Roma, 28 mag – Dal 7 maggio 2016 si celebrerà il “Fertility Day” che avrà cadenza annuale. Ad annunciare l’istituzione di questa giornata è stata il Ministro della Salute Beatrice Lorenzin in occasione della presentazione del Piano nazionale per la fertilità che ha visto coinvolti alcuni esperti da lei nominati. Il Piano è «un programma di salute pubblica e di prevenzione per informare i cittadini e metterli in condizione di fare scelte libere e consapevoli» ha spiegato la Lorenzin durante la conferenza stampa.
I dati che sono stati presentati parlano di 2 coppie su 10 (circa il 20%) con difficoltà a procreare per vie naturali. Solo 20 anni fa erano la metà. Il 40% delle cause di infertilità riguardano la componente femminile, l’altro 40% quella maschile e c’è un 20% di natura mista. Alla luce di questi dati sono stati prefissati degli obiettivi finalizzati a richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica sul problema della denatalità: informare i cittadini sul tema della fertilità, sviluppare nelle persone la conoscenza delle caratteristiche funzionali della loro fertilità per poterla usare scegliendo di avere un figlio consapevolmente ed autonomamente; fornire assistenza sanitaria per le coppie che non riescono ad avere figli e infine rileggere la fertilità come bisogno essenziale non solo della coppia ma dell’intera società, promuovendo un rinnovamento culturale in tema di procreazione.
Ma quali sono le cause dell’infertilità di coppia?
I motivi sono disparati. Viene innanzitutto dato poco peso al fatto che tra i problemi più attuali nella lotta all’infertilità in Italia è l’età in cui le donne decidono di avere il primo figlio. Nel 2012 le mamme over 40 sono raddoppiate, passando dal 3,1 al 6,2% e l’età media del parto è salita a 32 anni. Si è inconsciamente portati a credere che mantenendo dei corpi atletici e modellati da diete e ginnastica anche le lancette della fertilità possano fermarsi. Influiscono sicuramente anche i nuovi ruoli sociali e l’emancipazione femminile che hanno spostato la maternità dopo i 30 anni, in alcuni casi anche dopo i 35 dopo gli studi, la carriera e la “vita” di coppia.
Ma per la biologia della donna, il periodo migliore per la gravidanza resta sempre la fascia 20-30 anni; dai 30 ai 40 anni è ancora possibile concepire figli, ma dopo i 40 la fertilità spontanea decresce in maniera drastica. Stesso discorso vale per gli uomini. Accanto ai problemi “fisici” anche quelli strutturali e logistici spingerebbero le coppie a procreare più tardi come ad esempio l’incertezza economica e lavorativa. A tal proposito alla fine dell’incontro il ministro della Salute ha sottolineato che esiste la volontà di «rendere strutturale il bonus bebè per i primi 5 anni del bambino».
Un’altra causa di infertilità è il tumore. Quando questo viene sconfitto, rimangono purtroppo le conseguenze delle cure subite: la chemio azzera le possibilità di procreare. In questo caso basterebbe ricorrere alla crioconservazione di ovuli e spermatozoi al momento della diagnosi. Proprio per questo sarebbe opportuno prima di iniziare le cure, che i medici informino su questa possibilità.
Infine ad ostacolare la procreazione ci sono le malattie sessualmente trasmissibili. Come ha evidenziato Andrea Lenzi, presidente della Società italiana di endocrinologia, tra i partecipanti al Tavolo «Sono in crescita le malattie sessuali tra gli under 20: Hiv, sifilide, gonorrea, Hpv. Si fa poca informazione e prevenzione. I ragazzi non sono attenti. Se oggi il 20% delle coppie che vorrebbero figli sono infertili, lo è perché non è stata fatta prevenzione prima. Stili di vita sbagliati, malattie trascurate, tutto porta all’aumento dell’infertilità».
Ad esempio oggi gli adolescenti vanno frequentemente incontro a malattie per cui può essere attuata una efficace prevenzione: circa il 40% di tutti i nuovi casi di infezione da Hiv riguardano ragazzi tra 15 e 24 anni, ma il 50% delle adolescenti con Hiv non è a conoscenza di essere positiva. Si fa fatica però a credere che il problema sia la scarsa informazione dal momento che nell’era della multimedialità con un semplice click si possono ottenere tutte le informazioni che si vogliono, precise, dettagliate e certificate. Se il 47%, sul 60% dei ragazzi che dichiara di essere sessualmente attivo, afferma di avere avuto rapporti non protetti la colpa sarebbe da attribuire alla mancata informazione sui rischi di contrarre gravidanze e malattie sessualmente trasmissibili?
I giovani sono a conoscenza dei rischi così come conoscono le conseguenze del fumo sulla salute ma questo, è stato dimostrato, non basta per fermare i comportamenti disfunzionali. Forse bisognerebbe appellarsi e facilitare lo sviluppo di altre competenze come ad esempio la volontà, il senso di responsabilità ecc.
Marta Stentella