Roma, 4 apr – “Io non sono uomo ma dinamite”, proclama Friedrich Nietzsche alle soglie del XX secolo “esplodendo” contro il filisteismo accademico, il conformismo borghese, le vecchie “Tavole della Legge”, il cristianesimo, la democrazia, il socialismo, i custodi della morale tradizionale, gli annunciatori di una “umanità nuova” riscattata dalla Rivoluzione, i progressisti e i conservatori, i materialisti e gli spiritualisti, la brutalità delle masse e l’impotenza delle “élite”, la miseria del “mondo moderno” e l’inutile eredità del passato. Alfiere dell’”amor fati”, cioè dell’intrepida accettazione del destino, Nietzsche coniuga l’ebbrezza ludica e libertaria con la forza vaticinante del profeta che smaschera e rivela. Ed è in questa vocazione/azione dirompente , capace di farsi carico del tempo e di oltrepassarlo, che si delinea il profilo del Superuomo.
Ne è ben consapevole il giovane aristocratico Julius Evola che, nel primo dopoguerra, dopo aver vissuto sul campo l’esperienza del conflitto, “cavalca la tigre” di ogni possibile esperienza. Come se, accelerare i processi della distruzione (e della possibile autodistruzione) nell’assalto alla Modernità, servisse ad aprire un varco verso l’Assoluto. In cerca dell’affermazione sovrana, dunque del dominio di sé nella “differenza”, Evola fa propria la battaglia nietzschiana contro ogni consolatoria menzogna religiosa o ideologica. Aprendosi a tutte le sfide, dalla milizia nell’avanguardia dadaista, dove si segnala come artista geniale e spregiudicato, all’attenzione verso gli itinerari sapienziali, l’occultismo, il mondo magico. Ed è proprio nella sede di un’associazione consacrata a queste discipline, la Lega teosofica Indipendente Romana, guidata da Decio Calvari, che Evola tiene una conferenza su Nietzsche il 6 dicembre 1925.
Il testo proposto in francese nel secondo numero di “ ‘900. Cahiers d’Italie et d’Europe”, edito da “La Voce” e diretto da Curzio Malaparte e Massimo Bontempelli, viene adesso pubblicato da Aragno (Par delà Nietzsche, a cura di Gianfranco de Turris, premessa di Alessandro Giuli, con contributi critici di Giovanni Sessa e di Andrea Scarabelli, pp. 68, euro 10). Un Evola che, per dirla con Giovanni Sessa, si appella ad un “ ‘Nietzsche oltre Nietzsche’ (…), facendosi “latore nel moderno del Grande Risveglio”? E che ammonisce a “non abbellire l’oscurità” che promana dalla visione dell’abisso, ma piuttosto a “trasfonderla in malia, in meraviglia, nel riso di Zarathustra che dice sì alla terra così com’è”? E’ l’occasione per scoprirlo e per aggiungere ulteriori elementi di riflessione al secolare dibattito su Modernità, Decadenza e intricati dintorni. Magari anche andandosi rileggere qualche versione dello “Zarathustra”.
Sarà in ogni caso, per dirla con Cioran, un “esercizio di ammirazione”. Perché siamo di fronte a uno stile impareggiabile. Quello in cui le parole e le cose si fondono. L’esperienza del disvelamento profetico è affidata a un crescendo di suggestioni e di immagini che saccheggiano il vocabolario. Avviene qualcosa di mirabile: il suono è il senso. Abbandonandoti al fluire delle sentenze – che sono sovrarazionali, magiche, oniriche – avverti che la mente conquista una superiore armonia. E che il sapere è un saggiare inesausto: un partire e un tornare che non si placano, ma attingono ad una energia intellettuale che è visione e che è affidata appunto alla folgorazione delle parole. Per comunicare a tutti e a nessuno, quindi per varcare quell’”oltre”, per sfidare quella “dismisura” , che è anche un intento evoliano.
Ma torniamo alle versioni dello Zarahustra. Ne consigliamo due: la prima, a firma Giorgio Colli e Mazzino Montinari, curatori dell’ Opera Omnia di Nietzsche per Adelphi, è un “classico”, attento agli aspetti filologici ma anche a quelli poetico-sapienziali dell’opera. L’altra versione (Queste le parole di Zarathustra, a cura di Giulio Sézac, Ar), è una approfondita esplorazione del/nel testo, una tessitura di note colte e criptiche che chiamano il lettore a una bella sfida. A proposito di sfide, vale la pena di leggere anche la biografia intellettuale dedicata nel 1925 al “cantore di Zarathustra” dal mitteleuropeo – di radici ebraiche – Stefan Zweig (Nietzsche. La lotta col demone, Piano B, pp.108, euro 13). Indubbiamente il Nietzsche di Zweig è un eroe della testimonianza coraggiosa, a partire dalla sua rottura con gli ambienti accademici. Insomma, abbiamo a che fare con un filologo che si ribella alla pedante grettezza della ricerca universitaria e che rilegge il mondo della grecità coniugando Apollo e Dioniso in una trama di brucianti paradossi, eleggendo la visione tragica a sigillo di avventura intellettuale e di nobiltà esistenziale e via via, da una demolizione all’altra, scatenando i demoni della follia vaticinante.
Ma se Nietzsche è intrepido dal punto di vista degli azzardi intellettuali, è trepido e “soccombente” nella vita quotidiana. Ed è proprio la quotidianità ad incalzarlo e a chiedergli l’impegno più tragico: fronteggiare la solitudine. Il Nietzsche di Zweig (come gli altri eroi in lotta col demone: Friedrich Holderlin ed Heinrich von Kleist) è solo perché inadeguato ad esistere. A vivere come gli altri, con gli altri. Il suo paesaggio interiore è arduo, addirittura invalicabile. I luoghi della sua vita errabonda- Basilea, Naumburg, Nizza, Sorrento, Sils-Maria, Genova- non hanno una vera e propria concretezza., ma appartengono, piuttosto, “allo spazio non dimensionale dell’Idea”. Anche se lui cerca approdi tangibili, dove posare i piedi. E persone con cui comunicare. Visto che il Superuomo deve riconquistare la terra. Ma il professore Friedrich Nietzsche è un uomo. Fragile, condizionato da malattie reali o presunte, inerme di fronte agli assalti della vita, a disagio nei rapporti con gli altri (in modo particolare con le donne), ingenuo, inquieto, incompreso. E tuttavia, rifiutando la “menzogna marmorea” che scolpisce il volto di Nietzsche a mo’ di un titano ribelle, si toglie qualcosa all’”eroe”? Crediamo di no. Zarathustra è anche la malinconia di Zarathustra. L’attesa e l’annuncio, certo. Ma anche il maledetto, sfibrante “mestiere di vivere”, “sulla” terra, “per” e “contro” la terra.
Mario Bernardi Guardi