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Donald Sutherland, ricordo di un grande interprete di grande cinema

by Tommaso de Brabant
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Donald Sutherland

Roma, 30 giu –  Lo scorso 20 giugno, a Miami, si è spento l’attore canadese Donald Sutherland: il 17 luglio avrebbe compiuto 89 anni. Ricoperto di onorificenze in patria (anche per aver interpretato l’eroe nazionale Norman Bethune), ha ricevuto l’Oscar alla carriera nel 2018, eppure l’Academy non gli aveva mai attribuito nessuna “nomination” (se si guarda che gente premiano, diventa subito chiaro il perché); candidato nove volte ai Golden Globe, ne ha vinti due. Eppure tra le oltre 140 interpretazioni cinematografiche di Sutherland sr. (padre di Kiefer, che dopo gli esordi promettenti e, più avanti, l’effimero successo televisivo della spy-story 24 si è reinventato cantante) vi sono, assieme a parecchi film “alimentari” e ad alcuni esecrabili, molti film importanti.

Altissimo e magro, spesso baffuto o barbuto, invidiabile chioma foltissima (messa in pericolo da trucco e parrucco di Casanova), sorriso tutto denti che, in base all’espressione che conferiva agli occhi celesti, poteva essere da bonaria figura paterna come da killer psicopatico, il sottovalutato Donald Sutherland è stato un pilastro del cinema internazionale (assai frequenti, di recente, le sue partecipazioni a serie tv; al suo attivo Sutherland anche un videoclip – uno solo, ma importante: Cloudbusting di Kate Bush, apologia del ciarlatano Wilhelm Reich; sventurata la sua esperienza teatrale – nel 1981 fu protagonista della sola stagione di Lolita di Nabokov, adattato da Edward Albee per Broadway e boicottato dalle femministe e dallo stesso drammaturgo).

Donald Sutherland, primi passi da gigante

Infanzia funestata dalle malattie (dalla polio all’epatite, il piccolo Donald non se n’è fatta mancare una), studente indisciplinato (fu espulso da un college dopo aver lanciato un lavandino da una finestra) ma proficuo; tre matrimoni (l’ultimo, con Francine, proseguito dal 1976 sino alla morte) e cinque figli.

Attore colto (prima d’interpretare un personaggio leggeva tutto lo scibile al riguardo) e versatile, elegante (ma in grado di essere volgare) e carismatico; attivista politico (ben prima dei cialtroni inconcludenti in voga nella Hollywood della Gen Z) di sinistra e, ai tempi della relazione con Jane Fonda, pacifista (senza, a differenza di lei, andare fino a Saigon per sparare minchiate sulla pelle dei coscritti).

Anni Settanta: il decennio di Sutherland

Dopo alcune parti in film horror, ottiene grazie a Roger Moore (“contro” il quale era stato uno dei cattivi del telefilm Il Santo) di partecipare a Quella sporca dozzina (1967: è Vernon, lo scemo del gruppo) : il primo di molti ruoli, manco a farlo apposta, in divisa da militare. Nel 1970 arrivano i due ruoli che ne fanno una star: Testamatta (in originale “Oddball”), il carrista (con quell’altezza?) squilibrato che con i suoi Sherman truccati aiuta Clint Eastwood a trafugare un carico di lingotti dei nazisti, in I guerrieri; e soprattutto Pierce, il chirurgo detto Occhio di Falco per la miopia in M*A*S*H, il grande film grottesco di Robert Altman sulla guerra di Corea. Comincia la relazione con Jane Fonda (per cui lascia la seconda moglie), protagonista con lui di Klute (omettiamo il cretinissimo titolo italiano) di Pakula: Sutherland vi interpreta John Klute, poliziotto di provincia convertitosi investigatore privato a New York, apparentemente ingenuo e timido, in realtà energico, intelligente e coraggioso.

La Fonda vince l’Oscar, la coppia assieme a Peter Boyle lancia “FTA” (Free, oppure Fuck, the Army), cabaret itinerante contro la guerra in Vietnam. Nel 1973 il suo primo film in Italia, l’horror di Nicolas Roeg Don’t Look Now (i distributori italiani stupiranno il mondo col clamoroso titolo “A Venezia… un dicembre rosso shocking”): Sutherland e Julie Christie sono una coppia inglese traumatizzata dall’annegamento della figlia, vanno a Venezia perché lui deve restaurare una chiesa: lei asseconda due sorelle di cui una si professa chiaroveggente, lui insegue una figura che indossa un impermeabile rosso. Da antologia (oltre a una terrificante Venezia per nulla cartolinesca, anzi: umida e lercia, buia e muffosa) la scena iniziale e il colpo di scena finale; una lunga e dettagliatissima sequenza intima provocherà problemi con la censura e una campagna calunniosa scatenata da un giornalista pagato da Warren Beatty, allora compagno della Christie.

