Roma, 3 dic – La settimana di coppe calcistiche appena trascorsa ci dà l’opportunità di fare una riflessione su come stia cambiando, oltre che il gioco del calcio stesso (non bastasse quell’abominio del VAR ora si parla pure di espulsioni a tempo), anche la sottocultura più numerosa e longeva d’Europa, vale a dire quella del tifoso di curva (o di end, come si dice nel Regno Unito).
Modelli di tifo calcistico a confronto
Fino a pochi anni fa i modelli esistenti erano due: l’ultras all’italiana e l’hooligan all’inglese. Poi dall’est è arrivato il terzo incomodo: il fighter da scontri organizzati, vale a dire i cosiddetti, semplificando, combattimenti nei boschi.
Parliamoci chiaro, per chi è affascinato da questa sottocultura, per chi ne ha fatto parte, per chi la vive ancora oggi, i modelli di riferimento sono due, come appunto detto poco fa: il mondo britannico e quello italiano. Il gruppo come aggregazione, come ritrovo tra amici, come rito iniziatico verso l’età adulta in una società che tende ad abolire questi fondamentali passaggi, come stimolo culturale per confrontarsi, per conoscere persone che altrimenti mai si sarebbero frequentate… e poi sì, ovviamente c’è anche l’ambito del confronto fisico, ipocrita negarlo: l’adrenalina prima del possibile scontro con un gruppo rivale e tutte le chiacchiere che si fanno dopo lo stesso o dopo che questo, per qualche motivo, non sia avvenuto. E magari, nel frattempo, si guarda come sono vestiti i tuoi amici ed anche i tuoi rivali, che musica ascoltano… Insomma, un’esperienza a 360 gradi, nel bene e nel male. Perchè il più delle volte lo scontro nemmeno accade, ma le chiacchiere e la tensione fanno parte del gioco e lo rendono ancora più intrigante.
Esperienze personali
Ho fatto per tanti anni parte di tutto questo che, anche ora che lo guardo dall’esterno, di fatto ne sono ancora coinvolto e penso che sarà una cosa che mi porterò dietro tutta la vita. Eppure, da qualche anno a questa parte, i modelli britannico ed italiano sono stati innegabilmente superati o, per lo meno, messi seriamente in discussione. A partire dall’Est Europa ha preso piede un approccio più sportivo a tutto quanto l’ambiente. Lo scontro fisico non diventa più solo un’opzione, ma diventa la sola ed unica ragione che spinge a far parte di questo mondo. E non solo lo scontro è il motore del gruppo: esso viene anche organizzato in appositi spazi aperti, con tanto di divise, pari numeri e regole ben definite. Ne consegue ovviamente che se non si possiedono skills di arti marziali parteciparvi non è nemmeno da prendere in considerazione. Inoltre il tutto si riduce ad un mero atto sportivo, senza tutto il fascino della sorpresa, tralasciando il fatto che ormai il tifo calcistico perda totalmente di significato: il più delle volte il combattimento avviene senza nemmeno una partita di calcio come pretesto. Il fatto più incredibile è avvenuto qualche anno fa: i Methalist Kharkiv si sono fatti duemila km dall’Ucraina per andare in Germania a combattere un 12 vs 12 con quelli dell’Erzgebirge Aue, tifosi di una squadra di seconda serie. I Kharkiv erano già sul posto, quando i tedeschi si sono tirati indietro; allora, tramite quelli del Monaco 1860, sulla via del ritorno hanno sostenuto un combattimento contro i giovani dello Sparta Praga, vincendolo in due minuti. Se pure voi siete rimasti basiti da questo racconto, be’ siete in buona compagnia! Ma pensate che in Bulgaria si è arrivati anche al combattimento uno contro uno, tra il leader dei CSKA e quello del Levski, le due squadre eterne rivali di Sofia. E addirittura questa settimana alcuni hooligans polacchi sono volati in Brasile per addestrare in una favela dei giovani tifosi locali al combattimento!
Trasferte e repressioni
Ciò non di meno tutto questo esiste, anche se non lo comprendiamo bene ed ora sta prendendo piede in quasi tutta Europa (persino inglesi e spagnoli iniziano a praticarlo) e non si può non considerarlo ormai parte integrante del movimento stesso. Vale a dire che, se si affrontano trasferte in Europa, questo mondo avrà a che fare con te, che tu lo voglia o meno (pensate agli inglesi a Marsiglia 2016 quando vennero attaccati dai russi). L’esasperata repressione poliziesca e la sovraesposizione mediatica del calcio, del resto, hanno reso quasi del tutto impraticabile il modo di vivere ultras/hooligan al quale siamo sempre stati abituati (e che di fatto amiamo), creando così il terreno fertile per la nascita (in un contesto sociale già diverso come quello est europeo) di un modo tutto diverso di vivere lo stadio. Se ne è già accorto anche il cinema, con Okolofutbola in Russia, Green Street 3 nel Regno Unito e Furioza in Polonia, e la letteratura, con Hool in Germania. E pensiamo al conflitto in Ucraina: tutti i gruppi organizzati di ultras della nazione si sono coalizzati per andare a combattere, e purtroppo anche a morire, al fronte. Mentre nel resto d’Europa, nelle manifestazioni a difesa delle città, si possono sempre più frequentemente trovare fianco a fianco ultras, hooligans e fighters.
Roberto Johnny Bresso