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Eroi dimenticati: Liuzzi, il calciatore di Guadalajara che morì sul campo di battaglia

by La Redazione
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Roma, 12 mar – Il 1° di marzo del 1898 nasceva Alberto Liuzzi in un paesino in provincia di Udine. Di origine ebraica era figlio di Tullio Liuzzi, medico di guerra nel primo conflitto mondiale. Entrambi, infatti, vennero chiamati alle armi e si distinsero particolarmente sullo scenario alpino rimediando ben tre Croci al Valore Militare. Ottenuto già il ruolo di sottotenente degli Alpini nel 1917 dopo aver frequentato l’Accademia di Modena, Alberto lasciò il campo di battaglia con il grado di tenente. Sposatosi con Raffaela Ligugnana nel 1919, ebbe quattro figli, quasi tutti seguiranno le orme militari del padre; in particolare il suo omonimo diventerà ingegnere navale esperto di sommergibilistica e lavorerà alla creazione di mezzi bellici sottomarini per oltre 15 anni per poi occuparsi della costruzione di impianti petroliferi e navi da crociera. Liuzzi era un grande sportivo. Seguendo le orme del padre, divenne campione friulano e veneto di atletica ma amava anche il calcio. Nella stagione 1922 – 23 ricoprì il ruolo di capitano dell’Udinese quando ancora giocava nella “Lega Nord” della Prima Divisione. Appassionato di pugilato, vi sono alcune foto che lo ritraggono assieme al gigantesco Primo Carnera.

All’indomani della Marcia su Roma, si arruola nella Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale ottenendo il titolo di centurione. Nell’ottobre del 1936 fu promosso al grado di Console della Milizia. Di carattere assolutamente carismatico ed estroverso, era molto ben voluto dai suoi compaesani anche, addirittura, da chi gli era politicamente inviso. Venne definito come “molto altruista” un uomo “da cui scaturiva una simpatia non comune”. Per questo svolse, negli anni prima del ’36, anche il ruolo di commissario prefettizio a Gemona. Arruolatosi con il Corpo Truppe Volontarie nel gennaio del 1937, partì alla volta della Spagna a sostengo delle truppe franchiste. Membro della divisione “Penne Nere”, partecipò alla Battaglia di Guadalajara; uno scontro sanguinosissimo, privo di senso morale e ideologico risoltosi con praticamente un nulla di fatto.

Il 12 marzo, l’amato soldato, il calciatore, il padre di famiglia cadeva sul suolo iberico quando il suo autoblindo venne centrato in pieno da una bomba dell’aviazione repubblicanaIl soldato venne commemorato e ricordato con una Medaglia d’oro al Valor Militare che recita “Nel generoso atto, che era valso a rianimare e rinsaldare la resistenza dei suoi, cadeva colpito a morte, dando esempio di fulgido valore e di magnifiche qualità di comandante”. Dopo il conflitto, la famiglia Liuzzi fece costruire un monumento nel punto in cui era caduto il loro caro ma, nel 1969, considerato ormai “politicamente scorretto” il vecchio generale Francisco Franco, l’uomo per il quale il giovane Alberto era caduto, lo fece distruggere e riassemblare in modo più contenuto vicino alla sede del Comitato Onoranze funebri dello Stato Maggiore della Difesa.

Tommaso Lunardi

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ANTERO 13 Marzo 2018 - 8:41

Semper Fidelis ! W I D S !

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Gianfranco 15 Agosto 2021 - 12:56

Molto bello, a parte che avete copiato l’articolo dal sito (https://guadalajaraenguerra.blogspot.com/2016/05/la-tumba-del-general-liuzzi-en.html) spagnolo di cui al link, avete dimenticato di mettere il resto.
“l’Italia fascista, fino al 1938 aveva ben cura di tutti gli italiani, a prescindere della fede religiosa professata: fino al 1938.
Già, fino al 1938…
In quell’anno infatti, furono promulgate le vergognose leggi razziali e gli ebrei non potevano più ricoprire incarichi (ecc ecc, ma voi lo sapete bene) e i VOLONTARI ITALIANI IN SPAGNA fascisti, alcuni dei quali con già un semestre di campagna sulle spalle, ricevettero una VERGOGNOSA lettera del governo fascista, che intimava di lasciare il fronte e rimpatriare seduta stante.

Bel ringraziamento…

Probabilmente, il nostro (nostro, mio, non nostro anche vostro) eroe, se mai fosse sopravvissuto al fatidico bombardamento (a proposito, non era a bordo di una autoblinda, ma di un CV 33 1^ serie) sino a vedere l’occupazione italiana tedesca, probabilmente sarebbe passato da San Sabba.
Con buona pace di tutta la retorica che gronda in questa pagina.

Firmato,
Un nipote di un volontario fascista in Spagna, che ha avuto la nonna deportata a San Sabba, nonostante i 18 mesi in Spagna del nonno.

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