Bormio, 24 mag – Un affresco sulle Alpi, la firma in basso a destra è di Vincenzo Nibali. Lo Squalo messinese alta la testa, ma sopratutto sigla la prima vittoria italiana in questo Giro d’Italia del centenario. Mai il paese di Fausto Coppi e Gino Bartali aveva dovuto attendere fino alla sedicesima tappa per gioire. Solo grida strozzate in gola e tanta, ma proprio tanta, sofferenza. Il capitano della Bahrain-Merida, all’ombra dei petroldollari, ha corso con il suo solito climax. Lento incedere verso la terza settimana, una difesa strenua per rimanere agganciato a Tom Dumoulin e Nairo Quintana. Un distacco che non è mai diventato deriva. La classifica vede ora l’olandese, dal fisico alla Ivan Drago, peso massimo del pedale regale come sua Maestà il navarro Miguel Indurain, in maglia rosa a 31″ il minuto colombiano, mentre l’alfiere del pedale tricolore è a 1’12”.
Gli ultimi sette giorni di corsa, quando tutto si decide ed i rimpianti fanno a pugni con i rimorsi. La corsa si scatena, nella prima ora il gruppo accarezza i 50 chilometri orari di media, kamikaze a due ruote. Poi la salita, tanta, troppa, proprio come piace al siciliano. Prima il Mortirolo, ascesa dedicata al compianto Michele Scarponi, davanti a tutti scollina Luis Leon Sanchez compagno del ciclista di Jesi, all’Astana, fino all’ultimo giorno. Poi, la cima Coppi che fa rima, quest’anno, con il Passo dello Stelvio. Questa volta è Mikel Landa, anche lui figlio a due ruote del miglior Kazakistan, a passare in testa. Lo spagnolo della Sky guida la corsa alla ricerca del riscatto dopo un avvio di Giro non certo entusiasmante. Dietro le polveri sembrano bagnate quando, all’imbocco dell’Umbrailpass, scoppia l’intestino di Dumoulin.
A fine corsa il tulipano amaro: “Non capisco il loro comportamento, è una merda”. Bene proprio quella ha fermato il corridore nato a Maastricht, la città del trattato. Il gruppo non ha voluto scendere a compromessi, per qualche chilometro lo ha atteso, con Franco Pellizzotti, scudiero di Nibali, in testa a rallentare, ma la corsa aveva preso la sua piega. L’imprevisto è parte essenziale del tragitto. I polmoni ansimano, le gambe tremano. L’incedere è deciso. Ci provano il capitano della Bahrain-Merida ed il suo dirimpettaio Nairo Quintana. Domenico Pozzovivo e Il’nur Zakarin, dai tempi di Pavel Tonkov il ciclismo russo inseguiva un corridore da tre settimane, reggono ed accompagnano l’azione. Quando mancano 500 metri al travalicamento Nibali accelera. Solo Quintana tiene le sue ruote, mentre Landa diventa un puntino luminoso distante poche pedalate.
La discesa è degna del miglior Lucio Battisti. Il testo di Io vorrei… non vorrei… ma se vuoi cantato alla perfezione da Vincenzo. Il due volte vincitore del Giro, un Tour de France, una Vuelta de Espana, una Tirreno-Adriatico, due campionati nazionali su strada ed un Giro della Lombardia – un excursus per i nasi arricciati – segue il suo istinto. Le doti quando l’asfalto picchia verso l’inferno sono degne del miglior Paolo Savoldelli e Quintana nulla può. Nibali aggancia Landa. I due si scortano fino al traguardo – sensazionale il salto della pozzanghera da parte del siculo per evitare di bagnare i battistrada appena prima di un tornante – fino ad imboccare la volata. Il più forte è il pettorale numero uno. La corsa del centenario riapre i battenti. Tom Domoulin non ha abdicato, la rabbia lo ha tenuto in sella facendolo resistere senza naufragare, ma ora il pallino dell’inerzia è nei polpacci di Vincenzo Nibali.
Lorenzo Cafarchio