Roma, 9 apr – Non c’è più bisogno di un regime politico: oggi basta anche solo esprimere un’opinione non allineata per essere tacciati di “Fascismo”. Un termine usato come clava, svuotato di senso ma carico di odio, agitato da una classe intellettuale e politica che, mentre predica tolleranza, coltiva la più feroce intolleranza verso chi dissente. Quello che un tempo si chiamava dibattito, oggi è diventato caccia all’uomo. Il pensiero unico non si limita a plagiare le università, i media e la cultura pop: costruisce una political anxiety. E così nasce la fasciofobia: non solo un termine, ma una vera e propria sindrome.
La “Fasciofobia”, dalla finzione alla realtà
La Fasciofobia è una paranoia: ma non è l’ansia che ti assale “perché il mondo è sempre più fascista” – come vorrebbe farci credere Mattia Madonia in un articolo per The Vision – è un’isteria di massa che confonde la realtà con il passato, e trasforma il confronto politico in delirio collettivo. Un metodo che – va detto – è stato esportato con successo il tutto il mondo anche oltre l’occidente democratico e sincero: da Putin il “denazificatore” a Erdogan che accusa le opposizioni di essere fasciste, l’uso del termine Fascista come “mother of all bombs” degli insulti politici ha preso piede ed alimenta narrazioni tutt’altro che pacifiche. Ma questo è un altro discorso. Per capire come siamo arrivati a questo punto – e cosa rivela questa ossessione per il “fascismo ovunque” – è utile leggere l’introduzione del saggio “Fasciofobia” di Alberto Busacca, che con lucidità e rigore smonta il meccanismo mentale e culturale di chi, in nome della democrazia, ne sta distruggendo i presupposti teorici. Per gentile concessione dell’editore pubblichiamo un estratto dell’introduzione.
Introduzione alla Fasciofobia, di Alberto Busacca
Il fascismo non sta tornando ma sicuramente non è morto. Per rendersene conto basta fare un giro in una qualsiasi libreria, dove si trovano sempre scaffali pieni di volumi dedicati al movimento fondato da Benito Mussolini. Storici, giornalisti, politici e romanzieri: tutti vogliono dire la loro su questo argomento. I numeri fanno impressione. Sul sito di Ibs (Feltrinelli), una delle più importanti librerie online, digitando “fascismo” escono fuori 24.899 prodotti. Un record. Per capirsi, inserendo “comunismo” ci si ferma a 10.251, più o meno allo stesso livello di “socialismo”, che arriva a 10.791. Impietoso il confronto con “liberalismo”, solo 2.710 volumi. E “democrazia”? Bè, con 18.114 prodotti è quella che fa la figura migliore, ma sempre piazzandosi ben lontana dal vertice della classifica. Non bisogna pensare, comunque, che tutti questi libri sul fascismo siano stati scritti nell’immediato dopoguerra. No, è un fenomeno che va avanti tutt’oggi e che, anzi, negli ultimi anni sembra essere addirittura in espansione. Secondo i dati che il Giornale ha ricavato dall’Opac del Servizio bancario nazionale, cioè dal catalogo collettivo delle biblioteche del Servizio bibliotecario nazionale, in Italia tra il 1994 e il 2024 sono stati pubblicati 4.769 libri con la parola “fascismo” nel titolo, 2.318 con “Mussolini” e 3.530 con “fascista”. «Tra il 1964 e il 1993», si legge nel pezzo di Alessandro Gnocchi, «le cifre sono nettamente inferiori». Ma come mai più ci si allontana dal fascismo e più aumentano i libri sul fascismo? Una prima risposta potrebbe essere che in realtà tanti di questi volumi non si occupano del fascismo storico, del Duce o dei suoi gerarchi, della guerra d’Etiopia o della Repubblica sociale. Molti autori si concentrano invece sul fascismo contemporaneo, sulle sue caratteristiche e su come provare a contrastarlo. Diversi libri di questo genere verranno analizzati nelle prossime pagine, ma va detto fin da ora che lo spostamento dell’attenzione dal fascismo del passato a quello (sempre presunto) di oggi, ha segnato il passaggio dall’antifascismo originale a una sorta di fasciofobia, che dell’antifascismo è la degenerazione. Questa distinzione, a proposito però del nazismo, è stata fatta anni fa anche dallo storico Franco Cardini, secondo il quale la nazifobia era «una forma di diffusa psicosi che non ha niente da spartire con l’antinazismo serio e coerente». «Certe forme isteriche e irrazionali di demonizzazione di quello che fu un fenomeno storico complesso e articolato», spiegava Cardini, «scoprono un fondo collettivo che forse, più che con gli elementi della politica e della sociologia, andrebbe esplorato con quelli della psicanalisi». Facciamo un paio di esempi riferiti ai nostri giorni. È un tipico caso di fasciofobia quello del Comune di Greve in Chianti, in provincia di Firenze, che ha fatto rimuovere una luminaria natalizia con la scritta Xmas (abbreviazione di Christmas usata in tutto il mondo) perché avrebbe ricordato la Decima Mas della Rsi (e la stessa polemica c’è stata anche in altri paesi, come vedremo nel capitolo dedicato al Natale). Oppure quello di Cernusco sul Naviglio, in provincia di Milano, dove l’amministrazione comunale ha chiesto una dichiarazione di antifascismo anche per potare un albero. Che senso ha?
