Roma, 2 dic – Il Belgio è fuori dal Mondiale 2022 e la stampa mainstream si straccia le vesti. Il coro è di unanime sorpresa per il “fallimento” degli uomini di Roberto Martinez.
Belgio fuori dai Mondiali, il fior fiore delle analisi tecniche per spiegare il “fallimento”
Eurosport è uno dei giornali che prova a sciorinare raffinatissime analisi tecniche e ambientali sulle ragioni del fallimento belga. Che in estrema sintesi sarebbero: allenatori scadenti, la mancanza di una squadra vera al netto dei “fenomenali” singoli elementi, l’anzianità di questi ultimi, il carente stato di forma, le cattive prestazioni di alcuni singoli come Romelu Lukaku. Ora, il punto sull’anzianità lascia il tempo che trova. Gli anziani sono stati più giovani in passato e non hanno mai rimediato nulla. Il singolo entra in contraddizione con la squadra, quindi se la punta dell’Inter fallisce non è buon motivo per smentire un punto che si è già sottolineato, quello dell’assenza di una squadra. Se andiamo a vedere la rosa del fenomenale Belgio incensato da tutta la stampa da anni, quanti giocano titolari indiscutibili nelle massime formazioni continentali? Quasi nessuno. Ovviamente non è un ragionamento che si può esprimere come regola generale, visto che uno degli elementi migliori della formazione di Martinez è proprio quel Lukaku che però è stato titolare in un club – su base europea – non certamente di livello massimo, come l’Inter. Ma insomma, almeno una riflessione potrebbe essere espressa. Che ci siano giocatori di qualità è fior di dubbio, come ci sono sempre stati in tante outsider dei campionati del mondo di calcio: la Bulgaria di Hristo Stoichkov, la Spagna degli anni Novanta del secolo scorso, la Jugoslavia e poi Serbia dello stesso periodo (più o meno), la Romania di Gheorge Hagi. Insomma, non è una novità. Ma per nessuna di queste formazioni si è fatto, per dirla volgarmente, “tutto questo casino”. Nel caso belga attuale, Kevin De Bruyne è forse l’unico a giocare in una formazione di vertice a livello europeo, da titolare e non da comprimario (come Eden Hazard, il quale vanta una signora esperienza – passata – al Chelsea, rispetto al mezzo servizio che rende da tre stagioni al Real Madrid).
E se la risposta fosse di una semplicità imbarazzante?
Perché non provare ad applicare al calcio, sebbene non sia sempre corretto farlo, il principio del cosiddetto “Rasoio di Occam”? Ovvero che la spiegazione più semplice, a parità di condizioni, sia quella più giusta? Sono quasi dieci anni che sentiamo parlare della rosa superlativa del Belgio, nuovo astro nascente tra le nazionali mondiali. E sono dieci anni che i rossi prendono sberle. Da noi come da altri. Purtroppo, in questo frangente, “noi” possiamo parlare molto poco, visto che dobbiamo smaltire il trauma di un’altra esclusione dai Mondiali. Un’esclusione che sarà sorpassata soltanto tra una ventina di giorni scarsi. Ma perfino “noi”, non qualificati, che in questi dieci anni non abbiamo ricevuto minimamente le attenzioni dei fiamminghi (prendendo tante sberle, a nostra volta), qualcosa l’abbiamo portata a casa, e nemmeno secondaria: il campionato europeo dell’anno scorso, nonostante sembra sia passata una vita, visti gli sconvolgimenti – sportivamente tragici – successivi. I belgi sono sempre stati definiti eterne promesse, ma se andiamo a vedere bene, esistono nazionali di piccoli Paesi con tradizioni decisamente floride (come Serbia e soprattutto Croazia) che hanno sempre dato e continuano a dare di più. Quel terzo posto nel 2018 è l’apice di un gruppo (o presunto tale) i cui singoli, però, forse sono meno forti di quanto i critici li abbiano giudicati in questi lunghi anni. Almeno poniamoci il dubbio, no?
Stelio Fergola