Nel 1976 escono i suoi film italiani più difficili: per Casanova di Fellini sostituisce Alberto Sordi, accetta di radersi la parte frontale del cranio, si sottopone a ore di trucco, subisce le urla e gli insulti del regista (durante le riprese: fuori dal set invece Fellini lo trattava con affetto, arrivando a chiamarlo “Donalduccio”), telefona alla terza moglie dicendosi dubbioso di uscirne vivo. Lo doppia Gigi Proietti. L’altro è il pessimo Novecento di Bernardo Bertolucci, nefanda rassegna di fantasie violente e storia studiata alla carlona del peggior regista italiano del secolo in questione; Sutherland vi interpreta il fascista psicolabile Attila Melenchini, cattivone caricaturale già dal nome; assieme a Laura Betti, nel ruolo altrettanto grottesco di Regina, impegnato in nefandezze indegne persino delle scene più stupide di Tarantino. Nel 1978 è protagonista di Terrore dallo spazio profondo, ottimo remake del classico sci-fi di Don Siegel: il suo urlo finale diventa “iconico” fra i cultori del genere. Nel 1980 Robert Redford lo sceglie per il proprio esordio da regista, Gente comune: ormai identificato con ruoli “borderline”, Sutherland nei panni di borghese padre benevolo fa scalpore.

Nel 1976 aveva interpretato (sostituendo Richard Harris, licenziato dopo la simpatica trovata d’annunciare la sua partecipazione alle riprese inneggiando all’IRA) Liam, miliziano irlandese che aiuta i tedeschi in un attentato a Churchill in La notte dell’aquila (un cult con Michael Caine e Robert Duvall al quale, per precedenti impegni, non partecipò anche David Bowie); nel 1981 è invece Henry Faber detto Ago per la sua destrezza con lo stiletto, spietata e abilissima spia nazista su suolo inglese in La cruna dell’ago. Lì faceva innamorare di sé Molly/Jenny Agutter, qui Lucy/Kate Nelligan: si tratta pur sempre di Casanova. La critica del New Yorker scrive l’ennesima recensione dalla colossale idiozia (“non c’è nulla di male nell’interpretazione di Sutherland, ma è spregevole”) e come già successo a Clint Eastwood, l’attore va in analisi per le baggianate di Pauline Kael.

Donald Sutherland

Anni sull’altalena

Gli anni Ottanta proseguono per Sutherland, ormai non più protagonista ma comprimario di lusso, senza particolare entusiasmo: nel fiasco Revolution è un perverso sergente britannico che durante la guerra d’indipendenza americana rapisce il figlio di Al Pacino (che, deluso dalla riuscita del film, si ritirerà dai set per quattro anni) a sua volta innamorato di Nastassja Kinski; in Sorvegliato speciale è il direttore penitenziario che, per vendicarsi d’una precedente fuga costatagli un provvedimento, si accanisce su Sylvester Stallone; in Un’arida stagione bianca è un professore sudafricano che, aiutato dall’avvocato McKenzie (Marlon Brando candidato all’Oscar), lotta contro le ingiustizie dell’apartheid.

Più vivaci e interessanti gli anni Novanta: nel 1991 è un piromane in Fuoco assassino di Ron Howard, un giornalista che segue una rivalità tra alpinisti in Grido di pietra di Werner Herzog, e un generale che rivela delle macchinazioni a Kevin Costner in JFK di Oliver Stone. L’anno seguente lui e Rutger Hauer si divertono a gigioneggiare nei ruoli di ammazzavampiri e vampiro nel curioso Buffy, poi è un mercante d’arte in Sei gradi di separazione di Schepisi. A parte film bruttini come Virus letale (dove interpreta l’ennesimo generale fuori di testa), Il tocco del male e Istinct, si segnala poi solo Hollow Point, commedia d’azione a tratti geniale; oltre al Golden Globe per il film televisivo Cittadino X, dove è il colonnello russo che assieme a un poliziotto (Stephen Rea) e uno psicanalista (Max von Sydow) indaga sul mostro di Rostov.

La consacrazione definitiva

Nel 2000 ritrova Clint Eastwood, che si dirige assieme a lui, James Garner e Tommy Lee Jones in Space Cowboys: Sutherland è Jerry, l’ingegnere miope che un giornalista definisce il “Casanova” del gruppo: non per nulla ha la stessa finta calvizie del film di Fellini. Torna in Italia da protagonista, con Piazza delle Cinque Lune di Martinelli, ricostruzione del complotto dietro il caso Moro. Gli anni seguenti ribadiscono lo status di Sutherland come “con la partecipazione speciale di”: Ritorno a Cold Mountain, Orgoglio e pregiudizio, Ad Astra, dove impartisce tardive lezioni di recitazione rispettivamente a Nicole Kidman (l’unica davvero brava del lotto) e Jude Law, a Keira Knightley, e a Brad Pitt. Grazie al successo dell’orrenda serie degli adattamenti dei romanzi per ragazzi Hunger Games (sfogo dell’astio degli “zoomer” nei confronti dei “boomer”), in cui è il dittatore Coriolanus Snow, negli ultimissimi anni della carriera Sutherland ha ottenuto dei ruoli da coprotagonista: American Hangman, La tela dell’inganno (un bel film italiano con Mick Jagger) e il suo ultimo film, Mr. Harrigan’s Phone (nel quale infatti compare in una bara); ma soprattutto nel 2017 è stato protagonista con Helen Mirren del bellissimo Ella & John, girato da Paolo Virzì negli States.

Donald Sutherland è stato un grande interprete di un cinema che non c’è più. Personaggi che non ci sono più, film che non ci sono più.

Tommaso de Brabant

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