Roma, 31 mag – Ormai da tempo si sente parlare di disinformazione. Questo termine, nato e diffusosi nell’ambiente dello spionaggio e del controspionaggio, è ormai sulla bocca di tutti. Più volte gli organi di informazioni e le istituzioni hanno messo in guardia i cittadini contro le cosiddette fake news, notizie volutamente false che sarebbero diffuse in internet al fine di veicolare specifici messaggi e indirizzare così le scelte degli elettori in una precisa direzione. Il problema delle fake news è ormai argomento di discussione anche all’interno dell’accademia e lo studio di tale problema è diventato un vero e proprio campo di indagine scientifica.
Che le notizie false siano circolate e continuino a circolare è un dato di fatto. Nella storia, si possono trovare numerosi casi di fake news che hanno avuto effetti anche importanti a livello mondiale: ci sono stati casi eclatanti, ormai noti anche al grande pubblico (si pensi agli effetti avuti sulla Borsa di Londra la falsa notizia della morte di Napoleone Bonaparte oppure alle conseguenze dell’annuncio di uno sbarco alieno da parte di Orson Welles alla trasmissione La guerra dei mondi); ma ci sono anche casi molto meno noti, che agiscono, diciamo così, in un microcosmo. È questa seconda categoria di fake news che ci interessa e che è oggi tanto discussa dai media e dagli esperti: piccole notizie, diffuse magari sui social network da utenti fittizi (cioè il cui profilo non è ricollegabile alla persona che effettivamente gestisce l’utente), che, prese singolarmente, hanno un peso più che relativo ma che considerate nel loro complesso influenzano, secondo gli analisti, l’opinione pubblica.
I controllori
Mettere in evidenza che il fenomeno delle fake news esiste non è un male; ma utilizzare la consapevolezza di questo fenomeno per legittimare, seppur implicitamente, un controllo “dall’alto” sulla rete è estremamente pericoloso e antidemocratico. Il problema delle notizie false ha infatti indotto diverse persone a sostenere che sia necessario disporre di organi di controllo sulle notizie diffuse sul web, cioè di organi che abbiano lo scopo di accertare se una notizia è o meno vera: una proposta simile sa di vera e propria censura, specialmente se si considera che, oltre al controllo, sono previste specifiche sanzioni.
Chi fa una proposta simile si dichiara, implicitamente, portavoce della verità, un atteggiamento, questo, riduttivo e antidemocratico: riduttivo perché non tiene conto, volutamente o meno, di quanto sia complesso stabilire quale sia la verità; e antidemocratico perché la scelta delle notizie da analizzare sarebbe, inevitabilmente, arbitraria: la quantità di materiale (immagini, notizie, video, ecc.) pubblicato su internet ogni giorno è tale che una revisione sistematica e completa di tale materiale è semplicemente impossibile, con la conseguenza che i “controllori” (agenzie o istituzioni preposte) dovrebbero scegliere arbitrariamente le notizie da controllare, cadendo così nell’imparzialità. Le istituzioni hanno già manifestato l’intenzione di procedere in questa direzione: il 23 maggio, durante il primo giorno di elezioni europee, il portavoce della Commissione UE Margaritis Schinas ha pregato gli Stati europei di prendere provvedimenti contro un’«ondata di disinformazione tossica, di informazione non corretta e di narrativa dell’odio che prende di mira l’Europa», mentre pochi giorni prima Facebook, dietro segnalazione della ONG Avaaz, ha chiuso 77 pagine e gruppi che venivano «usate come armi» da partiti o gruppi di estrema destra ed euroscettici.
Presunti imparziali
Non è difficile sollevare dubbi sull’imparzialità di una simile decisione. In primo luogo, si deve considerare che la nozione “diffusione dell’odio razziale” è tal punto vaga da lasciare spazio a un alto grado di arbitrarietà: un’interpretazione ampia di tale nozione, o accusa, potrebbe spingere a prendere provvedimenti contro uno che pubblica una foto in cui si vede un immigrato che attraversa col rosso. In secondo luogo, non si può non rimanere stupiti quando si riscontra che i siti presi di mira da Facebook sono stati segnalati da una ONG: forse le ONG sono per votazione spirituale imparziali? Si sono fatte indagini su questa ONG? Chi sono queste persone? Quali posizioni politiche sostengono? Domande che risultano ancora più cogenti quando si osserva (altra curiosa coincidenza) che buona parte dei profili o gruppi italiani chiusi sostenevano due partiti, la Lega e il Movimento 5 Stelle, che, come è arcinoto, sono state più volte tacciate, sia da politici italiani che da politici stranieri (afferenti soprattutto agli organi UE), di populismo, di estremismo, di nazionalismo, e di altri epiteti che significano tutto e niente (ma che a causa di un preciso processo semantico hanno assunto una connotazione negativa). Non è strano che fra i siti segnalati non ve ne siano di legati a movimenti di estrema sinistra (i cui membri sono noti per la loro violenza), a gruppi filoeuropei, a gruppi legati all’alta finanza, ecc.? Anche qui, un’altra strana coincidenza.
Quali norme?
Il caso di Facebook la dice lunga sul controllo da parte dei grandi gruppi dell’informatica sulle informazioni che gli utenti scambiano. A volte si dice che la rete è anarchica, perché non vi sono limiti prestabiliti alle informazioni che si possono diffondere o trovare; ma rischia anche di essere dittatoriale (o oligarchica), dal momento che tutto ciò che circola in essa in essa rimane (rimane traccia di tutto) e che chi detiene il controllo dei bacini di informazioni della rete (Google, Facebook, ecc.) ha accesso incontrastato alle informazioni ivi contenute. E non solo: i grandi gruppi possono, approvandoli al loro interno (coinvolgendo gli opportuni organi di controllo, si intende), prendere provvedimenti o prevedere sanzioni ad hoc, che possono svincolarsi rispetto a ciò che la normativa nazionale o internazionale prevede, dimostrandosi in taluni casi troppo indulgenti e in talaltri eccessivamente punitivi. In breve, la situazione normativa per quanto riguarda internet è tutt’altro che chiara e bisogna evitare che questo dia adito ad atteggiamenti da sceriffo da parte dei colossi informatici (che, come tutti, perseguono i loro interessi).
Bisogna considerare inoltre che l’atteggiamento allarmistico dei media e delle istituzioni nei confronti del fenomeno della disinformazione ha come conseguenza un sempre maggiore consolidamento degli organi di informazione “ufficiali”: una volta che il germe del sospetto è stato diffuso fra gli utenti di internet, cioè una volta che si è veicolato il messaggio secondo cui qualsiasi informazione potrebbe essere falsa, allora gli utenti (che sono molto sensibili al problema delle fake news: cfr. Fake news worrings “are growing” suggests BBC polls, BBC News, 22 settembre 2017) saranno propensi a dare credito assoluto alle notizie ufficiali (veicolate dagli organi di informazione ufficiali: giornali nazionali, canali televisivi, ecc.) e a prendere con le pinze tutte le altre notizie; ma in questo modo, a lungo andare, si crea una dittatura dell’informazione ufficiale, che è pericolosa soprattutto se si considera che, come è stato dimostrato (cfr. la classifica 2018 di Report Sans Frontières), l’Italia è un paese dove la libertà di stampa è molto limitata.
Edoardo Santelli
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