Roma, 30 nov – Secondo capitolo (ne seguiranno altri tre) dell’inchiesta sulla sovranità energetica dell’Italia e dell’Europa e sugli scenari energetici globali. Economia globale, fonti rinnovabili e non e scenari futuri sostenibili, questo e molto altro nel lavoro del Prof. Gian Piero Joime. (IPN) (Link al primo capitolo)
L’Unione europea rappresenta oggi una delle più ricche e popolose entità politiche del pianeta. Nel 2012 il suo prodotto interno lordo è stato stimato in circa 13.000 miliardi di euro e la sua popolazione in oltre 500 milioni d’individui, sicché il reddito pro-capite è stato pari a circa 25.500 euro. Coerentemente con il suo peso economico, la Ue costituisce uno dei maggiori consumatori di energia al mondo, mentre è fortemente dipendente dall’importazione di energia primaria fossile da pochi grandi paesi. Con una domanda lorda di energia primaria che nel 2012 è stata di circa 1.640 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio (Mtep), la Ue si colloca al terzo posto nella classifica internazionale dei maggiori consumatori, classifica che vede la Cina al primo posto (2.890 Mtep) e gli Stati uniti al secondo (2.140 Mtep).
Nel 2012 la Ue ha prodotto poco meno di 800 Mtep, dovendo perciò fare largamente ricorso alle importazioni dall’esterno, importazioni che si sono aggirate attorno ai 930 Mtep e che fanno dell’Unione il maggiore importatore netto di energia al mondo. Quello stesso anno la Cina e gli Usa hanno registrato importazioni nette rispettivamente pari a 470 e a 370 Mtep. Questo sbilanciamento tra offerta e domanda interna è dato dalla scarsa dotazione di combustibili fossili che ha fatto sì che l’Europa sia sempre stata un significativo importatore netto di energia dalla fine del secondo conflitto mondiale in poi. Inoltre, a partire dagli anni novanta il progressivo esaurimento dei giacimenti d’idrocarburi scoperti nei decenni precedenti nel Mare del Nord e in altre parti del continente, Italia compresa, unitamente al minore sfruttamento delle miniere di carbone non più economicamente profittevoli in Germania e altrove, ha fatto sì che la produzione di energia primaria nella Ue si riducesse significativamente: -20% tra il 1996 e il 2012. Questa tendenza alla diminuzione, solo in parte controbilanciata dal recente aumento della produzione domestica di energia da fonti rinnovabili, è stata più forte di quella che ha riguardato la domanda di energia primaria, la quale ha raggiunto un picco di circa 1.790 Mtep nel 2006, per poi ridursi complessivamente dell’8% nel 2012. Per la Ue a 28 la dipendenza dalle importazioni è cresciuta di oltre 10 punti percentuali tra il 1995 e il 2012, passando dal 43% al 53,4%, un valore di gran lunga superiore a quello delle altre principali economie mondiali, Giappone e Corea escluse.
Per quanto riguarda la ripartizione tra le fonti di energia primaria utilizzate, l’Unione Europa presenta un mix basato per il 32% sul petrolio, il 24% sul gas naturale, il 18% sui combustibili solidi(carbone, lignite e torba), il 14% sul nucleare e il 10% sulle rinnovabili. Se si guarda alle altre tre più grandi economie del pianeta, Stati Uniti, Cina e Giappone, si nota che il loro mix è più sbilanciato su un numero minore di fonti, in particolar modo sugli idrocarburi e sul carbone. Per quanto riguarda gli usi finali, il consumo di energia nel 2012 è attribuibile per quasi il 32% al settore dei trasporti, per il 26% al settore residenziale, per poco meno del 26% all’industria, per il 13,5% ai servizi e per il 2% alla pesca e all’agricoltura. Questa ripartizione è nel tempo, con una riduzione della quota imputabile all’industria e un aumento di quella attribuibile ai trasporti e ai servizi. Sempre con riferimento ai consumi finali, va rilevata la crescente penetrazione dell’energia elettrica, che ha rappresentato nel 2012 il 23% dell’energia finale consumata, ovvero circa 240 Mtep (2.800 TWh). La produzione lorda, che comprende anche le perdite di trasmissione e i servizi ausiliari per il settore elettrico, è stata invece di 3.295 TWh. Oltre alla buona diversificazione del mix energetico e alla forte dipendenza dalle importazioni, l’Unione Europea spicca nel panorama internazionale anche per l’elevato livello di efficienza energetica del suo apparato produttivo e per la relativamente bassa intensità di carbonio del suo settore energetico. L’indice d’intensità energetica della Ue a 28 nel 2012 è stato infatti pari a 0,9 tep per mille dollari, mentre negli Usa tale valore è stato pari a 0,13 e in Cina a 0,33 (tra le maggiori economie mondiali solo il Giappone ha un’intensità energetica analoga a quella europea).
