Bari, 17 nov – Ci sono carriere che durano un’istante, un attimo e poi scappano via. Quella di Ugochukwu Michael Enyinnaya, detto Ugo, detto Ciccio ai tempi della sua permanenza nella città di San Nicola, è durata tre secondi. Il cronometro della partita Bari-Inter, che si giocò il 18 dicembre 1999, segnava 6′ e 44 secondi quando il pallone arrivo tra i piedi della punta, numero 26, in maglia bianca bordata di rosso. “L’aggancio di tacco, avevo preso in velocità Blanc che stava rientrando – questo raccontò il nigeriano, nel dicembre del 2009, a Il Secolo XIX – Panucci veniva in diagonale, ho fatto passare la palla tra i due, sono andati dritti al bar, ho chiuso sul palo corto…”. Più semplicemente, con i difensori lontani, Enyinnaya agganciò il pallone, di destro, ai 40 metri dalla porta difesa da Angelo Peruzzi, fece palleggiare la sfera due volte e calciò. Un destro infinito. Da vedere e rivedere. Un milione di volte.
La palla prese il volo, l’estremo difensore era piazzato male, e la traiettoria si depositò sotto la traversa. Vicina all’incrocio dei pali. Lo stadio esplose. Uno striscione sugli spalti recitava “mancò la fortuna, non il valore”, per ricordare i martiri di El Alamein, eppure in quel frangente l’arditismo si sublimò. L’orologio segnava 6′ e 47 secondi, tutto era finito, ma nessuno poteva saperlo. Hugo si lasciò andare ad una corsa sfrenata, con alle spalle Antonio Cassano che stava aspettando il secondo tempo per diventare il barese volante, per finire la sua esultanza, seduto, vicino alla bandierina. Era sfinito. Era esausto. Chiuse gli occhi, un momento che valeva una vita.
A Repubblica disse: “Pensavo che dopo quel giorno nulla sarebbe stato più come prima. Anche perché prima nella mia vita aveva fatto davvero tutto schifo. Avevamo segnato io e Antonio Cassano. Dicevano che lui sarebbe diventato come Maradona, io almeno ero convinto di diventare come Careca“. Senza saperlo l’africano si esibì nel canto del cigno, o meglio dire il canto del galletto vista la militanza pugliese, alla terza gara disputata in serie A. Si perse tra Livorno, Foggia e la Polonia, alla ricerca di fama e danaro. Tornò in Italia per militare in serie D e poi scese fino a sparire. Rimarrà la freccia negra di Eugenio Fascetti. Capace di correre i 200 metri in 22 secondi, scalzo. Il tormento delle ginocchia e dell’avidità lo fermarono. Ma tutto questo lo rese una delle più sfavillanti meteore del nostro calcio.
Fabio Caressa ed i Nirvana. Il gioco onomatopeico e la preghiera, esaudita, di Enyinnaya
Lorenzo Cafarchio