Roma, 11 mar – L’esclusione dalle elezioni di Călin Georgescu in Romania ha scatenato un’ondata di polemiche che si estendono ben oltre i confini nazionali. La sua estromissione è diventata il nuovo cavallo di battaglia per le forze populiste e filo-russe in Europa, che ne hanno fatto l’ennesima dimostrazione del “dispotismo” di Bruxelles. Ma cosa c’è di vero dietro questa vicenda? E, soprattutto, qual è il danno politico che ne deriva per l’Unione Europea?
Georgescu: un assist ai nemici dell’Europa
Călin Georgescu e i suoi cento giorni di passione: dopo aver assaporato la vittoria alle elezioni presidenziali in Romania lo scorso 24 novembre, il candidato ultra-nazionalista e filorusso si è visto prima contestare il risultato delle urne, annullato dalla Corte costituzionale a causa di “interferenze di Mosca nel processo elettorale”, ed ora è stato estromesso dalle nuove elezioni previste il prossimo 4 maggio. In mezzo un arresto con interrogatorio della polizia rumena. Nella giornata del 9 marzo la commissione elettorale ha poi confermato di averne respinto la candidatura. Ex funzionario delle Nazioni Unite, Georgescu ha acquisito popolarità grazie ai suoi discorsi incentrati sulla sovranità nazionale, sulla lotta alla corruzione e sul rilancio dell’economia rumena. Ed è proprio questo accanimento, dal suo arresto alle modalità con cui è avvenuta la sua esclusione, che ha fornito ai suoi sostenitori l’occasione perfetta per denunciare un presunto intervento delle élite europee contro un candidato “scomodo”.
Georgescu eroe? Una narrazione troppo semplice
Se anche tutte le prove del mondo dimostrassero che l’eliminazione politica di Georgescu dal gioco democratico sia stata frutto di ripicche “interne” indipendenti dall’UE, il messaggio che è passato ormai è irreversibile: il racconto che si è imposto è quello di un’UE che “fa fuori” chi dissente, alimentando la retorica dei movimenti populisti che dipingono Bruxelles come un’entità tecnocratica e autoritaria. Il solito male assoluto. Il che potrebbe essere anche sostenibile se poi non ci proponessero di sostituirlo con Russia o Stati Uniti, i campioni alterni della democrazia “messa in pericolo” da von der Leyen e sodali. Pensate il ragionamento veterosovranista quanto è riuscito a ribaltare la realtà: ora per tutti è l’Unione Europea il nemico. L’Unione Europea armata e guerrafondaia che non accetta la nuova “Pax russo-americana” e impedirebbe alla Romania la sua libera vita democratica. Una percezione alterata della realtà che ignora gli equilibri politico-economici della Romania, sempre in scontro tra banche, magistratura e politica in odore di golpismo. La retorica dell’eroe anti-establishment può essere buona per gli altri ma non per noi.
Costruzioni e narrazioni
Il caso Georgescu dimostra ancora una volta che l’Europa è un campo di battaglia: fisica e comunicativa. In un’epoca in cui la politica si gioca sempre di più sulla costruzione di narrazioni, ignorare questo dato di fatto significa consegnare un vantaggio enorme a chi vuole minare il progetto europeo. La politica non crea i contesti storici, ma li interpreta e, talvolta, cerca di cavalcarli. Esempio: Macron, con il suo improvviso discorso sul riarmo, non sta facendo altro che prendere atto di una realtà che lo supera. È il mutamento del contesto globale a imporgli questa svolta, non una sua scelta strategica autonoma. Lo stesso discorso vale per l’attuale classe dirigente europea, che per anni ha incarnato una visione politica incentrata sulla tecnocrazia, sulla globalizzazione senza confini e sulla subordinazione della politica all’economia. Un modello che oggi si scontra con il ritorno prepotente della storia in forma di conflitti geopolitici, competizione tra potenze e necessità di riaffermare sovranità e identità. Il punto chiave è che chi ha rappresentato un’epoca di debolezza strutturale non può ora credibilmente farsi portavoce di una nuova fase di potenza.
Cambi di paradigma
Il cambiamento di paradigma richiede inevitabilmente un ricambio di leadership. Macron e Von der Leyen possono provare a guidare questa transizione, ma ne sono in realtà ostaggi e questa ennesima tegola proveniente dai Balcani ne è una dimostrazione. Ma chi oggi sostiene un’Europa più forte e radicata non deve farsi ingannare dal fatto che sia proprio questa classe politica a parlare, tardivamente, di riarmo e strategia. Il movimento storico in corso li trascende e, in ultima analisi, li spazzerà via. L’Europa più forte e radicata alla fine prevarrà.
Sergio Filacchioni