Nel 2012 le importazioni nette di petrolio e derivati sono state pari a circa 530 Mtep, il che rappresenta quasi il 60% di tutte le importazioni energetiche nette dell’Unione, con una dipendenza dall’estero cresciuta negli ultimi anni e ormai collocata tra l’87 e l’89%, dopo essere stata inferiore al 75% alla metà degli anni Novanta. Per quanto riguarda i paesi d’origine del petrolio grezzo, i principali esportatori verso la UE sono stati nel 2012 la Federazione Russa (34%), la Norvegia (11%), l’Arabia Saudita (9%), la Nigeria e la Libia (entrambi con l’8%); altri esportatori significativi sono stati il Kazakistan, l’Iraq e l’Azerbaigian. La Ue a 28 risulta molto dipendente anche dalle importazioni di gas naturale: nel 2012 ne sono stati importati circa 259 Mtep, pari al 28% delle importazioni nette di energia. Sebbene l’indice di dipendenza per questo combustibile si sia ridotto dal 67 al 66% tra il 2011 e il 2012 a causa della forte contrazione della domanda interna, anche per il gas naturale il trend è evidente, visto che alla metà degli anni novanta l’indice di dipendenza valeva circa il 43%. Relativamente più concentrata rispetto al caso del petrolio è anche l’offerta, con la Federazione russa che ha coperto circa il 32% delle importazioni nette nel 2012, seguita a ruota dalla Norvegia (31%) e, più distaccata, dall’Algeria (13%). Rilevanti sono anche i flussi da Qatar, Nigeria e Libia. A differenza del petrolio, nel caso del gas gli approvvigionamenti avvengono soprattutto tramite gasdotti, mentre il ruolo del gas naturale liquefatto (Gnl) importato tramite navi gasiere è andato riducendosi molto negli ultimi anni a causa della forte concorrenza di prezzo esercitata da parte degli acquirenti asiatici. Tale modalità di approvvigionamento, unita alle scarse interconnessioni fra le reti nazionali, alla limitata capacità di controflusso e alle formule contrattuali oggi prevalentemente in uso, fa sì che per molti Stati membri le importazioni provengano da un solo paese (tipico è il caso delle importazioni dalla Russia per i paesi dell’Est Europa), con evidenti ricadute negative in termini di sicurezza energetica.
Per quanto riguarda i combustibili solidi, le importazioni nette nel 2012 sono state pari a circa 124 Mtep e hanno coperto poco più del 42% della domanda interna. Anche in questo caso tre paesi rappresentano una quota nettamente maggioritaria del totale importato: la Federazione russa (26%), la Colombia (24%) e gli Stati uniti (23%). Australia, Sudafrica e Indonesia forniscono quantitativi minori, ma comunque significativi. La gran parte dell’approvvigionamento arriva in Europa via nave, con l’esclusione di alcuni carichi via treno dalla Russia, ed è perciò relativamente sicura. Da notare tuttavia, che se si concentra l’attenzione sull’antracite e la litantrace (hard coal), la dipendenza dalle importazioni è significativamente maggiore (62,5%) e in forte crescita (valeva circa il 30% a metà degli anni novanta). Infine, la Ue ha registrato nel 2012 anche 7 Mtep d’importazioni nette di energia rinnovabile sotto forma di biomasse e biocombustibili arrivate da varie parti del mondo. Trascurabile invece l’import netto di energia elettrica, inferiore a 2 Mtep e dovuto essenzialmente a quantitativi di energia prodotti dalla Federazione russa e diretti in Finlandia, Lituania e Polonia.
