Roma, 12 ott – Il mese di ottobre è iniziato sotto il segno di Fides. Il sacrificio in onore di questo nume veniva officiato il primo ottobre da tutti e tre i flamini maggiori (Dialis, Martialis e Quirinalis). I tre officianti si recavano al tempio su una biga coperta: nessuno li vedeva durante il tragitto, ma tutti sapevano che dentro la biga di passaggio erano presenti i tre massimi sacerdoti. Per un osservante moderno questo potrebbe sembrare un classico esempio di “fede”: io non so con certezza quello che accade ma “per fede ci credo”. Sebbene questo fosse vero solo in parte anche per i Romani, in realtà questa interpretazione risente moltissimo del significato deviato che si dà oggi al termine “fede”.
Oggi sappiamo tutti che per “fede” si intende una accettazione aprioristica di un concetto, di un dogma, di una realtà divina che deriva dall’abbracciare una certa forma religiosa. Ma il termine latino fides non aveva affatto questa accezione. Infatti esso deriva dalla radice sanscrita *bheidh– che voleva dire legare. Anche il termine greco da esso derivante, peitho vuol dire sì “persuadere” ma anche, e soprattutto, “legare”. La Fides era dunque un legame che prima di tutto teneva uniti il popolo di Roma con i suoi Dei ma che manteneva anche la coesione dell’intero popolo stesso, da qui la presenza “trasversale” dei tre flamini maggiori che rappresentavano e curavano le tre grandi forze che esprimevano la tripartizione cosmica e sociale dei popoli Indo-Arii.
Il culto di Fides, fondato da Numa Pompilio, potrebbe derivare da quello di un dio più antico, Dius Fidius, una divinità che in epoca pre-romana avrebbe potuto condividere la regalità con Giove prima di perdere la sua importanza e divenire, di fatto, solo un “aspetto” del dio sovrano. Nel suo studio comparato sulle mitologie dei popoli indoeuropei, George Dumezil aveva identificato due grandi aspetti della cosiddetta prima funzione, quella della sovranità: uno riguardante l’aspetto magico, furioso, creatore e direttamente legato alle cose dell’ “altro mondo”, quello del cielo cosmico invisibile, l’altro invece più sacerdotale, giurista, benevolo, legato ai rapporti sacri di questo mondo, quello che vive sotto il cielo luminoso.
Dumezil aveva identificato nella coppia vedica Mitra-Varuna l’archetipo di questo aspetto binario e complementare della sfera sovrana. Varuna è il sovrano terribile, lontano dalle vicende umane, punitore terribile di chi fallisce nei riti sacrificali, signore della maya, la magia creatrice delle forme con cui lega magicamente e tiene avvinto il cosmo ma anche i bersagli della sua ira furiosa. Mitra è invece il dio benevolo, luminoso, a cui la società umana si rivolge più volentieri. Il termine mitra in sanscrito vuol dire “amico” ma deriverebbe da una radice indoeuropea ancora più antica, *mei- col significato di “patto”, “scambio”, “contratto”. Era infatti il dio dei patti, dei giuramenti, degli scambi reciproci di doni, dunque di quel patto, quel legame che unisce gli Dei agli uomini e che tramite il diritto tiene anche legata la società indo-Aria.
A Roma Giove, signore del cosmo e sovrano terribile che terrorizza i nemici e punisce i cattivi officianti del culto ma anche dio sovrano del diritto, aveva appunto unito in sé le due funzioni assimilando Dius Fidius, il lato “mitraico” della sovranità. Tale aspetto era chiaramente confluito nel culto di Fides: la Bona Fides era il presupposto essenziale per ogni forma di contratto e scambio così come anche dei matrimoni – non a caso ancora oggi ci si scambia la fede – e i sacrifici a Fides venivano fatti esclusivamente con la mano destra, proprio come i giuramenti e le promesse di scambio. A tal proposito l’episodio di Muzio Scevola, che brucia la sua mano destra come pegno per aver mancato il giuramento di uccidere Porsenna, viene definito un esempio di Fides e non è casuale il suo collegamento con il mito nordico del dio Tyr – in germanico Tiwaz o Tiuz, equivalente fonetico di Dius, tutti derivanti dalla radice indoeuropea *deiw- “cielo luminoso” come l’aspetto luminoso di Mitra – che sacrifica la sua mano destra come pegno per aver ingannato il lupo infero Fenrir, divenendo così patrono dei giuramenti e dei patti. Patto, legame, coesione giuridico-sociale e legame con gli Dei dunque. Ma fides era anche altro. Il fatto di “credere” non era affatto assente, ma anche qui purtroppo soffriamo di una degradazione che ci fa intendere un termine antico in maniera parziale se non erronea.
Secondo il linguista Antoine Meillet il termine *bheidh fungeva da aggettivo verbale al sanscrito *çraddha- da cui proprio “credere” ma che anticamente non era il ritenere una cosa vera bensì la con-fidenza dell’officiante che compie un rito, la sua sicurezza di star eseguendo correttamente il sacrificio e la sua consapevolezza del fatto che il suo agire avrà un effetto concreto, reale. In India Manu, il legislatore cosmico, progenitore dell’umanità di questo ciclo nonché creatore e ordinatore del culto, era proprio sposato con Shraddha. Non è un caso che Manu sia l’equivalente del romano Numa – che per Dumezil rappresenta proprio il re “mitraico” che si contrappone complementarmente con il fondatore magico e “varuniano” Romolo – l’ordinatore del culto romano e il fondatore del culto di Fides, la cui sicurezza nei riti era tale da permettergli di tener testa perfino alle terribili richieste di Giove. E il ruolo della moglie mitica Shraddha era tenuto a Roma dalla ninfa Egeria, il collegamento alla fons divina che rischiara la mente e dona la vera vista – curioso come in francese égérie voglia dire “ispiratrice” e che Dumezil sia partito proprio da questo per effettuare lo studio comparato con i testi vedici – e omaggiata nel rito dei Fontinalia che guarda caso cadevano proprio nel mese di ottobre che iniziava con il rito di Fides. Fides quindi come legame che mantiene coesa, salda e unita la civiltà fondata sulla pax deorum e che mantiene anche la pax deorum stessa – pax deriva da *pak- : legare, unire, saldare, da cui lo stesso termine patto, e ritorna l’aspetto “mitraico” – che presuppone un legame indissolubile con la fons che dona sicurezza e incrollabilità nell’agire con la certezza della Vittoria. Nessun “credere aprioristicamente e passivamente per dogma” dunque. Credere e aver Fede presuppongono una consapevolezza attiva che non lascia spazio a chi si lascia andare senza rimanere fermo, incrollabile, assiale e indissolubilmente legato al proprio Nesso di Civiltà.
Carlomanno Adinolfi