Roma, 2 dic – “Che Carli dovesse morire di morbo lento è terribile […] Solo una fine eroica, che egli fallì, sarebbe stata degna di così eccezionale bellezza”. Così venne scritto nel 1935 del militare, giornalista e rivoluzionario Mario Carli quando morì a soli 47 anni. Nonostante oggi sia pressoché dimenticato è indubbio il grande ruolo che egli ebbe all’interno del fascismo e del futurismo, al punto da averne persino condizionato diversi aspetti.
Amico di Mussolini, D’Annunzio e Marinetti, Mario Carli nasce nel 1888 a San Severo, un piccolo paese del Lecciano, in una famiglia della piccola borghesia. In un contesto famigliare tranquillo e sereno si appassiona subito ad autori considerati sovversivi, come Baudelaire e Nietzsche, dai quali trae grande ispirazione e grande amore per la letteratura.
Da ragazzo Carli decide di intraprendere una carriera diversa da quella del padre ferroviere e dalla famiglia ottiene l’appoggio per seguire gli studi universitari a Firenze. Nella città di Dante il giovane scopre un lato tutto nuovo della vita: quello dell’attivismo politico, inizia a scrivere per diversi giornali d’arte e politica locale. Aderisce fin da subito alla “Pattuglia Azzurra”, un gruppo di ragazzi assetati d’azione. Qui conosce i suoi più grandi amici, tra cui Emilio Settimelli, dal quale non si separerà mai. Si innamora del Futurismo fin dalla sua nascita e negli anni ’10 stringe una profonda e duratura amicizia con Filippo Tommaso Marinetti. Inizia così ad elaborare un concetto di futurismo politico che arriva a condizionare tutto il movimento stesso.
Allo scoppio della Grande Guerra viene esonerato a causa della sua forte miopia. Tuttavia egli desidera combattere e non si accontenta nemmeno quando è assegnato alla burocrazia militare in un polveroso ufficio di Avellino. Passano i mesi e, dopo numerose insistenze, gli è concesso di partire per il fronte anche se solo come zappatore. Ancora non soddisfatto dalla semplice militanza nel genio e dopo un’ulteriore dose di pressioni è finalmente accettato in fanteria, dove fin da subito si distingue per coraggio e motivazione. Non a caso che nel 1917, alla fondazione del corpo degli arditi, egli si offre volontario per i nuovi corpi elitari. Fin da subito Carli si dimostra ardito tra gli arditi, distinguendosi nelle operazioni più temerarie e ben presto scala letteralmente le gerarchie militari, fino a diventare capitano pluridecorato.
Dal fronte continua anche la sua produzione letteraria, gestendo varie riviste dalla trincea, come “l’Ardito” e “Roma Futurista”. La fine della guerra non placa il suo arditismo, quindi fonda la prima squadra d’azione a Roma di stampo futurista. Nel 1919 Carli continua a gestire testate giornalistiche per arditi e patrioti, tenendo alto l’onore di un corpo all’epoca già odiato da liberali e socialisti. Presenzia anche in piazza Sansepolcro, al fianco di Mussolini, alla fondazione del PNF. Sempre nel 1919 è alla testa di un corteo di arditi, ex militari e patrioti per protestare contro i risultati insoddisfacenti del Trattato di Versailles. Per questa manifestazione Mario Carli viene punito, in quanto membro del corpo ufficiali, con un trasferimento a Cremona, dove è rinchiuso in caserma per mesi. Questo non gli impedisce di scappare per schierarsi in prima linea durante l’impresa di Fiume.
L’esperienza fiumana influenza profondamente l’animo di Carli: qui fa la conoscenza di personalità come Guido Keller, Mino Somenzi e lo stesso Gabriele d’Annunzio, ottenendo da quest’ultimo gli elogi più sinceri. È proprio a Fiume che Mario Carli fonda il celebre giornale “La Testa di Ferro”, testata informativa per tutti i legionari fiumani.
Il suo animo irriverente, tuttavia, lo porta ad avere contrasti anche con la Reggenza del Carnaro che, nonostante gli interventi di d’Annunzio, lo invita a trasferirsi a Milano con l’intera redazione de “La Testa di Ferro”. Inizia così il suo periodo milanese caratterizzato da una forte tendenza al monarchismo e da una perdita dei contatti con gli ambienti mussoliniani. Carli, tuttavia, ha ancora a cuore la questione di fiumana. Saputo dell’invasione di Fiume da parte del Regio Esercito, organizza con gli anarchici un attentato alla centrale elettrica di Milano, così da provocare insurrezioni e distogliere parte dell’attenzione pubblica. L’attentato fallì in fase organizzativa, la fretta e la tempestività dell’organizzazione aveva infatti attirato l’attenzione delle forze di polizia che arrestarono Carli in un blitz nel suo appartamento.
Uscito di prigione fonda “Il Principe”, evidente elogio a Machiavelli e quotidiano di tipo futurista e monarchico. La Marcia su Roma segna per Carli un punto di svolta, aderendo al fascismo e alla rivoluzione in corso. In questo periodo fonda il suo ultimo giornale: “L’Impero”, insieme a Settimelli e Marinetti, dove sostiene le ragioni dell’imperialismo italiano. Carli non può che ritenersi soddisfatto e felice del nuovo governo, che elogia ed appoggia senza, però, risparmiare critiche quando lo ritiene opportuno. Egli ammira la visione unificatrice, rinnovatrice, imperiale e ancora patriottica, corporativista e intransigente della nuova linea mussoliniana tanto che arriva a definirsi un sostenitore del fascismo, appunto, intransigente. Gli vengono affidati, così, incarichi diplomatici da console in Brasile a Porto Alegre (1930-1932) e in Grecia a Salonicco (1934-1935).
Per sua disgrazia, si ammala in Grecia, e rientrato a Roma muore nel settembre 1925 a soli 47 anni. Si spegne così una personalità illustre del futurismo e del fascismo rivoluzionario, un uomo che, se solo fosse vissuto più a lungo, con la sua personalità temeraria sicuramente avrebbe potuto ricoprire un ruolo non indifferente anche nella Repubblica Sociale Italiana.
«L’Ardito è il futurista di guerra, l’avanguardia scapigliata e pronta a tutto, la forza agile e gaia dei vent’anni, la giovinezza che scaglia le bombe fischiettando i ricordi del Varietà»
(Mario Carli, A me, Fiamme nere!)
Giacomo Morini
Eroi dimenticati: Mario Carli, l’ardito futurista fondatore de “La Testa di Ferro”
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