L’evoluzione dell’antifascismo
L’evoluzione (negativa) dell’antifascismo non è casuale. Ed è legata all’evoluzione (negativa) degli antifascisti, che sono diventati di fatto una casta. Per la Treccani, una casta è «un ordine di persone che si considera, per nascita o per condizione, separato dagli altri, e gode o si attribuisce speciali diritti o privilegi». Ecco, si tratta esattamente di questo. Abbandonata ogni spinta ideale, oggi l’antifascismo è sostanzialmente diventato l’arma usata dai sedicenti antifascisti per conservare posizioni di potere in ambito politico, mediatico e culturale. In questo senso vanno lette, in particolare, le continue richieste di professarsi antifascisti fatte a quelli che non fanno parte del loro circolino. La casta vuole decidere chi ha diritto di partecipare alla vita pubblica del Paese e chi invece deve esserne escluso. La casta esige un atto di sottomissione. La casta ci prova sempre, ma il giochino inizia a non funzionare più. In occasione del 25 aprile 2024, la premier Giorgia Meloni è stata sommersa dagli “inviti” a dichiararsi antifascista, tutti però caduti nel vuoto. Un fallimento che ha spinto anche importanti intellettuali vicini alla sinistra (o comunque non di destra) a chiedersi se non sia l’ora di finirla con questa storia. Ferruccio De Bortoli: «La consapevolezza di un sentimento comune sulle autentiche radici della nostra Repubblica, che è per fortuna antifascista, non vuol dire che tutti debbano pensarla allo stesso modo. È sinceramente inutile chiedere continuamente a chi è più preda della nostalgia, anche nella classe dirigente attualmente al potere, di dichiararsi antifascista quando non lo è. Meglio una sincerità che fa discutere di un’ipocrita frase di convenienza». Massimo Cacciari: «Basta chiedere abiure e pentimenti. Così rischiamo che l’antifascismo diventi una foglia di fico per coprire la mancanza di proposte politiche sull’oggi. Questa storia del pentimento salvifico è molto italiana e molto dannosa. C’è sempre qualcuno che ci deve dare l’assoluzione». Luca Ricolfi: «C’è sempre stato un che di poco simpatico, nella richiesta perentoria di dichiararsi antifascisti. Chi la formulava, lo faceva nella presunzione di essere immacolatamente antifascista, e perciò nella posizione di giudicare-assolvere-condannare l’inter- locutore. E se così spesso, in nome dell’antifascismo, si usa la forza per togliere la parola agli avversari politici, come potranno proclamarsi antifascisti i liberali e più in generale quanti credono nella libertà di espressione e nel pluralismo delle idee?». E poi: «A noi antifascisti normali le abiure non piacciono. Ognuno è responsabile delle sue idee, ma nessuno è titolato a ergersi a giudice delle idee altrui. La democrazia è anche questo, qualsiasi cosa ne pensino le auto nominate vestali dell’ortodossia antifascista».
La battaglia delle idee
Tre colpi da ko di tre pesi massimi del dibattito politico. Ma che difficilmente convinceranno la casta antifascista a cambiare strada. Possiamo essere certi, infatti, che le richieste di fare professione di antifascismo continueranno, ovviamente nel nome della Costituzione “nata dalla Resistenza”, anche se nella Carta di questa idea di eterno scontro tra fascismo e antifascismo non c’è traccia. Perché i costituenti pun- tavano a superare le divisioni della guerra civile, non a cristallizzarle in una sorta di 25 aprile permanente. Nel loro libro, intitolato Democrazia afascista, Gabriele Pedullà e Nadia Urbinati ricordano che il leader del Pci, Palmiro Togliatti, all’Assemblea costituente disse chia- ramente di volere «una Costituzione non afascista ma antifascista». Bene. Come spiegato da Mattia Feltri sulla Stampa, però, fu poi proprio Togliatti «a battersi perché la Carta si limitasse a vietare la ricostituzione del partito fascista e non arrivasse a istituire reati d’opinione. «Grazie a Togliatti», continuava Feltri, «essere fascisti non è un reato ed è garantito dalla libertà d’opinione». Ma perché questa posizione apparentemente sorprendente? Ancora Feltri: «A Togliatti premeva che la battaglia delle idee, compresa quella contro le idee peggiori, si combattesse “sul terreno della competizione politica” e non nei tribunali. Uno slancio di liberalismo in lui non raro, nonostante fosse stalinista, poiché gli era chiaro che le idee venivano soffocate nei tribunali proprio sotto il fascismo». Inoltre, «a differenza dei suoi discendenti inconsapevoli di tutto, Togliatti sapeva di avere vinto la guerra, contava di avere in pugno il futuro ed era armato di idee così solide e strutturate da non temere di confrontarle con idee contrapposte». Ricapitolando: gli antifascisti di ieri (stalinisti compresi) guardavano al futuro, quelli di oggi restano inchiodati al passato; gli antifascisti di ieri avevano un progetto e una visione del mondo, quelli di oggi non hanno nessuna idea che non sia l’antifascismo medesimo; gli antifascisti di ieri erano convinti di vincere perché ritenevano di avere il popolo dalla loro parte, quelli di oggi hanno rinunciato a conquistare il popolo e si compiacciono nel sentirsi una minoranza illuminata che deve comandare per diritto divino e partigiano; gli antifascisti di ieri puntavano a battere gli avversari sul terreno politico, quelli di oggi attraverso cavilli burocratici e divieti. Ed è proprio per questo che sono destinati a perdere…
Alberto Busacca