Washington, 6 dic – Non è ancora il presidente in carica e forse parlare già di “Trumpnomics” è affrettato, ma la direzione è chiara: Make America Great Again non sarà, almeno nelle prime intenzioni, un vuoto slogan, ma il fondamento per rilanciare industrialmente del paese.
L’occasione sono le recenti polemiche con la Cina, dopo la telefonata di Trump al presidente di Taiwan che ha fatto infuriare gli alti vertici di Pechino: “La Cina ci ha mai chiesto se andava bene svalutare la loro valuta (rendendo difficile per le nostre imprese competere), tassare i nostri prodotti che entrano nel loro Paese (mentre gli Usa non tassano i loro) o costruire un massiccio sistema militare nel mezzo del Mar della Cina del Sud? Non penso proprio!”, ha tuonato in una serie di Tweet. Prima di questo, l’affondo era stato preparato con una dichiarazione che sembra essere un programma di politica economica: “Gli Stati Uniti ridurranno le tasse e i regolamenti sulle imprese, ma chi delocalizza licenziando i propri dipendenti, costruisce stabilimenti all’estero e pensa di rivendere i prodotti negli Usa senza conseguenze, SBAGLIA! Presto ci sarà una dazio doganale del 35% per tutte le aziende che vogliono rivendere i loro prodotti dentro il nostro confine“, ha tuonato Trump, nell’intento di preparare il terreno a misure forse impopolari per le grandi imprese e i loro influenti vertici, ma indubbiamente d’effetto per tutta quella cintura industriale che crea posti di lavoro e che ha in massa votato per lui.
Il presidente repubblicano non ha d’altronde fatto mistero per le sue mire protezionistiche, con l’obiettivo di riportare in patria le produzioni spostate all’estero alla ricerca di salari più bassi. Una tentazione, quella di Trump, che si intreccia ora anche con le sfide di politica estera che ha promesso di affrontare.
Filippo Burla
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Fà bene!