Roma, 27 dic – Esattamente 13 anni fa, nella notte tra il 26 e il 27 dicembre 2003, nasceva CasaPound, con l’occupazione di un edificio ex pubblico abbandonato da alcuni anni. Nasceva proprio sul problema dell’emergenza abitativa che già era esplosa con virulenza una decina di anni dopo l’avvento della cosiddetta II Repubblica e che, recentemente, ha dimostrato tutto il suo continuo aggravarsi con gli episodi di sgomberi e ribellioni che hanno coinvolto la giunta Raggi del Comune di Roma. Alle azioni e alle proposte di CasaPound in tema di “politica della casa” (Mutuo Sociale, costruzione di nuovi quartieri di edilizia popolare di Edilizia Residenziale Pubblica) spesso, nei banchetti e sui social network, l’obiezione dei cittadini è questa: “Io pago un mutuo di decine di anni, perché dovrei essere favorevole a pagare con le mie tasse la costruzione delle case popolari?” E questo sottintende una sorta di “favoritismo” per chi ci andrà ad abitare. Non è un favoritismo. Al di la di tutte le considerazioni di ordine etico e solidaristico, le case popolari sono un potente strumento di rilancio dell’economia, favorendo anche il mantenimento del valore dell’edilizia privata. In primis mantengono un significativo potere di acquisto a chi è a basso reddito, sostenendo l’economia generale (sono milioni di persone) e permettono la nascita di figli, poiché la stabilizzazione in una casa pubblica favorisce la demografia a chi, per reddito e/o precarietà, i figli non li fa più. Inoltre costituiscono enormi patrimoni degli Enti Previdenziali (e quindi contribuiscono al pagamento delle pensioni) e fanno da traino al settore delle costruzioni, volano per tutta l’economia.
Storicamente le case popolari iniziano nel 1903 con la costituzione dello ICP (Istituto Case Popolari) nel secondo governo Giolitti, che prosegue la sua attività in molte città d’Italia fino all’avvento del Fascismo, quando la costruzione delle case popolari ha una accelerazione che durerà per tutto il ventennio: celebri quartieri come la Garbatella (progettata dagli architetti Marcello Piacentini e Gustavo Giovannoni) o le “borgate” destinate ad accogliere gli abitanti di quartieri di origine medievale che venivano abbattuti, ma addirittura di città intere, 11 in totale fra cui Littoria, Pomezia, Pontinia, Sabaudia etc. e 64 Borghi Rurali (che ormai sono diventate cittadine, come Borgo Montello e tanti altri). Dopo la seconda guerra mondiale il problema si ripresenta impellente e già nel 1949 ad opera del ministro del Lavoro, Amintore Fanfani (DC) una parte dei fondi del Piano Marschall viene destinato a case popolari. “Negli Stati Uniti il rapporto Hoffman critica duramente l’intenzione, da parte dello stato italiano, di utilizzare parte dei fondi del Piano Marshall, per sostenere il cosiddetto “Piano Fanfani”, tradotto poi nel Piano Ina-Casa (…) I tempi previsti sono rapidissimi. Già a luglio iniziano i primi lavori e a ottobre i cantieri aperti sono 650. Ogni settimana sono realizzati 2.800 alloggi. L’iniziativa, criticata dall’America, dopo 14 anni ha dato lavoro a oltre 600 mila lavoratori per la costruzione di ben 350 mila alloggi. (tratto da Rai Storia). Esaurito il programma INA-Casa la costruzione di case popolari continua con il programma GESCAL (Gestione Case Lavoratori) finanziato con una trattenuta in busta paga dello 0,35% a carico dei dipendenti e dello 0,70% delle aziende. Il fondo GESCAL dura fino al 1998 ed opera mediante finanziamenti per lavoratori dipendenti, di aziende pubbliche o private che costruiscono abitazioni per i propri dipendenti, finanziamento delle cooperative e mutui a singoli privati.
Ai tradizionali Enti Previdenziali statali quali INFPS (Istituto Nazionale Fascista Previdenza Sociale, 1933, poi INPS) e INCIS (Istituto Nazionale Case Impiegati Statali, 1924) si affiancano gli Enti Previdenziali di categoria (Enasarco, Cassa dei Geometri, 1938, ENPAV, Veterinari, INPIGI, Giornalisti, 1926, etc), tutti vincolati a investire i fondi previdenziali in edilizia, pubblica o riservata alle singole categorie, ma sempre finalizzata a scopi “sociali”, a dire a favorire l’accesso alla casa ai soggetti con redditi più bassi. Molte di queste case nel corso degli anni sono state poi vendute agli stessi inquilini che ormai avevano maturato una posizione economica sufficiente per acquistarle. Quindi ritorniamo ai concetti espressi all’inizio: un enorme investimento in edilizia ERP che dura dal 1903 basata sul reinvestimento dei fondi versati da lavoratori dipendenti e professionisti agli enti previdenziali, quindi economia produttiva e giganteschi patrimoni immobiliari a garanzia dell’erogazione delle pensioni. Per cui fino al 1990 le case per i cittadini italiane c’erano, compresi quelli a basso reddito e le giovani coppie.