Il percorso verso la decarbonizzazione
Negli ultimi anni l’Unione Europea ha deciso di assumere un ruolo di leadership mondiale nella riduzione delle emissioni di gas serra. Il primo fondamentale passo in tale direzione è stato la definizione di obiettivi ambiziosi già al 2020. Nel 2008, l’Unione Europea ha varato il ‘Pacchetto Clima-Energia’ (cosiddetto ‘Pacchetto 20-20-20’), con i seguenti obiettivi energetici e climatici al 2020:
- Un impegno unilaterale dell’Ue a ridurre di almeno il 20% entro il 2020 le emissioni di gas serra rispetto ai livelli del 1990. Gli interventi necessari per raggiungere gli obiettivi al 2020 continueranno a dare risultati oltre questa data, contribuendo a ridurre le emissioni del 40% circa entro il 2050;
- Un obiettivo vincolante per l’Ue di contributo del 20% di energia da fonti rinnovabili sui consumi finali lordi entro il 2020, compreso un obiettivo del 10% per i biocarburanti;
- Una riduzione del 20% nel consumo di energia primaria rispetto ai livelli previsti al 2020, da ottenere tramite misure di efficienza energetica. Tale obiettivo, solo enunciato nel pacchetto, è stato in seguito declinato, seppur in maniera non vincolante, nella direttiva efficienza energetica approvata in via definitiva nel mese di ottobre 2012.
L’analisi della Commissione indica anche che per il 2020 l’obiettivo attuale di riduzione delle emissioni del 20% andrebbe rafforzato al 25% ricorrendo unicamente a interventi a livello Ue: di fatto tale risultato sarebbe raggiungibile attuando misure già previste e obiettivi del pacchetto 20-20-20 come quelli sulla quota di rinnovabili e sul risparmio energetico. Le politiche del pacchetto, tuttavia, sono solo sufficienti a raggiungere una riduzione delle emissioni interne del 30% entro il 2030 e del 40% entro il 2050. Nello studio denominato Energy Roadmap 2050 si prevede una riduzione delle emissioni di gas serra del’80-95% entro il 2050 rispetto ai livelli del 1990, con un abbattimento per il settore elettrico di oltre il 95%. I diversi scenari esaminati dalla Commissione per questo percorso assegnano grande importanza all’efficienza energetica e alla produzione da fonti rinnovabili, guardando anche con attenzione all’utilizzo di energia nucleare e allo sviluppo della tecnologia CCS (Carbon Capture and Storage), e prevedendo un ruolo fondamentale per il gas durante la fase di transizione, che consentirà di ridurre le emissioni sostituendo carbone e petrolio nella fase intermedia, almeno fino al 2030 – 2035. Per realizzare un’economia a basse emissioni di carbonio, nei prossimi 40 anni l’Ue dovrà effettuare ulteriori investimenti annuali pari all’1,5% del Prodotto interno lordo, ovvero 270 miliardi di euro, oltre all’attuale 19% del PIL già investito. Una buona parte, se non tutta, di tali investimenti sarà compensata da una fattura energetica per gas e petrolio meno onerosa che, secondo le stime, permetterà di risparmiare tra i 175 e i 320 miliardi di euro l’anno, e da una riduzione della vulnerabilità alle fluttuazioni dei prezzi di petrolio e gas. Gli investimenti volti a ottenere una diminuzione delle emissioni di carbonio (in tecnologie pulite e infrastrutture quali le reti energetiche intelligenti, nonché nella tutela ambientale) comporterebbero altri vantaggi, che stimolando nuove fonti di crescita salvaguarderebbero l’occupazione e creerebbero nuovi posti di lavoro, anche riducendo l’inquinamento atmosferico e i costi sanitari ad esso connessi.
Gian Piero Joime