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Dalla Fornero a Fornaro: oltre il pianto della sinistra, c’è l’Europa

by Sergio Filacchioni
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Fornaro

Roma, 20 mar – Ci sono momenti in politica in cui si piange e momenti in cui si incide. Il discorso di Giorgia Meloni su Ventotene ha avuto il merito di fare la seconda cosa, mentre altri si sono dedicati alla prima. Il pianto di Federico Fornaro in Parlamento ne è la sintesi perfetta: la sinistra si trova più incredula che arrabbiata, più smarrita che combattiva. E il problema non è Ventotene in sé, ma il fatto che qualcuno abbia osato toccare un feticcio intoccabile, creando un precedente pericoloso per chi vive di figurine più che di sostanza.

Da Fornero a Fornaro, il lungo pianto

Lacrime: le abbiamo viste nel 2011, quando Elsa Fornero scoppiò in singhiozzi annunciando la riforma delle pensioni. E le abbiamo viste di nuovo ieri, quando Federico Fornaro si è “commosso” in Parlamento dopo le parole di Giorgia Meloni su Ventotene. Due pianti, due epoche diverse, ma lo stesso filo conduttore: l’Europa della sinistra (o con la sinistra) sembra destinata alla sofferenza. La Fornero rappresenta certamente l’Europa dell’austerità whatever it takes, che imponeva tagli ai cittadini mentre i tecnici si commuovevano davanti ai microfoni. Fornaro, invece, piange per un’Europa “intoccabile” dell’utopia, più che come progetto politico che deve confrontarsi con la realtà. Certo, la Fornero era un “tecnico indipendente”, ma simboleggia perfettamente un modo di intendere l’Europa che la sinistra dem ha sposato partigianamente, quella stessa sinistra che usa Ventotene come la Sacra Bibbia ma non si sognerebbe minimamente di abolire la proprietà privata. Come spesso accade in politica, scendiamo nel campo del simbolico: al di là delle reazioni di pancia, in questo caso di occhi, quanto accaduto è importante per vari motivi.

C’è vita su Europa, oltre i lamenti di Serra

Meloni ha detto chiaramente che esiste un’idea di Europa diversa da quella stracciona, lagnosa e sempre sul punto di implodere, tanto cara a certi intellettuali alla Michele Serra. Un’Europa che non sia solo un grande salotto o un esercizio retorico fine a sé stesso, ma una realtà politica forte e autonoma. Meloni ha anche ribadito una linea governativa pro-europea, ma a modo suo: senza accodarsi al modello burocratico di Bruxelles e, soprattutto, mettendo all’angolo quelle derive sovraniste per finta. La Lega, che per anni ha giocato con il fuoco dell’antieuropeismo di maniera, ora si trova spiazzata. E ancora più spiazzati sono i veterosovranisti alla Rizzo, Vannacci e Alemanno, che coltivano un’idea di Europa come entità da sabotare, più che da rifondare. Il “colpo grosso” però è stato un altro, ed è molto più importante di quale visione o non visione si ha dell’Europa, al di là delle discussioni sulla sua esistenza: certi dogmi possono essere messi in discussione.

Scardinare i tabù: prima lezione

Con quelle parole la Premier, che spesso dimostra più coraggio della sua corte politica e amministrativa, ha toccato ciò che tutti ritenevano intoccabile. E il solo fatto di averlo fatto cambia le regole del gioco. La sinistra credeva e crede di avere il monopolio su certi simboli. Ora si trova a dover difenderli senza sapere bene perché. Non è un caso che la loro reazione sia stata più di smarrimento e fanatismo idolatra che di rabbia vera e propria: quando si iniziano a perdere punti sul tabellone della narrazione, si resta disorientati. Insomma, Ventotene non è il fondamento dell’Europa come la resistenza non è l’inizio della storia italiana: ab origine c’è un mito. Se può esserci un seguito a questo “schiaffo”, non potrà che seguire la strada del riarmo nell’ottica di costruire un’Europa alternativa, che non sia l’ultima ridotta delle utopie radical-chic in salsa anti-trumpiana, ma un soggetto politico serio. Si può e si deve portare l’Italia in prima fila nella ridefinizione di un’Europa più forte, meno succube e speriamo sempre meno retorica.

Sergio Filacchioni

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