Tutto inizia a cambiare con la mai abbastanza “stramaledetta” II Repubblica, la “Grande Rivoluzione Liberale” che segue la firma del Trattato di Maastricth del 1991 in cui si avvia il processo che porterà all’Euro e che in Italia investe tutti i partiti che si riciclano nella nuova ideologia della privatizzazione e, soprattutto, nella Finanza, a dire nella finanziarizzazione dell’economia. Tutto prende le mosse dalla la famosa riunione sul Panfilo Britannia del giugno 1992, poi la crisi finanziaria del novembre 1992 che porta la Lira italiana all’uscita dalla SME, le privatizzazioni di Prodi all’IRI che smantella un comparto di 500 mila dipendenti, l’abolizione della Legge Bancaria del 1936 con il Testo Unico Bancario del 1993 e così via. Con il D.M. 509/94 gli enti Previdenziali di Diritto Pubblico vengono privatizzati, e attraverso vari passaggi negli anni si arriva al 2012 quando i patrimoni immobiliari degli enti vengono messi in vendita e il ricavato investito in impieghi “più remunerativi”, a dire in impieghi finanziari. Dunque non solo finisce il potentissimo motore dell’economia sostenuto dai versamenti per la previdenza, ma addirittura si dismette il patrimonio esistente per investire il ricavato in impieghi finanziari perché “più remunerativo”. E basta osservare l’andamento generale degli assets finanziari dalla crisi del 2008 in poi, per immaginarsi quale sia poi la remunerazione complessiva che si è andata a ottenere.
Di che cifre stiamo parlando? Mafia Capitale o le tangenti di Mani Pulite a confronto sono roba da oratorio, pescare col cucchiaino nel barattolo della marmellata con mamma che ti rincorre brandendo la ciabatta. Basta guardare la relazione della Corte dei Conti, Sezione del controllo sugli Enti, Allegato 3 pag. 25 per verificare la situazione degli Enti Previdenziali privatizzati. Al riepilogo del Totale Generale abbiamo per il 2014: Immobili e Fabbricati 5,2 miliardi; Immobilizzazioni Finanziarie 30,5 miliardi; Attività finanziarie non immobilizzate 17,6 miliardi. In sostanza a fronte di un patrimonio edilizio di 5,2 miliardi abbiamo oltre 48 miliardi in impieghi finanziari, a dire una montagna di soldi alta come l’Everest che sono finiti nelle casse di chissà chi, esposti ai “crolli di borsa”, alla “volatilità dei mercati” e tutte le altre diavolerie con cui periodicamente si svuotano le casse. Ed è bene ricordare che nel recente decreto “salva banche” lo Stato ha stanziato “appena” 20 miliardi, 20 mila milioni di euro. Gli Enti Previdenziali hanno gettato nella fornace 48 mila milioni di euro. Erano soldi che sarebbero dovuti finire in “attività reali” e fare da motore dell’economia così come è stato fin dal 1903. Il risultato di questa millantata “maggiore remuneratività” è che non ci sono più nuove costruzioni di case popolari e si scatenano ribellioni e sommosse, il valore delle case di proprietà crolla insieme all’arretramento generale dell’economia, le pensioni future sono “garantite” dall’andamento dei mercati (stai fresco!), le aziende del comparto delle costruzioni chiudono, quelle dell’indotto vanno fallite, le giovani coppie la casa non la trovano e i figli non nasceranno mai. Questa è la Grande Rivoluzione Liberale millantata per ogni dove, ma che in realtà è un ritorno al liberalismo ottocentesco che ne replica tutti i mali e i disastri. Lo scandalo della Banca Romana del 1890 è identico: speculazione sui suoli del quartiere romano Prati, costruzione di palazzi “signorili” che non si è comprato nessuno, finanziamenti a politica e politicanti (si dice perfino al Re) mai rientrati (sembra MPS, con i suoi arditi impieghi finanziari e i finanziamenti a Prime Tessere e parenti del “Board”). E così abbiamo risposto a quel signore che ci chiedeva perché dovrebbe finanziare con le tasse le case popolari. Se non lo ha capito fino adesso non lo capisce più.
Luigi Di Stefano