Roma, 30 mar – Una parola per descrivere Carlo Cattaneo è “devozione”. Ne abbiamo conosciuti a bizzeffe di soldati che hanno vestito l’uniforme più volte per difendere l’Italia dal nemico, alcuni sono sopravvissuti a guerre, genocidi e stragi, altri sono morti per difendere il proprio Paese.
La patria, il mare, il cuore
Carlo Cattaneo nacque il 6 ottobre 1883 a Sant’Anastasia in provincia di Napoli. Il mare, il porto e la vita nel capoluogo campano non potevano non attrarre anche il giovane Cattaneo che, giovanissimo, frequentò la Nunziatella per poi frequentare, ad inizio ‘900, la Regia Accademia Navale a Livorno. Cattaneo uscì dalla scuola con il grado di guardiamarina e venne imbarcato sull’Ammiraglio di Saint Bon, una nave da guerra costruita a Venezia nel 1901 e messa in utilizzo per raggiungere la Sicilia. A Messina, infatti, il terremoto del 1908 tolse la vita a oltre 100mila persone e distrusse gran parte delle costruzioni della città siciliana.
La prima vera azione di guerra di Cattaneo fu nel 1911 a Tripoli. In questa occasione il soldato si distinse a tal punto da ottenere una medaglia d’argento al valor militare: “Alla testa di un reparto a Tripoli prese parte a tutte le operazioni durante il mese di ottobre, dimostrando sempre, sotto il fuoco nemico, serenità e coraggio ed originando col suo esempio il magnifico contegno dei suoi dipendenti” e la promozione a sottotenente di vascello. Al comando della Regina Elena, infatti, condusse l’attacco per la conquista della città libica e la successiva invasione italiana.
Dal 1915 al Dopoguerra
Carlo Cattaneo dimostrò il proprio valore anche durante il primo conflitto mondiale. In una medaglia di bronzo possiamo leggere: “In occasione del siluramento della Regia Nave “Garibaldi” con manifesto pericolo della propria vita, è stato negli ultimi a lasciare la nave, coordinando il salvataggio del personale e preoccupandosi della salvezza dell’ammiraglio, dal quale tentò di ritornare incamminandosi verso prora, ciò che però gli fu impedito per l’eccessiva inclinazione della nave”. Il contributo dato da Cattaneo sull’Orsa e sul Carabiniere gli permisero di ottenere molti riconoscimenti. In primis, venne promosso a capitano di corvetta, poi venne mandato ad Istanbul con la delegazione navale italiana in Turchia.
Da Costanza a Vienna, Cattaneo condusse una crociera per le autorità dell’Europa centrale mentre ricoprì il ruolo di addetto navale in Jugoslavia e Romania. Negli anni a venire ottenne molte promozioni fino a quella di ammiraglio di divisione alla fine degli anni ’30 oltre che il comando della famosa Alberto da Giussano.
La morte a Capo Matapan
Carlo Cattaneo indossò l’uniforme, questa volta pluridecorata, ancora un’ultima volta. Il 26 maggio 1940 venne posto a capo dell’incrociatore pesante Trento e combatté con i suoi compagni nella battaglia di Punta Stilo dove, malgrado le forze inglesi ed australiane fossero in netto vantaggio numerico e di munizioni, gli italiani resistettero strenuamente. Tra queste navi figurava anche l’incrociatore pesante Zara, prima nave ad aprire il fuoco.
A questa fu affidato Carlo Cattaneo che la condusse dopo l’attacco inglese al porto di Taranto. Cattaneo troverà la morte il 29 marzo del 1941 in occasione della battaglia di Capo Matapan. Lo scontro fu una carneficina per la Marina Italiana che perse molte navi e ancor di più uomini. A Cattaneo è stata commemorata una medaglia d’oro al valor militare recitante: “Comandante di una divisione navale, che egli aveva istruita, allenata e forgiata con alto intelletto, con paziente amore e con appassionata costanza, alla battaglia di Punta Stilo, essendo in testa alla formazione, con pronta iniziativa e con audace spirito aggressivo affrontava gli incrociatori nemici e con brillante manovra rendeva vani i numerosi attacchi degli aerosiluranti. La notte sul 28 marzo, nel tentativo di sottrarre all’offesa nemica un incrociatore colpito da siluro; assalito improvvisamente da forze navali soverchianti, le affrontava con impavida serenità e con consapevole audacia. Nel breve, durissimo combattimento egli profondeva le sue doti di mente e di cuore quando la nave ammiraglia, squarciata e incendiata, non aveva più possibilità di offesa né speranza di salvezza, riuniva a poppa i superstiti per lanciare sul mare e oltre il mare l’ultimo grido di fede: «Viva l’Italia, Viva il Re, Viva il Duce». Compiuto tutto il suo dovere oltre ogni umana possibilità egli scompariva in mare con la sua nave e con la sua insegna al vento, sicuro che il suo gesto sarebbe stato esempio di quelle alte virtù di dedizione e di passione, che splendono luminosi nel tempo e nella tradizione”.
Tommaso Lunardi