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“Essi vivono”, il manifesto politico di John Carpenter

by Roberto Johnny Bresso
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Essi vivono Carpenter

Roma, 2 giu – John Carpenter è sempre stato un personaggio fuori dagli schemi nel mondo hollywoodiano: persino quando nel cinema statunitense vigeva un minimo di libertà di pensiero la sua figura è sempre stata vista con sospetto, a causa delle sue idee mai in tendenza con la causa liberal che da sempre imperversa in quell’ambiente. Certo, essendo un genio, la sua opera non poteva comunque essere del tutto ignorata, a maggior ragione visto che ha goduto anche di immensa fama commerciale, soprattuto grazie alla saga di Halloween ed all’inquietante figura di Michael Myers. Ma tutte le sue pellicole, anche quelle più mainstream, sono sempre state intrise di un messaggio politico molto scomodo ed inviso all’establishment. Basti pensare a 1997: fuga da New York, Distretto 13 – Le brigate della morte, La cosa e Il seme della follia, tanto per citare solamente alcune delle sue opere più celebri.

Essi vivono, il capolavoro “politico” per eccellenza di Carpenter?

Ma il film che forse rappresenta al meglio il suo manifesto politico, caratterizzato da un lucido pessimismo riguardo le élite mondiali, il capitalismo e il destino dell’umanità, è Essi vivono (in originale They Live): un’opera che, vista con gli occhi di oggi, ci sembra un inquietante documentario sulla realtà odierna, più che un’affascinante opera di fantascienza. Alla base dello script abbiamo il racconto breve di Ray Nelson Eight O’Clock in the Morning, scritto nel 1963 e dal quale Carpenter decise di realizzarne una versione cinematografica, uscita poi nelle sale cinematografiche nel 1988.

Il film inizia con il disoccupato John Nada che lascia Denver per ricominciare una nuova vita in una Los Angeles degradata, nella quale centinaia di migliaia di poveri sono ammassati in baraccopoli, sognando la possibilità di accedere alle gioie del sogno americano capitalista. Una minoranza di loro (con la quale Nada entra in contatto) però, tramite degli speciali occhiali che, una volta indossati, permettono di vedere la realtà nascosta, scopre che la Terra è stata invasa ormai da molto tempo da una specie aliena, la quale (al contrario di come capita in moltissimi altri film) non ha sottomesso gli umani con la violenza e la dittatura, ma con l’illusione di una democrazia che finga di poter garantire a chiunque stabilità e benessere, soprattutto tramite il continuo acquisto di beni di consumo, attraverso televisione e spot pubblicitari che diffondono tutto il giorno messaggi subliminali. Senza voler svelare troppo della trama, per chi non lo avesse ancora visto, si può aggiungere che il finale è ancora più pessimista di tutto lo svolgimento della trama: anche numerose fasce della popolazione terrestre erano da tempo a conoscenza del piano alieno, ma hanno preferito abbracciare questa “dittatura del sorriso”, consapevoli che l’uomo aveva perso la propria battaglia per una società migliore già ben prima dell’arrivo degli invasori e, quindi, perché non godere di qualche briciola di benessere piuttosto che lanciarsi in una battaglia persa?

Il protagonista

Il ruolo del protagonista doveva essere affidato a Kurt Russell, attore feticcio di Carpenter, ma, essendo impegnato in un altro lavoro, John Nada venne interpretato dal wrestler canadese Roddy Piper, che diede vita ad una maestosa e indimenticabile interpretazione. Essi vivono al botteghino si rivelò un modesto successo commerciale e la critica lo considerò reazionario (cosa veramente paradossale per un’opera dai contenuti così rivoluzionari), ma negli anni il mercato dell’home video prima e quello di internet poi lo consegnarono alla meritata immortalità. Il film di Carpenter venne finalmente recepito per quello che era: una spietata critica alla democrazia ed al suo fondarsi sul consumismo più sfrenato. Gli alieni, come anche in altre opere del regista, non sono altro che una metafora dei potenti del mondo e dei loro modi “gentilmente” coercitivi. Non viene comunque risparmiata critica nemmeno alle masse, viste come inermi di fronte a qualcosa che sentono ineluttabile e ormai del tutto disabituate alla lotta. E pensiamo che tutto questo è stato concepito prima dell’impennata di indottrinamento al quale tutti noi siamo soggetti nell’era del web.

L’eredità della pellicola è stata poi enorme in ogni campo artistico: ci limitiamo a citare lo street artist Shepard Fairey con il suo marchio OBEY (lo slogan di obbedienza che gli alieni inculcavano nella popolazione tramite i mass media), che, curiosamente, ha usato come logo il volto di un altro wrestler professionista, André the Giant.

Roberto Johnny Bresso

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