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Della Mensura, ovvero del duello accademico

by La Redazione
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mensura, duello accademico

Roma, 6 ago – Per gli antichi Germani la giustizia era un fatto privato e la esercitava il singolo. Si trattava di un dovere, oltreché di un diritto. Nell’ambito delle contese, la parte danneggiata aveva così servito un iter giudiziario che consisteva nell’uso della forza, e solo se non voleva o poteva avvalersi di tale opzione, il colpevole era portato a rispondere di fronte alle autorità. Sorta di vendetta regolamentata, era la faida (fehida, in tedesco antico). Non poteva concepirla il diritto romano, assai più sofisticato, e ciò che oggi più gli si avvicina può esser considerata la legittima difesa. Differenza sostanziale, però, sta nel fatto che se, per quest’ultima, l’uso della forza si esprime nel prevenire un danno a persone o beni, nella faida la forza veniva esercitata ad azione già avvenuta. A freddo, per così dire. Gli spargimenti di sangue atti a far espiare una violazione della legge erano comuni e, non avendo questo istituto giuridico limitazione fra singolo e collettività, potevano avvenire non soltanto fra individuo ed individuo, ma anche fra famiglia e famiglia, ampliandosi fino a conflitti che vedevano intere città confrontarsi in armi.

Mensura, il duello accademico 

Come il mondo continentale-germanico arrivò a integrarsi con quello mediterraneo-romano, prese sempre più piede la sua versione pacifica. Si trattava del cosiddetto guidrigildo che, come certifica l’Editto di Rotari (643) per il Regno Longobardo in Italia, consisteva in una somma di denaro equivalente a sanare l’offesa subita. La centralità germanica realizzatasi uniformemente col Sacro Romano Impero, diede il là alla faida per attraversare l’età medievale, seppur con una serie di limitazioni che la Chiesa impose come necessarie. Doveva essere introdotta da una “lettera di faida”, non poteva esercitarsi su suolo consacrato, in certi giorni della settimana e in dati periodi dell’anno, né riguardare i chierici, le puerpere, gli ammalati gravi, i pellegrini, i mercanti in viaggio e i contadini nei campi. Divenendo, per esclusione, retaggio di una categoria sociale precisa – quella dei cavalieri – la faida cambiava veste in duellum. Questo fino al 1495, quando Massimiliano I finì per bandirla da tutti i territori imperiali, con decreto alla dieta di Worms. La pratica, però, restò nel Dna culturale dei popoli germanici, fintanto da protrarsi nel mondo contemporaneo. E’ il cosiddetto “duello accademico”, ancora praticato in alcune università dell’Austria, della Germania, della Polonia, delle Fiandre, della Svizzera, e propriamente detto Mensura (die Mensur). Termine che deriva dall’omonimo latino e traduce “misura”, significando la distanza fissa da mantenersi fra i duellanti.

I primi dati di sfide all’arma bianca all’interno di università tedesche risalgono al XVII secolo e sono per lo più in forma indiretta, ossia come sanzioni da parte delle autorità preposte all’ordine studentesco. Un primo divieto è quello del 1570 a Wittemberg, in forma di richiesta che l’Ateneo rivolse al principe elettore Augusto di Sassonia, volendo rimarcare come le università “non sono campi d’appello, o campi di giocho o mattatoi”, ma devono indurre al ”timore di Dio, alla disciplina, all’onorevolezza”. Con il fiorire degli ordini studenteschi nel secolo successivo, ogni ateneo si legò a regole di scherma proprie oltre che ad uno specifico tipo di arma. Al tempo in cui portare una spada al fianco era d’uso per l’uomo dabbene, da mezzo risolutore di diatribe di gioco alla maniera che fu del Caravaggio, la Mensura si fece confronto regolamentato. Le motivazioni per richiedere un duello potevano essere di vario tipo e banali, dal diritto di passare per primi su un marciapiede, a quello di sedersi in prima fila ad una conferenza o una lezione, alla difesa dell’onore di una donna di cui si era innamorati.

Ma l’occasione più comune, che reclamava soddisfazione in seno all’ambiente universitario, era un insulto specifico. Dare del dummer Junge (ragazzotto stupido) a qualcuno aveva un solo esito. Come riporta la definizione dell’epoca, rigorosamente in latino a sancirne il rigorismo accademico: est maxima et atrocissima iniuria, quia agitur de sana mente etsapientia studiosi. Vale a dire che rappresenta l’offesa più profonda e grave, perché mette in discussione la lucidità mentale e la sapienza di uno studioso. Il dummer Junge poteva essere rimediato seduta stante anche con un semplice schiaffo. E questo conduceva inevitabilmente a quell’escalation che solo le armi potevano domare. Dopo aver risposto al biglietto che lo sfidante faceva recapitare al contendete, ci si incontrava sulla pubblica piazza – necessaria la presenza di testimoni. Là dove esistessero leggi che lo vietavano, lo scontro doveva avvenire in forma riservata, magari sul retro di qualche birreria. Allora i secondi (die sekundanten), assistenti dei duellanti, avanzavano reciprocamente a spade tese, finché la punta dell’una non toccava la testa dell’altro. Veniva preso il punto in cui poggiava il piede sinistro di ognuno e da lì si tracciava un cerchio. Ecco presa la misura del campo del combattimento, ovvero la Mensura.

