L’articolo Da «male assoluto» a cuore del sovranismo di Valerio Benedetti, pubblicato sul Primato Nazionale di marzo 2019 dedicato al fascismo, ha suscitato l’interesse e alcuni rilievi critici da parte del prof. Francesco Coppellotti, curatore e traduttore delle opere di Ernst Nolte in Italia. Pubblichiamo quindi volentieri lo scritto critico di Coppellotti e la replica di Benedetti.
Roma, 27 mar – Da quando il Primato Nazionale è nelle edicole, seguo il Vostro mensile con vivissimo interesse, perché ritengo che riempia un vero vuoto nella stampa italiana e possa dare voce finalmente a tutti coloro che non si riconoscono nel mainstream del pensiero unico dominante e cercano uno strumento in cui discutere liberamente i grandi temi della politica, della cultura e della storiografia. In quanto traduttore e curatore delle opere di Ernst Nolte in Italia ho visto con molto piacere ricomparire sulle vostre colonne la foto di Ernst Nolte, dopo un periodo troppo lungo nel quale sembrava scomparso dal dibattito, che la sua presenza e il suo pensiero avevano notevolmente influenzato nella fase che va dagli ultimi anni Ottanta fino al primo scorcio del XXI secolo, dando origine anche ad un volume, edito in Germania, intitolato significativamente Italienische Schriften, pubblicato dall’editore Landt a Berlino nel 2011.
Uno dibattito mai concluso
Il dibattito in Italia era iniziato nel 1988 con la mia traduzione de La guerra civile europea 1917-1945: nazionalsocialismo e bolscevismo e, nel 1993, con la traduzione de Il giovane Mussolini: Marx e Nietzsche in Mussolini socialista. Recentemente, nel 2018, ha riaperto la discussione su Ernst Nolte un libro, che riunisce alcuni saggi a cura di Luigi Iannone, intitolato Ernst Nolte: fascismo, nazismo e comunismo (Editore Solfanelli), nel quale ho scritto un contributo che racconta la storia molto travagliata della traduzione delle opere di Nolte in Italia, che è ben lungi dall’essere conclusa, anche perché non sono stati ancora tradotti alcuni testi fondamentali dello storico tedesco quali sono ad esempio Marxismus und industrielle Revolution, Deutschland und der kalte Krieg e Geschichtsdenken im 20. Jahrhundert che attendono di trovare ancora il loro editore. Se la traduzione delle opere di Nolte è ben lungi dall’essere conclusa, la sua recezione meditata, al di fuori del fuoco della polemica immediata legata allo scoppio dell’Historikerstreit, si può dire che paradossalmente non sia ancora iniziata.
Fascismo e filosofia
Ho letto quindi con molto interesse il contributo di Valerio Benedetti Da «male assoluto» a cuore del sovranismo che, pensando al fascismo, riassume paradossalmente in termini sintetici proprio il senso di quella che Nolte ha chiamato fin dalla prima edizione di Der Faschismus in seiner Epoche (1963) la concezione transpolitica della storia, intitolando l’ultimo capitolo del libro Der Faschismus als transpolitisches Phänomen, nel quale viene chiarito il concetto di trascendenza, la determinazione transpolitica come richiesta della cosa stessa, la trascendenza pratica e il senso filosofico della modernità, in tre paragrafi dedicati rispettivamente a Marx, Nietzsche e Max Weber.
