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Così gli spot anti-bullismo creano ragazzi soli (e un po’ stronzi)

by Adriano Scianca
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Roma, 24 feb – La categoria sociologico-criminale del “bullismo” è già controversa di per sé, avendo l’aria di essere un’etichetta senza contenuto, buona solo per veicolare battaglie politicamente corrette. Basta partire da un caso di cronaca effettivamente censurabile per poi estendere la conseguente indignazione a ogni forma di esuberanza giovanile. L’ultimo spot anti-bullismo del Miur riesce però a fare di peggio: manca persino il buon preteso. La clip mostra uno studente preso di mira dai compagni perché “non passa i compiti”, con seguente cazziatone della prof interpretata da Ambra Angiolini.

Ma perché incentrare uno spot su un ragazzino che non passa i compiti? Perché non rappresentarne uno perseguitato con chissà quali motivazioni abiette? Intendiamoci, qui non si vuole giustificare alcuna violenza per motivi tanto futili quali, appunto, il comportamento tenuto da un ragazzino durante un compito in classe. È però eloquente di tutta una mentalità il fatto che qualcuno, al Miur, abbia pensato di fare del ragazzo che non passa i compiti il nuovo eroe postmoderno. Che fra compagni di scuola ci si debba aiutare, che i tuoi obblighi, quando sei un ragazzino, siano innanzitutto verso chi è tuo coetaneo, chi come è sulla tua stessa barca, anziché verso l’istituzione, era qualcosa che fino a qualche tempo fa non era nemmeno il caso di specificare, andava da sé. E non è questione di “leggi della strada” o formule altisonanti da descrizione Facebook. È semplice natura, mero buonsenso.

In questa visione vagamente boldriniana dei rapporti sociali, invece, ognuno di noi è un singolo slegato da ogni appartenenza e soggetto unicamente all’autorità. Non c’è alcun legame orizzontale (gli amici, la comunità, la nazione stessa), ci sono solo atomi individuali con rapporti unicamente verticali, ovvero nei confronti del potere. Tu non sei parte di nulla, fosse anche una mera appartenenza generazionale, amicale o, appunto, scolastica. Tu hai solo i tuoi diritti di vittima da far valere e ordini da eseguire. Ovviamente se si tornasse a far valere (sia per il “bullo” che per il “bullizzato”) la cara e vecchia solidarietà generazionale, se si lasciassero alla gioventù i suoi spazi, i suoi riti e le sue regole, la stessa piaga del cosiddetto bullismo forse verrebbe ridimensionata. Perché in fin dei conti chi “non passa i compiti” agisce in base a un individualismo di fondo che non è molto diverso da quello di chi ama umiliare il più debole, anche se quest’ultimo si fa forte del conformistico assenso degli altri. Vittime e aguzzini sono, in fin dei conti, i due prodotti prediletti dalla pedagogia sociale in atto.

Adriano Scianca

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3 comments

nemesi 24 Febbraio 2017 - 6:42

teribbbile !

qui Ambra sembra la sorella della Boldrini !

ma ho notato solo io la “faccettina” accigliata in perfetto stile Presidenta/essa ?

ah ah ah !!!

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ugo 24 Febbraio 2017 - 9:59

Una società culturalmente omogenea, compatta non ha bisogno di autorità, al più ha bisogno di autorevolezza riconosciuta. Forse anche per questo si fa di tutto per distruggere l’omogeneità e la compattezza dei corpi sociali, diluendoli in un non-si-sa-che multi-tutto? Per rendere desiderabile un’autorità repressivamente regolatrice anziché un’autorevolezza che proponga indirizzi spontaneamente riconosciuti come “buon senso” dai più? Bella domanda, eh?

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Roberto 26 Febbraio 2017 - 1:10

Commento interessante. Ottimo spunto di riflessione.

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