Spesso poteva trattarsi di duelli perfino fra amici, innescati dal testosterone di ventenni con la voglia di spaccare il mondo e magari da qualche schnapps di troppo. Lo scopo non era ferire a morte chi si aveva di fronte, ma ricevere soddisfazione, il che, il più delle volte, comportava semplicemente l’essersi messi alla prova. Uscirne segnati con una Schmiss (cicatrice) sul volto, diveniva così il marchio d’appartenenza al rango degli intellettuali. Nel tempo in cui l’epopea dei paladini non era più cosa attuale, sostituita l’etica cavalleresca col pragmatismo machiavellico e l’utilitarismo mercantilistico, per questi uomini in età di studi, si trattava di fregiarsi di una nobiltà di cuore finemente retrò. Morti ammazzati ne potevano capitare ma, all’interno degli atenei, se ne contavano sulle dita di una mano nell’arco di anni; e, comunque, una regolamentazione via via più codificata ne limitò ulteriormente il numero. Quale retaggio virile, arcaico e medievale, l’Illuminismo, nella sua megalomania di razionalizzare, modernizzare, femminilizzare, non poté prenderlo bene. Fra proteste di cittadini benpensanti e raccolte di firme di intellettuali antesignani del politically correct, nel 1785, dal Journal von und für Deutschland si lanciava un appello allarmato: “Quali sono i mezzi più efficaci per impedire la pratica del duello universitario e rendere i costumi degli studenti confacenti al loro ruolo?”. Nessuno, di fatto.

La Mensur continuò fra circoli e le leghe studenteschi quali i Burschenschaft, i Turnerschaft, i Landsmannschaften, i Corps. La questione tornò d’attualità nel 1850, a mezzo di una interrogazione parlamentare che avrebbe dovuto bloccarne la pratica all’interno della Confederazione germanica, ma che fu un buco nell’acqua, rivelando questo tipo di scontro armato, uno sport per i tedeschi, come per i britannici il tennis. La natura della Mensur si delineò allora, e a tutti gli effetti, in ciò che l’antropologia chiama Übergangsritus (rito di passaggio). Non serviva più alcuna motivazione formale per imbracciare una spada, bastava l’ambizione di entrare a far parte di un’associazione studentesca presso un centro di studi. Il ricorso a tale pratica subì un rallentamento a seguito dell’azione del Freie Studentenschaft, movimento antiduellistico che, a inizi del ‘900, riusciva a raccogliere alcune migliaia soci e ben 20 presidi locali nelle città universitarie.

Cadde poi del tutto in disuso durante il Terzo Reich, bandite le associazioni giovanili diverse da quelle di partito, nonostante molti volti del regime fossero passati attraverso gli squarci di una lama da Mensura: uno su tutti, quello di Otto Skorzeny. Ad oggi, si pratica ancora, e ogni circolo o lega che ne perpetua la tradizione, mostra senza vergogna i propri colori, gli stendardi, i berretti, i ritratti dei membri storici. Maschilismo, élitarismo, nazionalismo, i valori condivisi. L’arma è per tutti la sciabola, affilata opportunamente, sebbene spuntata. La protezione consiste in un collare di cuoio a riparare la giugulare, un occhiale onde evitare taglio netto del naso oppure accecamento, una cotta di maglia sul busto ed una imbottitura al braccio. Dopotutto si mira ad ottenere quella bella Schmiss da esibire per la vita, non a uscirne kaputt o irreparabilmente menomati. Apre le danze il Fechtcomment (arbitro), generalmente uno degli studenti più anziani. Allora, immobile sul posto, la spada alta sopra la testa, il duellante procede a far piovere fendenti. Questi si possono ricevere e restituire, mai parare. Anche il più piccolo, istintivo, movimento del capo a scansarne uno, comporta il grido di Halte! del Fechtcomment; e un’ammonizione che se dovesse ripetersi chiuderebbe il duello per codardia (Abfuhr auf Moral). Due medici sono presenti, pronti a valutare, volta per volta, l’andamento delle ferite, suturandole lì per lì. A seguirne lo svolgimento non si può non considerarlo un esercizio di sprezzo dell’incolumità senza pari, qualcosa di gratuito, primordiale, impensabile. Così poco spettacolare peraltro, in termini d’impatto visivo, fugace, nevrotico com’è. E si ha l’impressione di veder ciascuno dei due sciabolare di fronte a uno specchio, perché i sussulti e i moti dell’uno sono replicati esattamente da quelli dell’altro.

Nessun vincitore

Questa l’essenza della Mensura. Che non è sconfiggere un avversario altro da sé, stabilendo il primato sul prossimo, come richiederebbe quell’ottica così volgare, angloamericana e borghese. Si tratta, difatti, di prendere le armi contro se stessi, e dare contro ai tratti del proprio limite naturale, fisico e mentale. E dato questo come scopo, vincitore non ce n’è. Poiché soddisfazione non ne avrà chi ha portato il maggior numero di stoccate a segno, ma chi, coperto il volto di sangue, non sarà più in grado di rimbracciare l’arma. Dolore, disciplina, ferite, sacrificio di sé: quanto stridono con una contemporaneità che ama anestetizzare pure i mal di gola, depilare pubi e sopracciglia, spianare al laser i segni dell’acne, psicanalizzare le paure. Quanto dovrà far strano leggere di tutto ciò a chi, per caso, s’imbatterà nella storia della Mensura. Ma non a noi. Noi a cui questo piace.

Alessandro Staderini Busà

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