La «trascendenza» secondo Nolte
La prima edizione italiana del libro del 1966 I tre volti del fascismo aveva il titolo non dell’edizione tedesca originaria, ma di quella americana Three Faces of Fascism, ed era naturalmente priva della nuova prefazione Sguardo retrospettivo e bilancio alla fine di un lungo cammino, che Nolte ha scritto per la nuova edizione italiana del 1993, che portava il titolo originario Il fascismo nella sua epoca. Questa nuova prefazione è essenziale perché aiuta a capire perché questo concetto non sia affatto «un po’ fumoso», come sostiene Valerio Benedetti. Sembra proprio che Nolte in questa nuova prefazione risponda in anticipo a Benedetti quando scrive: «Anche qui (nei tre libri su Nietzsche e il nietzscheanesimo, sul pensiero storico nel XX secolo e sul rapporto di Heidegger con la politica e con la storia) rimase essenziale un concetto, quello di “trascendenza” che è stato sviluppato nella quinta ed ultima sezione del Fascismo nella sua epoca, che per altro fu scritta per prima. Negli anni Sessanta la tesi che il fascismo fosse al tempo stesso “resistenza contro la trascendenza pratica e lotta contro la trascendenza teoretica” suscitò molta meraviglia e perplessità, giacché a mia conoscenza il concetto di trascendenza non si trova pressoché mai e comunque non in una posizione rilevante, nell’insieme della letteratura sul fascismo già vastissima prima del 1963. Devo però, come già ho fatto altrove, sottolineare ancora una volta che non si tratta di alcunché di mistico o di astruso. […] Tuttavia trascendenza non si può identificare semplicemente con “progresso” o “civilizzazione”, giacché il concetto esprime piuttosto la tendenza dell’uomo a travalicare il suo essere che costituisce il fondamento della possibilità del progresso e si manifesta come processo universale. […] La trascendenza teoretica è riconoscibile già all’origine dell’umanità, sia nella forma mitologica che in quella della filosofia più antica; la trascendenza pratica appare solo agli inizi dell’industrializzazione. […] Alla fine del libro è appunto scritto che la trascendenza non è il luogo del riposo dell’uomo finito ma in enigmatica unità, il suo trono e la sua croce. […] Il concetto di trascendenza non coincide propriamente con progresso o civilizzazione. Esso evoca piuttosto l’esatto contrario dell’entusiasmo per il progresso e dell’ottimismo della civilizzazione: l’angoscia di fronte all’annientamento delle belle forme dell’umanità concreta, nonché dell’umanità stessa» (pp. II-III).
L’essenza del fascismo
Non si tratta dunque di qualcosa di un po’ fumoso o di astruso, mistico, perché per cogliere il fenomeno del fascismo nella sua totalità bisogna esporre la questione dell’essenza del fascismo, con concetti filosofici, anche correndo il pericolo che l’oggetto dell’analisi sembri scomparire per un attimo e che lo sforzo dell’astrazione perda la connessione che ci permette l’evidenza della visione. Ma questa astrazione non è una speculazione campata per aria, perché ogni analisi storica che sia profonda deve imbattersi contro qualcosa che non si presta più a nessuna deduzione, contro qualcosa di primordiale. La filosofia e la storiografia non devono seguire vie separate come ha insegnato Hegel e per certi versi lo stesso Heidegger.
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Proprio per aver trascurato il nesso tra filosofia e storiografia Adriano Romualdi, citato con approvazione da Valerio Benedetti, poteva scrivere: «Nessuno [come Nolte] ha infatti così coerentemente legittimato lo status quo instaurato sulle macerie del fascismo. Il processo di Norimberga ne esce come un verdetto dello spirito universale contro l’idea della sovranità nazionale». Se Benedetto Croce ha condannato in un famoso discorso al parlamento del 24 luglio 1947 il processo di Norimberga sostenendo che Norimberga è «un tribunale senza alcun fondamento di legge […] un’infrazione della morale qui indubbiamente accade, ma non da parte dei vinti, sì piuttosto dei vincitori, non dei giudicati, ma degli illegittimi giudici», Ernst Nolte ben lungi dal considerare il processo di Norimberga come un verdetto dello spirito universale contro l’idea della sovranità nazionale, dà un fondamento ulteriore storico e filosofico alla tesi crociana laddove precisa che la seconda guerra mondiale è stata l’«ambivalente trionfo del messianismo giudaico»: «Lo spirito (Geist) vinse nel 1945, ma creò la bomba atomica. L’anima (Seele), cioè le forme tradizionali della Kultur, subì una gravosa sconfitta, ma scomparve così poco dal mondo quanto la ragione è capace di eliminare nell’uomo angosce e desideri. […] Il 1945 non trasformò il pensiero storico in un permanente inno trionfale, ma dovette al contrario offrirgli nuovi scandali, non appena al posto della guerra civile europea esplose un conflitto tra i vincitori, che in quanto lotta ideologica fra due superpotenze divenne al tempo stesso una guerra civile mondiale» (Geschichtsdenken im 20. Jahrhundert, Berlino 1991, p. 329). L’ambivalente trionfo del messianismo giudaico non soltanto rende conto del significato ideologico della vittoria nella seconda guerra mondiale, ma dà ragione della santa alleanza tra Roosevelt e Stalin per schiacciare il tripartito di Germania, Italia e Giappone. Attraverso l’alleanza di Roosevelt con Stalin i banchieri sionisti dell’americana Federal Reserve annientarono l’antimarxista Hitler e al tempo stesso decapitarono il nocciolo del credo marxista, cioè a dire la dura contrapposizione tra socialismo e capitalismo.
