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Quando Elémire Zolla fece imbestialire i “compagni”

by Mario Bernardi Guardi
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zollaRoma, 5 gen – A tredici anni dalla morte di Elémire Zolla, Marsilio, che ne va riproponendo l’Opera Omnia, ci offre adesso in un unico volume (Il serpente di bronzo. Scritti antesignani di critica sociale, a cura di Grazia Marchianò, pp. 541, euro 24), i tre saggi che segnarono l’irrimediabile frattura tra lo scrittore torinese e l’”intellighentsia” di sinistra, spiazzata dal fatto di trovarsi improvvisamente a che fare con una sorta di alieno. Ed in effetti i tre saggi- “Eclissi dell’intellettuale” (1959), “Volgarità e dolore” (1962), “Storia del fantasticare” (1964), allora editi da Bompiani- rappresentavano una fiera requisitoria contro le ideologie progressiste, lo snobismo intellettuale radical-chic, il materialismo dilagante, il sonnambulismo coatto di spirito, libertà e critica, l’industria culturale spersonalizzante, la massificazione, la secolarizzazione e soprattutto il gusto di sporcare e profanare ogni eredità culturale e valoriale “alta”.

Ed è davvero squallido (o, se si preferisce, patetico) il fatto che la sinistra, che allora respinse sdegnosamente il “traditore” e le sue “cerche” in ogni possibile “oltre” antimoderno, adesso intoni il “mea culpa”, ricordando come il proscritto Zolla, “antifascista da sempre al contrario di molti dei suoi detrattori”, avesse scritto di sé, nell’”Autodizionario” degli scrittori italiani: “In Italia non incontrò se non fascisti” (Silvia Ronchey, “Il ritorno di Zolla, l’intellettuale uscito dal mondo”, Repubblica, 18 dicembre 2015). Sì, fu proprio questo il destino che gli toccò. Ed è questo il volto che l’archivio della memoria ci restituisce. Il volto di un pensatore che- ancor prima che si occupasse del Signore degli Anelli e cioè di un impresentabile libro “reazionario” su cui si scatenarono i furori della casta rossa- magari fascista non lo era, anzi, ma di sicuro i lettori-estimatori li trovava nella composita galassia della Destra anticonformista.

Siamo nel gennaio del 1969, dunque negli “anni affollati” della contestazione studentesca: si fa indigestione di ideologia, le sinistre a sinistra del PCI prosperano, gli intellettuali si consacrano alla “Causa”, sventolando il Libretto Rosso di Mao e L’uomo a una dimensione di Marcuse. C’è una grande confusione sotto il cielo. Una frenesia di slogan urlati da barbuti in eskimo, che il prof. Zolla, docente di Lingua e letteratura americana all’Università di Roma, guarda con un misto di sprezzante ironia e di preoccupata pena. Ideologia e utopia sono infatti per lui forme di ossessione che conducono all’oppressione, e gli “apprendisti stregoni” in corteo ripropongono i rituali nichilisti dei dèmoni dostoevskijani.

Nulla ha a che fare “Conoscenza Religiosa” con lo “spirito dei tempi”. Tutto, invece, con lo Spirito. Che non teme di provocare e scandalizzare. Cosa ci fa, infatti, nell’impazzare delle ideologie progressiste, una rivista in cui si difende la Messa in latino obliata dal Concilio Vaticano II, si riflette sulla simbologia della danza e della musica, si propone un commento mistico del Padre Nostro, si chiarificano gli intrecci tra diritto e religione nelle XII Tavole, si scava nei significati delle rune e dello zodiaco, si evocano i paesaggi sacri degli Indiani d’America, si illumina la tessitura anagogica della Divina Commedia?

“Conoscenza Religiosa”– che noi ricordiamo in bella mostra tra Evola, Jünger, Drieu e Mishima alla Libreria Universitaria Pisana “Athenaeum”, variopinta roccaforte degli studenti non conformisti- è un pugno nello stomaco dell’”intellighentsia”. Perché vi si raccoglie il fior fiore dell’intelligenza controcorrente, vale a dire una schiera di spiriti liberi (A.J. Heschel, M. Griaule, J. Servier, C. Campo, G. Barbiellini Amidei, H. Corbin, Q. Principe, G. Ceronetti, P. Citati, S. Quinzio, M. Riemschneider, J.L. Borges, E. Montale, G. Sermonti, R. Assunto…), lancia in resta contro il “pensiero unico” e i suoi dogmi. Comunque, Zolla- che presto farà conoscere ai lettori un mistico come P. Florenskij e un inventore di cosmogonie esemplari come J.R.R. Tolkien– la sua battaglia contro la cultura “egemone” la conduceva da tempo.

