Rom, 8 apr – Luigi Di Maio è il ministro che gioca a Risiko. Peggio ancora, svolge il suo lavoro come se fosse una partita a Risiko. E il sospetto che tiri i dadi prima di esprimere un parere, di rilasciare una dichiarazione o di studiare quel – pochissimo – di mobilità concessa a un Paese satellite degli Usa quale è l’Italia, è forte.
Di Maio e la guerra “alla Risiko”
Ripetiamolo perché va fatto: Luigi Di Maio vive il suo incarico da ministro degli Esteri un po’ come se giocasse a Risiko. Le sue “argomentazioni chiave” durante questa crisi non hanno mai variato da un generico “più sanzioni, sempre più sanzioni” che richiama tanto alle scelte tra i condizionatori e la pace evocate dal quell’altro gigante del nostro presidente del Consiglio (ma di cui parleremo dopo). L’ultima dichiarazione del nostro eroe della diplomazia è sulla falsariga delle precedenti, dal momento che dice testualmente, come riportato da Tgcom24, che “questa guerra deve finire, lavoriamo per una conferenza di pace, ma la pace si fa in due. E Putin sta dimostrando di non volere la pace. Continua con queste allucinanti azioni di morte, dobbiamo togliergli i soldi per finanziare questa guerra. Quanto accade a Bucha non sono effetti speciali, è la verità”. Mancano solo Luke Skywalker, Darth Vader, e l’Impero galattico da abbattere.
“Pace” a caso sparata qui, “Putin malvagio” lì, e lì con “più sanzioni” ugualmente random, nel pieno rispetto dell’unica regola fondamentale di non svolgere ciò che gli dovrebbe competere, ovvero perseguire gli interessi del Paese che rappresenta. Che, guarda un po’ che fortuna, è il nostro. Dagli esordi in questa tristissima fase, Giggino ci aveva deliziato con le sue affermazioni a caso sparate contro il Cremlino, il quale si sorprese a tal punto da prenderlo pure abbastanza in giro, come quando Sergej Lavrov commentò l’ennesima sparata del nostro ministro così: “Ha una strana idea della diplomazia, che è stata inventata solo per risolvere situazioni di conflitto e alleviare la tensione, e non per viaggi vuoti in giro per i Paesi ad assaggiare piatti esotici ai ricevimenti di gala”. Una batosta la quale, purtroppo, non è rimasta isolata.
La “sfida” con Draghi
Di Maio sfida a singolar tenzone l’altro fenomeno assoluto di questa crisi, nome d’arte Mario Draghi, quel sedicente “supermario” che già abbiamo preso di mira recentemente, in più di un’occasione. Chi vincerà? Difficile a dirsi, parliamo di due fuoriclasse assoluti della mediocrità. Certo è che nessuno si sarebbe aspettato, un anno fa, che il dottor Draghi potesse essere messo sullo stesso piano di Di Maio, considerata la sua navigata esperienza come governatore della Bce e come professionista del settore finanziario. Si dirà, niente che riguardi la politica, ed è un’osservazione corretta. Ma per prima cosa non è escluso che un professionista della finanza o dell’imprenditoria si riveli un politico quanto meno accettabile nella capacità d’azione (si pensi a Silvio Berlusconi, di cui tutto si può dire, per carità, meno che sia stato sempre un totale sprovveduto nei suoi decenni di carriera parlamentare).
E in secondo luogo il livello di istruzione di Draghi è di ben altro peso rispetto a quella di Di Maio. Ciò nonostante, siamo di fronte a due personaggi assolutamente paragonabili. “Il bibitaro” se la gioca agilmente con “il banchiere”, per una coppia d’attacco dell’imbarazzo in questo momento difficilmente eguagliabile, nel contesto dell’Europa occidentale (certamente, Olaf Scholz sta compiendo dei veri prodigi, e forse ogni tanto contende il primato ai due campioni). Ma il sospetto è che la coppia magica, almeno per il momento, sia imbattibile.
Stelio Fergola