Il totalitarismo fascista
Benedetti sostiene poi che l’interpretazione del fascismo noltiana non ha avuto seguito tra gli storici che «non senza ragione» l’avrebbero giudicata «insufficiente, astratta, fuorviante e ambigua» nei confronti «delle teorie del fascismo in quanto totalitarismo». Rivaluta quindi nei confronti di Nolte la teoria del fascismo come totalitarismo di Hannah Arendt (Le origini del totalitarismo -1951), facendo supporre che la concezione di Nolte del fascismo non implichi il concetto di totalitarismo. In questo modo Benedetti al tempo stesso occulta per un verso il significato profondo dell’Historikerstreit, il prius logico-fattuale del Gulag nei confronti di Auschwitz e il relativo nesso causale, e per altro verso sembra ignorare che Nolte ha elaborato la versione storico-genetica della teoria del totalitarismo di contro al formalismo, questo sì astratto, insufficiente e fuorviante, della teoria «politologico-strutturale» del totalitarismo di Hannah Arendt, Carl J. Friedrich e Zbigniew Brzezinski.
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La versione storico-genetica noltiana della teoria del totalitarismo per un verso, come si legge alla fine della parte del Fascismo nella sua epoca dedicata al nazionalsocialismo, pone in evidenza che i milioni di vittime che vennero estirpate come bacilli non morirono come vittime infelici di un crimine ripugnante, ma come protagonisti rappresentativi dell’attacco più disperato che mai sia stato condotto contro l’essere umano e la trascendenza in esso, e per altro verso comprende che la rivoluzione d’ottobre del 1917 è stato l’evento più gravido di conseguenze del XX secolo perché mirava alla più straordinaria di tutte le mete, la meta della realizzazione della più antica e della più forte di tutte le utopie: «Questa utopia è pertanto un concetto-limite o un ideale, e perciò fallisce necessariamente nella realtà, ma questo scacco di ciò che vi è di più straordinario ha una grandezza nella sua tragicità, una grandezza più ricca di futuro di quel tentativo altrettanto straordinario del nazionalsocialismo di bandire per sempre dal mondo l’utopia cristiano-socialista a favore di una naturalità storico-guerriera (Ernst Nolte, La versione storico-genetica della teoria del totalitarismo: scandalo o perspicacia?, in: Revisionismo e revisionismi, Graphos, Genova 1996, pp. 33-34).
Quanto alla straordinaria importanza ed attualità del concetto di trascendenza, che Benedetti ha messo giustamente in evidenza, basti pensare a tutte le contraddizioni e a tutti i dilemmi che sono legati alla questione dell’Europa e alla prassi delle attuali istituzioni europee: rafforzare i singoli Stati nazionali o trascenderli?
Francesco Coppellotti
La rivoluzione sovrumanista
Ernst Nolte è, senza ombra di dubbio, uno degli studiosi che più hanno segnato il dibattito storiografico sul Novecento. E, inoltre, ha incarnato, come pochi altri, il ruolo dello scienziato onesto e coraggioso (ruolo che molti scienziati hanno invece smesso di esercitare), incurante cioè dei dogmi e dei tabù imposti dall’alto con il sacro crisma dell’intangibilità. A Nolte – al di là della valutazione sui risultati delle sue ricerche – va pertanto tributata la massima e doverosa stima intellettuale. Ma Nolte è stato anche qualcosa di più di un martire del cosiddetto «revisionismo» storico, concetto peraltro ambiguo e – diciamolo (anche con Nolte) – sospetto. L’autore di Der Faschismus in seiner Epoche, infatti, è stato forse il primo ad analizzare il fascismo da una prospettiva filosofica. Di qui la sua fama internazionale e la necessità di confrontarsi con la sua opera, la quale ha l’innegabile merito, se non di aver risolto, perlomeno di aver posto dei problemi d’ordine scientifico che non si potevano più ignorare. È bene ricordare, però, che un confronto – come suggerisce l’omologo tedesco Auseinandersetzung – è al tempo stesso anche uno scontro.
