, egizi, sciti, daci, l’integrazione dei Galli nel senato dopo la conquista delle Gallie da parte di Giulio Cesare. La cosa stupefacente è che quando Roma sottomette queste genti non le stermina perchè i figli di sangue romano possano occupare le lore terre e non le assoggetta a schiavitù totalitaria ne à totale sudditanza ma riamangono una entità sociale distinta da Roma. Roma nella sua generosità le associa al suo progetto politico romano, senza stroncarle e senza omologarle mantendo nei gruppi sottomessi una loro indipendenza, ecco del perchè l’impero, quel gigantesco organismo è durato mille anni. Un Mondialismo Imperiale totalmente diverso dal concetto moderno, pretesa dei totalitarismi contemporanei il creder necessario che la formazione di una unità politica superiore implichi la fine dei nuclei inferiori inglobati con l’obbligo di cessare di esistere.
Infatti non bisogna ripetere il grande errore che fecero i Romani: ignorare il fatto che, allorché la loro razza originaria si fosse estinta, l’impegno si sarebbe sbriciolato sotto la pressione di nuove razze pure e bellicose, che avrebbero facilmente sopraffatto la melassa edonista e imbelle di meticci e liberti rimasta a popolare le città. Finché la società ha la propria spina dorsale in una razza forte e creativa, anche il più caotico dei multiculturalismi puà risultare fecondo; dopo, tutto finisce in merda. Vedrai cosa resterà del Regno Unito quanto a popolarlo saranno solo paki e negroidi vari: bongo bongo e culi in aria.
“Impero”, non “impegno”.
Martino grande errore?- Roma ha ignorato la razza fin da subito, la concezione basata sulla consanguineità è stata propria solo del popolo ebraico, dove l’ebraismo esclude chi non ha lo stesso sangue. Romolo e la sua banda rapiscono le Sabine, e poi ci vanno ad abitare insieme ai Sabini, si fondono insieme, è il fenomeno chiamato sinecismo (mettere su casa insieme), ricchezze e fecondità dei sabini e virtù guerriere della banda romana capeggiata da Romolo, un ordine duale che risale alla realtà più primitiva delle tradizioni indoeuropee. Roma per secoli fedele a questa tradizione ha generosamente integrato sempre i popoli mantenendone comunque le identità. Il razzismo ebraico invece sterile ed esclusivo non riuscirà mai nell’atto civilizzatore di un impero.