Roma, 22 ott – Nella giornata di ieri ha avuto luogo a Massa Finalese (Mo) una manifestazione di cittadini preoccupati dall’inquinamento dell’aria determinato da una centrale elettrica a biomasse. La causa scatenante è da ricercarsi nel fatto che solo nell’ultimo anno si sono avuti almeno quattro roghi spontanei, o quantomeno questo è il numero rispetto al quale siamo riusciti ad avere informazioni attendibili.
La centrale è sorta al posto del vecchio zuccherificio andato in rovina dopo il taglio delle sovvenzioni pubbliche stabilito dall’Ue. Gli accordi presi dalle autorità competenti sono stati palesemente violati all’atto stesso dell’attivazione di questa centrale “alternativa”. Precedentemente, grazie allo zuccherificio, nella zona sorgeva una fiorente coltivazione di barbabietole attualmente sostituita dalla coltura del sorgo. Che di per se la coltivazione del sorgo sia abbastanza inutile dovrebbe saltare agli occhi di chiunque, ma di questo necessita la centrale per funzionare. Un combustibile costoso ed a bassa efficienza energetica, dato che gli accordi prevedevano l’onere per la centrale di dimostrare che esso poteva dare una resa energetica positiva, cosa che da quel che ci risulta non è mai avvenuto.
Anzi, pare che oramai la quantità di sorgo in massa sia probabilmente un quarto di quella iniziale, senza il resto essendo paglia ed altri residui agricoli. Dove sta l’inghippo? Semplice: essendo una fonte energetica “ecologica”, l’elettricità così erogata è per legge più cara. In altre parole, si è chiusa un’azienda sussidiata ma utile agli agricoltori con una azienda sussidiata utile ai soli proprietari. La coerenza ci sfugge ma questi sono i fatti.
Ci spiace molto per i cittadini di Massa Finalese, ma quello che sta succedendo è frutto in generale di una profonda miopia politica: l’aver voluto a tutti i costi, e con maggioranze bulgare, rinunciare al fuoco nucleare di pace ci ha portato a questa deprecabile situazione. Tutto questo mentre nel resto del mondo il nucleare viene considerato una risorsa imprescindibile. Fra i tanti esempi, potremmo citare quello recente della Corea del Sud, dove la popolazione è insorta contro la proposta del governo di chiudere le centrali nucleari. Semplice calcolo costi-benefici, che gli ambientalisti ovviamente scambiano con chissà quale strano complotto.
E qui parliamo della “semplice” fissione nucleare, quella cosa per cui da un grammo di uranio si può ottenere la stessa energia di svariate tonnellate di carbone. La ricerca però procede speditamente anche nell’altra direzione, che è quella della fusione nucleare. Nel 2018 dovrebbe infatti prendere il via la realizzazione della Divertor tokamak test facility (DTT), un’infrastruttura strategica nella roadmap verso la fusione. L’investimento iniziale sarà di 500 milioni di euro e prevedrà l’impiego di 1500 persone altamente specializzate.
Al progetto, che sarà realizzato in Italia, contribuirà EUROfusion il consorzio europeo cui è affidata la gestione delle attività di ricerca sulla fusione nucleare che ha appena previsto un finanziamento da 60 milioni di euro. Anche solo la positiva ricaduta dell’indotto sulle imprese nazionali ripagherà con gli interessi l’iniziale investimento.
Perché poi è questo che solitamente sfugge ai luddisti di ogni razza: investire in ricerca e sviluppo “fa bene alla salute” ovvero all’economia reale che di essa vive. Non stiamo parlando di quelle baggianate che piacciono tanto ai “visionari” della silicon valley, come l’intelligenza artificiale o l’auto elettrica. Stiamo parlando di progetti utili allo sviluppo dell’umanità tutta e quindi delle nazioni che sapranno sfruttarne le enormi ricadute. Paradossalmente, stante l’isteria anti-nucleare della popolazione, oggi il nostro Paese è tra i principali partner delle agenzie europee EUROfusion e Fusion for Energy (F4E) e contribuisce ai grandi programmi di ricerca internazionali: DEMO, Broader Approach ed ITER, l’International Thermonuclear Experimental Reactor in via di realizzazione a Cadarache, nel sud della Francia. Che ci sia un salutare scollamento fra determinati settori della nostra classe dirigente ed il rivoltante “comune buon senso”?
Matteo Rovatti