Roma, 30 giu – Sono trascorsi 84 anni dalla posa di quella prima pietra della città di Littoria. Una cerimonia presieduta dal commissario Cencelli che fece seguito alla conclusione dei lavori di bonifica dell’Agro pontino e che dava inizio a quelli di costruzione, che si sarebbero conclusi in tempi record (soltanto sei mesi). Ma al di là delle ricostruzioni prettamente storiche e storiografiche relative all’evento della posa della prima pietra in sé, è sull’enorme valore simbolico e cosmico di quest’atto che è necessario soffermarsi. Ci troviamo nel 1932, in piena epoca fascista, l’Italia ha i riflettori del mondo puntati addosso e non smette di generare stupore e ammirazione nel contesto internazionale. Pochi anni prima la nave Italia era salpata alla volta dell’America Latina, portando con sé un campionario smisurato di prodotti dell’artigianato e dell’industria italiani. Sono gli anni delle trasvolate di Italo Balbo. Sono gli anni in cui l’Italia, nonostante le sanzioni e gli strascichi della crisi del ’29 riesce a eccellere in ogni campo. E’ un contesto altamente dinamico quello in cui si trova l’Italia dell’epoca, un contesto quindi necessariamente fecondo. Da cosa infatti se non dal dinamismo e dall’agire perpetuo (dalla “rivoluzione perpetua” direbbe qualcuno) scaturisce l’azione creatrice, quella capace di dare nuova forma al mondo e alle cose? E’ da questo moto perpetuo e fecondo, riflesso terrestre dell’ordine cosmico, che scaturiscono scelte rivoluzionarie e probabilmente l’essenza stessa della civiltà. Basti pensare ai continui richiami al sistema solare e alla Via Lattea che si ritrovano nelle forme architettoniche e nelle piantine delle città dei popoli indoeuropei, ma anche precolombiani e asiatici. Conoscenza nota anche in tempi più recenti se nel 1831, nel suo “Notre Dame de Paris” Hugo scrisse: ”I caratteri salienti delle costruzioni popolari sono la varietà, il progresso, l’originalità, l’opulenza, il moto perpetuo. Esse sono già abbastanza emancipate dalla religione per pensare alla loro bellezza, per curarla, per correggere instancabilmente il loro corredo di statue o di arabeschi. Esse sono al passo coi tempi, hanno qualcosa d’umano che incessantemente confondono col simbolo divino sotto il quale ancora fioriscono. Ne scaturiscono edifici penetrabili da ogni anima, da ogni intelligenza, da ogni immaginazione, ancora simbolici, ma facili da capire come la natura”.
E’ quindi un atto non solo architettonico o ingegneristico quello cui la posa della prima pietra dà avvio, ma un atto pregno di valore simbolico e, potremmo spingerci a dire, cosmico. C’è infatti un filo conduttore evidente, nella sua simbologia eterna e ritornante, tra la fondazione di Littoria e quella di Roma. E’ fondamentale comprendere il clima di fermento ideale di quegli anni per comprendere l’importanza dei richiami alla mitologia e al passato eroico della nostra civiltà. La fondazione di una città non è un semplice atto ingegneristico e architettonico, e a sostegno di questa tesi si può addurre che soltanto in determinati periodi della loro storia i popoli sono capaci di erigere opere di questa portata e di agire in questo senso. E ovviamente questo dà un’indicazione piuttosto chiara sul perché oggi si trovi difficile, se non impossibile, realizzare opere di ben più modesta caratura. L’Italia di allora fu in grado di portare a termine una simile impresa soltanto attraverso la conoscenza di sé e del suo passato mitico, e solo il possesso di questi strumenti riuscì a dare l’abbrivio a quell’opera mastodontica, difficile a realizzarsi persino oggi e con strumenti tecnologicamente più avanzati. La fondazione di Littoria esula dal contesto puramente ingegneristico (pur essendo un fiore all’occhiello della competenza italiana in questo campo) perché va ad inserirsi nel quadro di una Missione eterna che muove i passi da un evento molto simile: lo scavo del solco che doveva individuare il confine di Roma a opera di Romolo. E’ questa la grande differenza fra il semplice costruire e il “fondare”. Basti pensare che questo secondo termine in latino ha una doppia accezione: “condo” può essere riferito tanto alla posa di fondamenta quanto alla scrittura di una poesia o di un’opera narrativa.
Un atto eroico dunque, rivoluzionario certamente e, per estendere ancora di più il significato dell’agire umano in questo senso, cosmico. A chi avesse letto l’opera più possente dello scrittore americano Cormac McCarthy non può non venire in mente la frase che pronuncia il giudice Holden dinanzi alle rovine di una città nel deserto :”Ecco i padri morti. Il loro spirito è sepolto nella pietra. Preme su questa terra con lo stesso peso e la stessa ubiquità. Chiunque si faccia un riparo di canne e vi si nasconda unisce il proprio spirito al destino comune di tutte le creature e tornerà a sprofondare nel fango primordiale senza neppure un grido. Ma chi costruisce con la pietra aspira ad alterare la struttura dell’universo”. Da sottolineare inoltre che la città di Littoria non fu costruita alla confluenza di due fiumi, sulla riva di un lago o in un’altra zona votata all’insediamento: essa fu edificata in una terra strappata alla palude, ovvero una terra redenta. E’ in questo particolare più che in altri che si annida il cuore del messaggio di chi pose quella prima pietra, di chi aveva una visione del proprio compito politico come di una missione trascendentale e simbolica. E’ lì che si disputò uno scontro tra l’Uomo e la Natura, ed è lì che prometeicamente i bonificatori domarono l’acquitrino e la terra malsana, riuscendo a trasformare quella palude in una delle terre più fertili e ridenti della nostra Nazione.
La lezione di quel 30 Giugno 1932 è chiarissima: l’operato politico di una Nazione non può e non deve prescindere dalle sue radici storiche e mitiche, le uniche capaci di fungere da bussola di navigazione e di orientare l’agire umano verso un piano superiore di civiltà di esistenza ed è sufficiente guardare alla situazione in cui oggi ci troviamo per vedere con chiarezza dove porta l’oblio di questa missione.
Federico Savastano