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Dandy e identità nazionale: i 4 “assi” del novecento

by La Redazione
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Roma, 7 apr – Nonostante la figura del dandy sia talvolta associata a quella dell’individualista apolide e cosmopolita, è bene rammentare che molti sono stati i letterati ed esteti di alto profilo a schierarsi a fianco dei propri movimenti identitari nazionali. Alcuni di questi hanno poi brillato anche come figure peculiari di quel mondo di bel gusto estetico che ricade sotto il nome di dandysmo.

dandy d'annunzioUno dei prototipi assoluti del dandy è certamente Gabriele D’Annunzio, tanto che talvolta, e non senza malizia, certa storiografia ha cercato di nasconderne le passioni e le motivazioni politiche dietro una coltre di sola estetica. Non che la ricerca del bello sia mai mancata nelle azioni del Vate: il Vittoriale degli Italiani rimane a monumento straordinario dell’estro creativo di D’Annunzio, del genio multiforme, dell’uomo dal gusto eccentrico, eccessivo, dagli appetiti sessuali famelici. L’eredità materiale è quella di un’impressionante mole di oggetti, suppellettili, opere d’arte, capi di vestiario di ogni foggia e ispirazione, spesso nel segno delle ossessioni – tutte italiane – per San Francesco d’Assisi, Michelangelo e Dante Alighieri. La fascinazione per San Sebastiano Martire andrà ad influenzare un altro celebre dandy, Yukio Mishima. Letterato, esteta, soldato o ancora meglio eroe protagonista di imprese da epica classica, nessuno meglio di D’Annunzio lascia un marchio tanto forte sull’etichetta di dandy.

dandy drieu la rochelleIncarnazione del dandysmo politicamente schierato d’oltralpe (al pari dei meno celebri Henry de Montherlant e Roger Nimier) è invece Pierre Drieu la Rochelle. Ne è immagine da manuale il ritratto di Man Ray che lo vede posare con gli attributi tipici del dandy; il completo, il cappello, il bastone da passeggio decorato appoggiato al mento, a sorreggere un’espressione quasi ennuyée. Drieu incarna, al pari di Mishima ma anche molto diversamente, l’uomo fuori dal tempo preda di un disagio o di una pulsione che lo conduce alla morte. Il primo approccio alla politica lo vede vicino ai movimenti surrealisti e comunisti dell’amico Aragon e poi ai realisti dell’Action Française. Nel turbinio della vita notturna parigina degli anni ’30, finisce per sposare definitivamente la causa fascista: ma sono anche gli anni dei molti romanzi di successo – “Gilles” e “Fuoco fatuo” su tutti – e dell’amore tormentato con Victoria Ocampo, poetessa e scrittrice argentina, rapporto tanto passionale quanto intellettuale, testimoniato da un lungo carteggio che continuerà fino alla morte di lui, suicida nella Parigi in mano agli Alleati.

dandy ernst jungerIl destino del giovanissimo Ernst Jünger era già segnato quando nel 1913 fuggì da scuola per arruolarsi nella Legione straniera, esperienza che descriverà nell’esotico “Ludi africani”. Il germe di una brama al contempo guerriera e di conoscenza è già insito, nella celebre foto che lo vede poco più che imberbe adolescente in uniforme. Delle imprese militari dello scrittore tedesco si potrebbe scrivere per pagine e pagine: qui però interessa di più tracciarne brevemente il profilo di intellettuale di razza. Non contento di aver dato alle stampe uno dei più vividi diari di guerra del secolo scorso, nel primo e poi nel secondo dopoguerra Jünger diversifica in maniera impressionante le proprie opere: resoconti di viaggio, trattati filosofici e politici, romanzi di fantascienza, racconti erotici, saggi di entomologia, tutto sotto il segno di una produzione elegantissima ed oculata. Allo stesso modo di D’Annunzio, ma con più sobrietà, lascia a testimonianza l’ultima casa dove ha vissuto in quel di Wilflingen: tra i cimeli, il celebre Stahlelm trapassato da parte a parte a pochi millimetri dal cranio del quale si legge in uno dei passaggi più accesi de “Nelle tempeste d’acciaio”. Come direbbe uno dei suoi personaggi, nel romanzo “Heliopolis”, “diventai un dandy, che rende il superfluo importante, e che ride innanzi all’importante”.

mishima dandyAnche l’Impero giapponese sconfitto durante il disastro del secondo conflitto mondiale, ha generato un perfetto connubio fra cultura tradizionale giapponese e dandysmo. E’ il caso del “samurai postbellico” Yukio Mishima, che trova il proprio personale stile di rivolta nel coniugare il lavoro intellettuale all’allenamento tradizionale con la spada e con i bilancieri.  Il “pensiero debole” degli intellettuali suoi contemporanei non può che andare di pari passo con un fisico cadente, la decadenza della mente si associa perfettamente alla decadenza dei muscoli: così scrive in “Sole e acciaio”. In anni in cui la cultura del bodybuilding commercializzata a livello mondiale dai fratelli Weider è ancora lontana ad esplodere, Mishima riesuma il motto latino della mente sana nel corpo sano e si trasforma, glorificando il proprio ego e la propria figura con immagini epiche katana in pugno. Estetica che rimane un aspetto di primissimo piano anche nella sua attività rivoluzionaria e nella costituzione del suo esercito privato, la “Associazione degli Scudi”: la divisa con due file di bottoni che corrono lungo il petto e verso le spalle esaltano il corpo degli aderenti. Organizzato e fallito un colpo di Stato simbolico e deluso mortalmente dalla passività con cui i propri compatrioti si stavano piegando all’occidentalizzazione del Giappone, non gli rimase altra via che il suicidio rituale, il seppuku.

Edoardo Fiorani

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