Roma, 10 giu – Oggi è la festa della Marina Militare Italiana, celebrazione nata in occasione della ricorrenza dell’impresa di Premuda del 10 giugno 1918 quando il Capitano di Corvetta Luigi Rizzo, che poi divenne Ammiraglio e Consigliere Nazionale della Camera dei Fasci e delle Corporazioni, affondò la corazzata austro-ungarica Szent Istvàn (Santo Stefano) insieme al Guardiamarina Giuseppe Aonzo, rispettivamente a bordo del MAS 15 e del MAS 21.
L’Ammiraglio Rizzo, già volontario dell’impresa di Fiume e della Guerra d’Etiopia, soprannominato “l’affondatore” per le sue indubbie qualità guerriere dimostrate sul mare durante la Prima Guerra Mondiale, ricordiamo l’affondamento della corazzata Wien nel porto di Trieste ed il forzamento della rada di Buccari insieme a D’Annunzio e Costanzo Ciano, probabilmente oggi, a cent’anni di distanza, farebbe fatica a riconoscere la Marina Militare Italiana, forza armata che lui stesso contribuì a rendere tra le prime al mondo alla vigilia del secondo conflitto mondiale.
Difatti la situazione odierna in cui versa la Marina Militare è alquanto preoccupante: si è già parlato su queste colonne della dismissione di oltre la metà delle unità che hanno raggiunto più di 30 anni di servizio e che non prevedono, per il momento, di essere sostituite se non in piccola parte; inoltre nonostante la volontà dei quadri dirigenti di razionalizzare le poche risorse a disposizione per le Funzioni Difesa (il piano Di Paola con legge-delega n.244 del 31.12.2012) soprattutto tramite tagli al personale (10.000 tagli di unità civili da realizzarsi entro il 2024 e 33.000 unità militari), stiamo assistendo ad una vera e propria perdita dei valori fondanti la Forza Armata, che, temiamo, venga vista solamente dalla politica come una sorta di enorme servizio di soccorso in mare, piuttosto che come strumento di sovranità nazionale.
Questa visione si riflette anche, ovviamente, sui quadri, che cercano di accattivarsi le giovani menti con campagne di arruolamento non propriamente ortodosse oppure con campagne pubblicitarie che, invece di celebrare l’eroismo più volte dimostrato sul mare dai nostri marinai durante le guerre, preferiscono concentrarsi sull’apporto che la Marina Militare dà al salvataggio degli immigrati tramite le operazioni “Mare Nostrum” e “Triton”.
Tralasciando il malcontento diffuso nella Marina Militare in merito alla questione dei due Marò ancora ingiustamente trattenuti in India, che sappiamo essere dovuta principalmente alla volontà politica dei vari Governi che si sono succeduti in questi anni, piuttosto che alle decisioni degli Stati Maggiori, la situazione generale sembra essere davvero precaria, soprattutto considerando l’avviso lanciato il 6 giugno 2014 in occasione della conferenza del Centro Alti Studi della Difesa (CASD) in cui è emersa la preoccupazione per le implicazioni che potrà avere la nuova strategia adottata dagli Stati Uniti, arrivando a paventare la possibilità di un maggiore conflitto europeo o mondiale nei prossimi 20 anni: non più solamente conflitti di tipo asimmetrico quindi, come avvenuto dal termine della Guerra Fredda.
Il Mediterraneo in quest’ottica è tornato prepotentemente tra gli scenari principali in cui si svolgono le diatribe geopolitiche tra gli Stati quindi occorre, come sottolineato durante la conferenza, che si cambi radicalmente la propria narrativa in merito alla Difesa “accettando di accentuare i temi militari rispetto alla retorica delle missioni di pace e sarebbe utile un investimento a medio-lungo termine, per avviare una vera e propria opera di rieducazione nazionale alla realtà della storia e della geografia, in pratica dando corso ad un ambizioso progetto pedagogico nazionale” (da RID numero 7- luglio 2014).
Insomma, l’Italia per tornare ad essere una potenza economica mondiale ha bisogno del mare, ha bisogno di ridare impulso alla marineria soprattutto militare, ce lo ricorda anche il filosofo francese Jacques Attali, consigliere del presidente Mitterand e primo presidente della Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo, nel suo libro “Breve storia del futuro” in cui scrive che “L’Italia non è riuscita a conservare il controllo dei mari, a mantenere una forza navale, una Marina Militare e Commerciale incomparabili. Non ha saputo dare priorità allo sviluppo di un porto, che avrebbe potuto essere Genova, e di un mercato finanziario, che avrebbe potuto essere Milano […] non è riuscita a formare, a suscitare né ad accogliere una classe creativa: non ha più formato abbastanza marinai, ingegneri, ricercatori, imprenditori, commercianti e industriali” inoltre il filosofo indica la via per la ripresa “L’Italia, potenzialmente, è ancora una grandissima potenza […] l’avvenire dell’Italia dipenderà dal modo in cui saprà crearsi un ambiente relazionale […] elaborare una geopolitica e costruire le necessarie alleanze. L’Italia si trova in una posizione geografica cruciale: all’incrocio tra Europa, Africa e Medio Oriente, e potrà sviluppare un potenziale di crescita immenso se saprà approfittare di questa tripla appartenenza”.
L’unico strumento possibile per attuare questa svolta, che sarebbe epocale, è la marineria, sia civile che militare. E’ imperativo quindi tornare a navigare prima che si venga definitivamente esautorati da altre nazioni nella lotta quotidiana per la prosperità che vede, ancora una volta, il suo fulcro nel Mediterraneo, crocevia di tutti i maggiori traffici commerciali e soprattutto zona strategica per il controllo delle risorse energetiche del vicino e medio-oriente. La strada è segnata: non è più possibile rifugiarsi dietro lo spettro del “pareggio di bilancio” e continuare a usare la Difesa come serbatoio di risorse per rintuzzare i vari buchi come la politica ha sempre fatto da 20 anni a questa parte; più si investe nello strumento militare marittimo, più si creerà ricchezza non solo per la cantieristica italiana, ma per tutto l’indotto che ci gravita: ricerca in primis. Potrà quindi esserci un effetto volano i cui benefici saranno disponibili per tutto il Paese sia nel breve ma soprattutto nel lungo termine.
Buona festa della Marina Militare, sperando che nel 2025 si possa ancora festeggiarla.
Paolo Mauri