Roma, 10 dic – Damasco è caduta, l’ultimo baluardo di civiltà del Vicino Oriente è nelle mani dei tagliagole del terrorismo islamico. La resa della capitale siriana decreta così la fine del mondo arabo, laico e socialnazionalista. Ultimo, in ordine cronologico, di tutta una serie di sviluppi internazionali che hanno ribadito – per chi se lo fosse dimenticato – l’inesistenza fattuale di salvatori o liberatori stranieri. Ogni Nazione persegue i propri interessi, in base ai quali possono strutturarsi convergenze tattiche ma momentanee. Così, sebbene gran parte dell’opinione pubblica sembra più interessata ai risvolti che l’instabilità dell’area avrà sullo Stato d’Israele, ci dovremmo ricordare che i destini dell’Italia si giocano, oltre che nella fondamentale partita europea, anche nelle acque del Mediterraneo.
Il fatalismo di Tajani
Un ripasso che servirebbe sicuramente ad Antonio Tajani, ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. Espressosi su un avvenimento passato un po’ troppo sottotraccia – l’assalto armato di domenica mattina nel giardino della residenza dell’ambasciatore italiano in Siria – ha liquidato così il grave fatto: «Hanno portato via solo 3 automobili e tutto è finito lì».
Parole che pongono il forzista in quella lunga e fatalista scia che ci ha portato – rinuncia dopo rinuncia, passo indietro dopo passo indietro – ad interpretare il ruolo di comparsa nella complicata scacchiera del mare nostrum. Facendo, spesso e volentieri, l’interesse altrui. Ora, non che ci aspettassimo altro dall’ex coordinatore del partito berlusconiano. Ma, con ogni evidenza, gli effetti della polverizzazione libica nel post-Gheddafi non hanno davvero insegnato nulla.
L’asse del mondo
Sì, perché, per chi se lo fosse scordato, il Mediterraneo rivela la propria importanza per gli equilibri del mondo già nel nome. Dal latino mediterraneus, in mezzo alle terre. Qui si affacciano tre dei cinque continenti, sulle sue coste si sono radicate culture portatrici di diverse civiltà: l’antica Roma e la Grecia classica su tutte. Ma anche l’impero spagnolo e la Venezia dei dogi. Egizi, fenici, cartaginesi e ottomani. Non è un caso che anche un gigante più “continentale” come Napoleone abbia trovato i natali proprio in una sua isola, ovvero la Corsica.
Le vicende del Mediterraneo attraversano gli antichi politeismi incontrando poi nel cammino le tre religioni monoteiste, edulcorate da certo fanatismo anche grazie a scienze e filosofie proprie di queste terre. Arrivando fino al mito, lo ritroviamo nei poemi fondativi delle genti europee. Abbondanza e differenze, figlie del lavoro e della trasformazione della natura. Ponte e frontiera, mare che divide e allo stesso tempo unisce.
Un continuo dialogo tra diversi, mai degenerato in confusione e perdita delle rispettive identità. Senza rigettare l’altro da sé ma lungi da ogni egualitarismo. Non ci si prostra, nulla si deforma. Un cosmopolitismo sano, se così vogliamo chiamarlo, votato al confronto. Quindi, dall’altro lato della medaglia, ago della bilancia di delicate (in)stabilità, scenario dei maggiori conflitti mondiali: dalle crociate agli attuali fronti mediorientali, passando – ovviamente – per le guerre del ‘900.
L’Italia, centro del Mediterraneo
Mare di mezzo, legato non di certo a un concetto di mediocrità. Questione di centralità, piuttosto. E quale Nazione vi si trova completamente immersa, perno storico e geografico attorno al quale si è ordinato il Mediterraneo stesso (e con esso il mondo)? Risposta esatta, quell’Italia dove uno spirito libero come Ezra Pound aveva scoperto “uno stato mentale mediterraneo, stato di intelligenza, modalità d’ordine ‘sorse’ da Sparta forse più che da Atene”. Continua tensione verso l’avanti, come quando si viaggia per mare, appunto. La volontà di costruire l’Europa necessita anche di un modello, italiano e mediterraneo, diverso da quello attuale. Perché, sempre per dirla con il poeta americano, bisogna diffidare “da chi distrugge un’immagine”.
Ma la realtà dei fatti, per il momento, dice l’opposto. Per un’Italia che abdica al suo destino c’è un terrorismo che colpisce indiscriminatamente – magari facendo saltare cerca persone e walkie-talkie. E un’opinione pubblica che trasforma i tagliagole in ribelli moderati. Scrive Adriano Scianca nel suo Ezra fa surf: “non c’è luce lontano dal Mediterraneo”. Tempi bui, anche per quest’ultimo. Almeno finché l’Italia non tornerà a navigare nel suo mare. Ovvero a fare il proprio interesse.
Marco Battistini