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Lione, 14 giu – DDR. Non parliamo della Repubblica Democratica Tedesca, ma a suo modo siamo entrati nella galassia del muro, fatto di tackle e filo spinato, ben più resistente di quello di Berlino. Questo muro si chiama Daniele De Rossi. Il figlio del Padre ha fugato, in 90 giri d’orologio, ogni dubbio sulla sua presenza con la maglia della nazionale indosso. Il centrocampista erede della dinastia romanista, nella serata di ieri contro il Belgio ha indossato la sua casacca bianca numero 16 posizionandosi nel 3-5-2 di Antonio Conte – capace di mutare in fase difensiva, 5-3-2, ed in fase offensiva, 3-1-6 – davanti alla difesa targata Juventus diventando lo spauracchio di Eden Hazard e combriccola. Qualcuno aveva storto il naso e non lo vedeva condottiero della mediana azzurra, alla vigilia del 33esimo compleanno, individuandolo al massimo come chioccia per i più giovani del gruppo. Invece in un’Italia con un’età media che sfiora le 32 primavere, De Rossi è risultato bilanciere prezioso in ogni fase della manovra tricolore. Il suo più grande merito, ieri sera, è stato quello di lasciare libero di riflettere Leonardo Bonucci. Il difensori ex Bari, mentre giganteggiava in fase di copertura, è stato investito del ruolo di regista con lanci, vedere il primo goal di Emanuele Giaccherini, che accarezzano la memoria di Franz Beckenbauer e sfidano le geometrie di Andrea Pirlo.
Del resto quando non si dispone di tecnica sopraffina servono polmoni e servono guerrieri. Il figlio di Enea nella sua, ormai lunga, carriera ha un solo rimpianto “quello di poter donare alla Roma una sola carriera”, non quello del sacrificio distribuito in ogni giocata, in ogni taglio, in ogni anticipo, in ogni rete e in ogni salvataggio. Bilancia, dicevamo, che alterna muscoli e copertura ad inserimenti e tecnica un all around secondo solo alla classe di un altro fedele alla linea, Steven Gerrard, anche lui capace di vivere tutta di un fiato la sua esistenza calcistica sempre nella stessa trincea anche quando l’acqua è alla gola.
Mediano, dunque, con la solitudine dei numeri primi sulla schiena ed il grido “Ahu! Ahu! Ahu!”, di spartana memoria, che squarcia il campo quando con la calma dei forti si accendono scintille tre lui e il congolese Romelu Lukaku. La guerra bisogna saperla fare, bisogna esserne adepti, bisogna esserne sedotti come si è sedotti dalla morte e in una nazionale operaia l’elmo lucente di Daniele De Rossi riecheggia come spauracchio tra le nazioni in cerca di vittoria.
Lorenzo Cafarchio
1 commento
Giusto! Danielino fijodenea! Ma puro er cappetano – totti – ce sarebbe voluto. Coi suoi sputi funambolici e la bandiera dell’Italia messa come cappello alla strega bacheca. Però er cappetano ha sempre sponsorizzato la sinistra romana, da Veltroni a Giachetti, quindi forse nun è cammerata… mmmhhh….