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Le mosse di Salvini, le giravolte di Grillo e l’ombra del Mortadella

by Valerio Benedetti
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Roma, 19 ago – Domani sapremo meglio quale sarà l’esito di questa incredibile crisi di governo. E, quindi, di che morte dovremo morire. Quando verrà votata la mozione di sfiducia al governo Conte, infatti, tutto sarà più chiaro. Ma una cosa è già assodata: la crisi ha avuto effetti miracolosi, riuscendo a far resuscitare i cadaveri ormai putrescenti di Renzi e addirittura di Prodi. E questa non è una buona notizia. Ora che la scacchiera si è arricchita di nuove torri e nuovi pedoni, tentiamo di schizzare i possibili scenari che si verranno a configurare nell’immediato futuro.

Salvini genio o suicida?

I fari sono tutti puntati sul giocatore che ha dato inizio alle danze. E che ora, forse, non vorrebbe più ballare. Stiamo parlando di Matteo Salvini, colui che ha aperto la crisi di governo. Una crisi di governo che, a questo punto, potrebbe essergli fatale. Sulle prime, l’azzardo del segretario leghista sembrava calcolato in ogni minimo dettaglio. Adesso, invece, assume le fattezze del più clamoroso degli autogol. Da (futuribile) premier plenipotenziario, il leader della Lega potrebbe infatti diventare il grande sconfitto di ben orchestrate manovre di Palazzo, con conseguente retrocessione a capo dell’opposizione.

Intendiamoci, ancora non sappiamo se Salvini abbia azzeccato o sbagliato tutte le mosse. Le sue ultime uscite, però, paiono trasmettere ripensamento e rimorso: una volta che si è profilata l’eventualità di un governo giallorosso, o governo del «grande inciucio», il leader della Lega ha lanciato manifesti segnali di ricomposizione alla truppa pentastellata. Ricomposizione che, però, è stata categoricamente esclusa dal vertice grillino di Marina di Bibbona: «Salvini non è un interlocutore credibile», ha sentenziato la trimurti del M5S (Di Maio, Grillo e Casaleggio). Tutto lascia quindi presagire un clamoroso ribaltone, con grande scorno di Salvini. Che, infatti, ieri sera ha lasciato trapelare una certa rassegnazione: «Se fanno un accordo sulla spartizione del potere, io i numeri in Parlamento per fermarli non li ho… Questo va detto. Allora ci ritroveremo pacificamente nelle piazze italiane a chiedere il diritto di voto», ha affermato il segretario del Carroccio alla Versiliana, lasciando interdetti i suoi seguaci.   

Movimento 5 Poltrone

È chiaro in ogni caso che Salvini, aprendo la crisi di governo, ritenesse improbabile, o comunque altamente instabile, una colazione M5S-Pd. Sì perché Grillo e le schiere pentastellate hanno costruito il loro successo elettorale proprio grazie alla critica feroce della «vecchia politica», la quale, per loro, ha essenzialmente due volti: quello di Silvio Berlusconi e quello del Pd. Non a caso Di Maio, appena un mese fa, era stato perentorio: «Mai al governo con il partito di Bibbiano». Eppure, il timore di perdere il governo, il consenso e le poltrone ha dato il la al grande giro di valzer. Con i grillini ora propensi ad abbracciare il (fu) nemico Matteo Renzi, pronto a tutto pur di tornare alla ribalta dopo il lungo purgatorio post-4 marzo. Una scelta, quella del bibitaro e del boy scout, che può però fare malissimo a M5S e Pd: un governo raccogliticcio degli sconfitti, attaccato con lo sputo (la paura di nuove elezioni), corre infatti il rischio di portare in dote ai due partiti un’esiziale emorragia di consensi, di durare un amen e di lanciare Salvini verso la maggioranza assoluta. È per questo che la Santa Alleanza aveva bisogno di un garante, di un’eminenza grigia capace di benedire l’incesto dem-stellato. Questo garante, però, non è Mattarella, il quale, anzi, non vede di buon occhio coalizioni dal fiato corto, ma un altro grande vecchio della politica italiana: Romano Prodi.

Il ritorno del Mortadella

Negli ultimi giorni il telefono del premier Conte è squillato molto spesso. E, dall’altra parte della cornetta, c’era proprio Prodi. L’ex leader dell’Ulivo, infatti, si sta ritagliando un ruolo decisivo per il buon esito delle trattative tra Pd e M5S. Di più: ha trovato pure un nome alla nuova coalizione. In un calibratissimo editoriale sul Messaggero, Prodi ha scritto: «Forse bisognerebbe battezzare questa necessaria coalizione filo europea Orsola, cioè la versione italiana del nome della nuova presidente della Commissione europea. Non so se si possa chiamare una coalizione con un gentile nome femminile ma credo che, in questo caso, il gesto avrebbe un preciso significato politico». Il riferimento è quindi all’elezione di Ursula von der Leyen, che è stata il momento d’intesa tra dem e pentastellati in chiave antisovranista e anti-Salvini. Un nome che è tutto un programma (europeista), insomma.

Ma che cosa guadagnerebbe Prodi dal suo ruolo di garante/intermediario/faccendiere? Nientemeno che la presidenza della Repubblica. Non è un mistero, infatti, che il «Mortadella» punti da anni a incistarsi al Quirinale. E, se il governo Ursula durasse per tutta la legislatura (cioè fino al 2023), la maggioranza dem-stellata potrà scegliere anche il prossimo capo della Stato (2022). Che, a quel punto, potrebbe essere esattamente Prodi. Ma c’è di più: per far sì che l’inciucio abbia vita lunga, tutte le forze della sinistra devono mettersi in moto. «Non mi stupirei se, nei prossimi giorni, ricevessi una richiesta di processo», ha detto Salvini sempre ieri sera. Potrebbe essere questo, in effetti, il grande disegno degli «orsolani»: fare fuori Salvini così come venne fatto fuori Berlusconi nel 1995. Saltato il governo per il «tradimento» di Bossi, il Cav fu allora attaccato dalla magistratura con una sequela di processi che non gli diedero tregua. Poi, il «traghettatore» Lamberto Dini portò la nave sino alle elezioni del 1996, dove l’Ulivo di Prodi passò all’incasso.

Ecco, questo è il grande rischio che corre Salvini: perdere tutto, proprio quando poteva avere tutto. Rischio calcolato? Potrebbe essere. Finora il segretario leghista non ha sbagliato una mossa, e anche questa volta – contro ogni pronostico – potrebbe aver messo tutti nel sacco. È un’eventualità a cui si fatica a credere, certo, ma non possiamo escluderla a priori. Ad ogni modo, per sapere se lo scenario (apocalittico) giallorosso prenderà effettivamente forma, non ci resta che aspettare il voto in Senato di domani.

Valerio Benedetti     

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Fabrizio 19 Agosto 2019 - 1:13 Reply

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