Fatte queste necessarie premesse, mi sento ora più a mio agio nel rispondere agli interessanti rilievi critici sollevati dal prof. Coppellotti, che si è soffermato in particolare – da quel che intendo – sul concetto di trascendenza secondo Nolte e sulle sue implicazioni più direttamente politico-ideologiche. Ammetto che non ero a conoscenza di una seconda prefazione di Nolte all’edizione italiana de Il fascismo nella sua epoca, data alle stampe nel 1993. Purtuttavia, il fatto che Nolte abbia dovuto chiarire – dopo ben 30 anni dalla pubblicazione della sua tesi di abilitazione – il significato della sua personale concezione della trascendenza, vorrà pur dire che questo concetto troppo chiaro non era. E se Adriano Romualdi, dalla sua prospettiva filofascista, lo aveva frainteso, era comunque in buona compagnia. Da una prospettiva antifascista, infatti, già nel 1964 lo storico Hermann Wiesler poté scrivere, nella sua recensione al testo noltiano, che l’autore «nella sua opera riporta per la storiografia la stessa vittoria ottenuta sul fascismo con le armi e con la violenza»[1]. Non stupisce pertanto che, malgrado l’innegabile impulso che i suoi studi hanno dato a ricerche successive, «le tesi di Nolte non hanno sino ad ora avuto veri seguaci», come ricordava Renzo De Felice[2]. Di «trascendenza», infatti, non si sente parlare molto spesso in tema di fascismo.
Indipendentemente da questa considerazione, però, è giusto rispondere nel merito della questione. Anche leggendo il brano riportato dal prof. Coppellotti, che si vorrebbe chiarificatore, le perplessità permangono. Se per «trascendenza» si intende la «libertà verso l’infinito» o la «tendenza dell’uomo a travalicare il suo essere», ebbene anche questo, a mio parere, è presente nel fascismo. L’anima faustiana e sovrumanista, infatti, è un tratto caratterizzante del fascismo come rivolta culturale alla stasi borghese, al materialismo comunista e al liberalismo inteso come percorso necessario del divenire storico (lo «spirito universale» di hegeliana memoria). E, in questo senso, tale lettura rende possibile l’interpretazione che ne hanno dato, per rimanere ai nostri esempi, Romualdi e Wiesler. Se invece per «trascendenza» si intende il livellamento delle specificità etniche e culturali dei popoli, allora sì, in tal caso è effettivamente possibile definire il fascismo come un fenomeno di resistenza a questo processo messo in moto dalle ideologie originate dalla rivoluzione industriale.
Ma c’è anche un altro aspetto della teoria noltiana che non è affatto convincente. Sto parlando dell’idea – strettamente connessa alla trascendenza formulata da Nolte – secondo cui il fascismo sarebbe innanzitutto una resistenza, una reazione, in particolare al marxismo. A mio parere, cioè, l’essenza del fascismo (ma anche del nazionalsocialismo) non risiede affatto nell’antimarxismo. O meglio: la reazione fascista alla «civilizzazione» borghese è evidente, ma non è il suo tratto principale. Come hanno dimostrato altri storici – e non mi riferisco certo alla Arendt, a cui non va la mia adesione, sebbene Coppellotti sembri aver così inteso – il fascismo è stato un fenomeno politico e «transpolitico» essenzialmente rivoluzionario. Per i fascisti, in ultima istanza, liberalismo e comunismo erano le due facce della stessa medaglia, quella dell’egualitarismo. Una tendenza storica che, come ricordava Giorgio Locchi, i fascisti intendevano annientare grazie a un ritorno all’origine che era, al contempo, progetto d’avvenire[3]. In questo senso, dunque, l’essenza del fascismo non risiede certo in un «anti» (per Nolte l’antimarxismo), bensì in una affermazione di vita e civiltà nuova, rinnovata. E cioè, in definitiva, in una rivoluzione sovrumanista.
Valerio Benedetti
[1] H. Wiesler, Ernst Nolte / Der Faschismus in seiner Epoche, «Neue Rundschau» 75/1 (1964), pp. 173-177, qui p. 177: «Den erkämpften und gewaltsamen Sieg über den Faschismus wiederholt er [Nolte] in seinem Werk für die Geschichtsschreibung».
[2] R. De Felice, Le interpretazioni del fascismo, Laterza, Roma-Bari 19953, p. 106.
[3] G. Locchi, L’essenza del fascismo, Edizioni del Tridente, La Spezia 1981. Cfr. anche G. Locchi, Wagner, Nietzsche e il mito sovrumanista, Akropolis, Roma 1982.