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Ecco come “L’urlo” ha scoperchiato la violenza degli attivisti Ong

by Stelio Fergola
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urlo Ong contro Severgnini

Roma, 28 nov – L’urlo è delle Ong. Urlo di nervosismo, non certo di dolore. Un grido di rabbia violenta, quello dei cosiddetti “più umani” che raccontano al mondo di salvare e di accogliere, differentemente da chi denuncia la gravità di un fenomeno terribile come quello dell’immigrazione clandestina, per tutti – insistiamo – partenti e “accoglienti”.

“L’urlo” costringe gli attivisti Ong a manifestare tutta la loro violenza

Il dato interessante di quanto accaduto il 25 novembre al Festival del cinema dei diritti umani a Napoli non è la natura culturalmente immigrazionista della manifestazione stessa. Su quella non c’è alcun dubbio di sorta. È sufficiente farsi un giro sul sito ufficiale della kermesse per rendersene conto: lodi alle Ong, santificazione di personaggi come Gino Strada e Mimmo Lucano, articoli contro la “criminalizzazione” verso le sedicenti “navi umanitarie”. Tutto ciò come se non bastasse l’identificazione praticamente simbiotica del cosiddetto “dirittoumanismo” con molti valori del liberal globalismo in salsa occidentale, ivi incluso l’immigrazionismo stesso. No, lo spunto nasce da altro. Per la precisione, dal fatto che “L’urlo”, film di denuncia della clandestinità e dello schiavismo promosso anche dalle Ong, sia finito proprio in un festival immigrazionista. In modo rocambolesco e ambiguo, come racconta lo stesso regista Michelangelo Severgnini in un’intervista rilasciata successivamente a L’Antidiplomatico. Il che, pure, ci interessa molto poco: come e perché Severgnini sia stato invitato è del tutto secondario. L’essenziale è “cosa” ha generato la sua presenza.

La “svolta”

La prima considerazione da fare è di ordine tecnico: Severgnini ha fatto benissimo ad accettare l’invito. Pur andando de facto in terra nemica, anche solo l’idea di poter generare delle reazioni scomposte sarebbe stata utilissima per diffondere una maggiore consapevolezza popolare sulle persone che lavorano in queste presunte “organizzazioni umanitarie”. La seconda arriva dritta al punto: la “svolta”, se così possiamo chiamarla, sta proprio nelle loro reazioni.

Scomposte, violente, aggressive, censorie. L’urlo, questa volta, è delle Ong. O per lo meno dei loro attivisti presenti al Festival. Che proprio non ci stanno ad accettare che la gente veda la pellicola, nemmeno quando qualcuno – dal pubblico – glielo chiede esplicitamente. Non esiste. “Per carità, ognuno può dire quello che vuole”, dicono. Arrampicate sugli specchi tutte sullo stesso tono per non riuscire ad ammettere un dato di fatto evidente: ovvero la proibizione della pellicola. Cosa che avviene puntualmente. Insultando e sputando – metaforicamente, almeno quello – addosso al regista stesso. L’urlo delle Ong è l’ennesima svolta sulla loro immagine. Che di umanitario, democratico non ha proprio un bel nulla. Quello che rimane è solo una violenza verbale, dei fegati incapaci di affrontare il dissenso e le critiche, una paura tipica di chi è codardo, trinceratasi dietro un tristissimo: “Tesi complottiste ed antisemite”.  Bene, benissimo. Non aspettavamo altro. Perché l‘Italia e l’Europa devono sapere sempre di più con chi abbiamo a che fare. Visto l’inganno clamoroso che costoro hanno perpetrato per decenni a danni di innocenti: clandestini o italiani autoctoni che siano.

Stelio Fergola

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