Tanto è vero che già nel 1956, con il romanzo Minuetto all’inferno, aveva fatto nascere qualche sospetto tra i padri- padrini-padroni dell’”impegno militante”. Quella sua invenzione narrativa, così fuori dagli schemi del realismo, tutta stravaganze, ammiccamenti magici, linguaggio tra il criptico e l’aristocratico, aveva provocato un acceso dibattito tra Vittorini e Calvino. Inserirla o no nei “Gettoni” della Einaudi? Alla fine, non solo il libro aveva avuto il nullaosta, ma addirittura, sia pure spiazzando lettori e critici, si era aggiudicato il Premio Strega. E tuttavia quel giovane Zolla non convinceva per niente la fauna progressista. Non apparteneva a quel “mondo”: ma a quale “mondo” apparteneva? Tre anni dopo le perplessità si infittirono con l’uscita del primo scritto di polemica antimoderna, e cioè Eclisse dell’intellettuale. In quel saggio si sviluppavano, è vero, i temi della dialettica dell’illuminismo di Adorno e Horkheimer, per criticare la società del tempo, l’accumulo capitalistico, la tecnologia, il consumismo, la mercificazione della vita, e questo poteva andar bene anche per un militante di sinistra, ma si prendeva anche posizione contro le lobbies politiche e culturali, il conformismo progressista, la “civitas diaboli” edificata da tutte le ideologie moderne. Insomma Zolla si stava incamminando sui sentieri della Tradizione, nella fitta foresta di miti, riti, simboli, che l’avrebbe visto instancabile “cercatore del Graal”.

Come scrive Hervé A. Cavallera in una documentata biografia (La luce delle idee, Le Lettere, 2012) che segue passo per passo l’itinerario spirituale del pensatore, “di fronte a una società anti-contemplativa, serenamente Zolla rivendicava il suo opposto”. Serenamente ma fermamente. Con la stessa fermezza, qualche anno dopo, insieme a Cristina Campo, sodale nella “cerca” e compagna di vita dal 1959 al 1977, difenderà la liturgia tradizionale, il rito, la messa in latino, lo stato mistico come “norma dell’uomo” contro le derive moderniste seguite al Concilio Vaticano II. Attirandosi così l’attenzione di cattolici anticonformisti come Augusto Del Noce, che insieme a lui avrebbe diretto una collana per la casa editrice Borla, ma anche gli strali di un conservatore d.o.c. come il cardinale Siri, che, come ricorda Grazia Marchianò, accusò Zolla di essere “uno dei capi occulti della congiura gnostica contro la Chiesa cattolica”. E non poteva mancare la “fatwa” di un progressista altrettanto d.o.c. come Enzo Siciliano che scorgeva nella “svolta” inattesa di Zolla verso l’ascetismo “il fantasma di una ‘vague conservativa’, di un ‘hegelismo destrorso’ semplicemente inaccettabili”.

“Inaccettabile” Zolla. “Imperdonabile”, avrebbe detto Cristina Campo. “Fascista”, sibilavano i “compagni”. Un grande pensatore perduto alla “Causa” di cui sopra. Uno che in Le potenze dell’anima (Bompiani, 1968) e in Che cos’è la Tradizione (ivi, 1970) conferma e rafforza le sue scelte, scrivendo cose addirittura inaudibili per un progressista come “ l’abito contemplativo è il termine della perfezione, la quale ripartisce l’uomo secondo ordine e giustizia”. Gli studi che seguiranno, fino alla morte (2002), e che, grazie alla vicinanza spirituale dell’”allievo” Roberto Calasso, avranno l’”imprimatur” di Adelphi, prima degli attuali percorsi editoriali, costituiscono una grande avventura nel Mito e nel Simbolo, tra maestri segreti, archetipi, ricognizioni alchemiche, sacre ebbrezze, percezioni extrasensoriali, presenze invisibili, aure magiche. Offrendoci il paradosso di una inattualità attuale, come se fosse l’anacronismo la chiave per svelare il tempo. Questo qui e l’Oltre.

Mario Bernardi Guardi

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