Roma, 16 apr – “La scelta eurasiatica non è soltanto una visione geopolitica degli assetti mondiali, ma è anche la necessità di recuperare la specificità di ogni cultura, la pluralità delle tradizioni, i legami con la propria terra, la fine dello sradicamento a cui tendono mondialismo e alta finanza”. Difficile sintetizzare meglio del filosofo Alain de Benoist (autore di “Eurasia. Vladimir Putin e la grande politica“) l’asse portante del pensiero eurasiatico, tornato prepotentemente al centro del dibattito a causa degli sconvolgimenti di portata internazionale nella “terra di mezzo” Ucraina, per quanto scomparsi dai riflettori degli “indignati a comando” occidentali. Tensioni ben lontane dall’essere sopite, che si sono sommate alle sanzioni occidentali, alla crisi siriana e allo scandalo “Panama Papers”, in cui compare il nome di Putin. In definitiva, alle ben note frizioni tra scelta unipolare a stelle e strisce e scelta multipolare. Non si può non parlare di Eurasia senza partire dal nome di Aleksandr Dugin, filosofo professore e politologo, presidente del Movimento Internazionale Eurasiatista, oltre che animatore di innumerevoli iniziative politiche e culturali (quella del Partito Nazional – Bolscevico la più pittoresca) e di un recente studio di alto livello sulla “Teoria del mondo multipolare” (2012). Al centro del suo pensiero vi è il concetto caro alla geopolitica di Eurasia, quell’entità continentale che studiosi quali Mackinder e Spykman hanno continuamente opposto alla potenza talassocratica oggi rappresentata dall’”isola mondiale” degli Stati Uniti d’America. Terra contro Mare insomma, per citare semplicisticamente il pensiero di un giurista di portata mondiale come Carl Schimtt. Proprio quest’ultimo è un nome di punta del bagaglio culturale di Dugin, in una lista che annovera in primis il pensiero tradizionalista di Evola e Guenon, insieme alla Rivoluzione Conservatrice europea. In particolare nell’affascinante idea di “democrazia come partecipazione del popolo al proprio destino”, secondo la grammatica di Arthur Moller Van Den Bruck.
Ma le teorizzazioni duginiane partono da lontano: dalla critica all’occidentalizzazione nel periodo delle riforme di Pietro il Grande, fino alla riscoperta dei primi eurasiatisti come il linguista Nicolas Trubetskoy, l’economista e geografo Piotr Savitsky e il giurista Nicolai Alexeiev (i “doveri” al posto dei “diritti”). Protagonisti, negli anni Venti del secolo scorso, di una vera e propria Rivoluzione Conservatrice russa, per via della loro critica all’universalismo e progressismo occidentale, e nell’appassionata riscoperta delle radici profonde della storia russa. Nel pantheon non si può dimenticare inoltre Fëdor Dostoevskij, il primo ministro zarista Petr Stolipyn e il filosofo Nicolaj Berdajev, teorizzatore di una “terza via” tra marxismo e liberalismo negli anni Venti, in inconsapevole sintonia con l’esperienza del fascismo italiano. L’interpretazione dell’Urss di Dugin è invece problematica. Se qualche aspetto sociale e di politica di potenza può essere per lui salvato, gli eccessi e il materialismo sovietico non possono che essere condannati. Diversi eurasiatisti, non a caso, subirono l’epurazione del regime. La lettura più critica, però, è riservato al periodo di Gorbaciov e soprattutto di Eltsin. Il crollo del gigante sovietico spianò la strada al liberismo, col risultato di portare il paese a un vero e proprio fallimento, economico e di sistema. La democrazia liberale e il suo seguito di privatizzazioni crearono disastri di portata epocale. Solo con Putin, secondo Dugin, si riuscì a voltare faticosamente pagina. Per questo il professore lo descrive come “male minore”, e ne elogia l’attenzione alla storia e alle radici del paese, la creazione di un rinnovato ruolo dello Stato e la lotta agli oligarchi (o perlomeno alcuni). Resistono però diversi elementi liberali nella cerchia e nella strategia del Presidente russo, e manca spesso una “chiara visione geopolitica”. Da qui il tentativo di Dugin di influenzare la politica del “nuovo Zar”. Con alterne fortune: le sue lezioni all’Accademia militare di Mosca e ai giovani di “Russia Unita” sono stati alcuni momenti significativi, a fronte dell’ allontanamento dall’Università di Mosca datato 2014. Al momento la distanza è molto significativa.
In Italia, Dugin prese contatti e apprezzò in maniera particolare Carlo Terracciano (scomparso prematuramente nel 2005), definito “uno dei maggiori geopolitici europei degli ultimi decenni”. Terracciano fece della geopolitica (da lui definita “il letto del fiume nel quale scorre la viva corrente degli accadimenti storici”) la sua stella polare, studiandone i precursori e avendo il merito di riportarla in auge sin dagli anni Ottanta. Con Dugin condivise le battaglie al mondialismo e all’influenza globale americana, esiziale soprattutto per l’Europa. L’esortazione comune rivolta al Vecchio Continente in crisi demografica e di valori è quella di riscoprire le sue (vere) radici in opposizione a atomismo e materialismo. D’altronde, Bruxelles dimostra ogni giorno di più la sua inconsistenza su tutti i temi principali del nostro tempo, dall’immigrazione alla lotta al fondamentalismo, proprio a causa di una fredda mentalità progressista e “razionale”. Nel regno della Bce e dell’Euro è impossibile pensare una strategia e una politica comune, e l’orgoglio nazionale viene umiliato ogni giorno. Identità e fierezza stanno invece tornando nell’agenda politica russa, tanto che Putin ha detto: “se per qualche nazione europea l’orgoglio nazionale è da tempo un concetto dimenticato e la sovranità un lusso eccessivo, per la Russia la vera sovranità è assolutamente necessaria alla sua sopravvivenza”.
Ancora oggi il sogno di Dugin, con tutti i suoi limiti ed eccessi, appare vivo. Il recupero del concetto di Impero e della nozione di “grande spazio” nel nome della missione della civiltà russa nel suo “estero vicino” si afferma come il cardine geopolitico dell’attuale costruzione teorica eurasiatica. Lanciata contro le interferenze planetarie statunitensi (pensiamo alle recenti provocazioni Nato ai confini russi), l’economia di mercato e il “cavallo di troia” dei diritti umani, verso una democrazia sovrana, basata sulla “comunità organica, naturale e culturale”. La sola che possa preservare l’identità russa e chiamare a raccolta i popoli contro il modello unico americano e i suoi teorici (Dugin ebbe modo di confrontarsi direttamente con Fukuyama e Brzezinski). Un progetto ardito e di ampio respiro: gli spunti da raccogliere sono molti per chi crede che le radici non siano merce e che nell’economia non si esaurisca il destino dei popoli.
Agostino Nasti