Roma, 14 dic – È notizia fresca che i giudici albanesi abbiano fermato, sia pur temporaneamente, la ratifica dell’intesa sull’immigrazione con l’Italia circa un mese e mezzo fa. La Corte costituzionale albanese, su pressione dell’opposizione, ha infatti frenato la firma definitiva dell’accordo, prevista per domani, come riporta l’Ansa.
I giudici albanesi frenano l’accordo sull’immigrazione con l’Italia
La Corte Costituzionale albanese ha dunque accettato di esaminare due ricorsi presentati dall’opposizione. Ci sarà una sentenza che dovrà arrivare entro due mesi. Palazzo Chigi, per il momento, non commenta, ma si dice certo che la firma ci sarà. Ma indipendentemente dalla contropartita prevista in senso “europeo”, c’è da riflettere su un fatto: gli albanesi possono rifiutarsi eccome di percepire un fenomeno tanto drammatico come quello dell’immigrazione. E nelle mani degli altri non si è mai al sicuro, ecco perché.
Un insegnamento chiaro
Tutto può succedere, anzi è perfino probabile che la ratifica avverrà. Ma è il principio stesso ad insegnarci, per l’ennesima volta, che la retorica strabordante degli ultimi decenni su quanto siamo piccoli e incapaci sia stata uno dei grimaldelli principali per la perdita della sovranità nazionale e non solo: addirittura della capacità di uno Stato, qualsiasi Stato, di controllare i propri confini. Ci si rivolge all’Ue, ci si rivolge all’Albania, si prova a far ragionare i vari Emmanuel Macron, Olaf Scholz o – per chi voglia vederla in modo diverso – Viktor Orban. Non è così che funziona e che mai funzionerà. A voltegli altri possono essere convinti, a volte no, ma specialmente su un tema così delicato è impensabile andare a sperare sempre nella collaborazione altrui. Sono sbagliati filosoficamente e politicamente i ricollocamenti, ma in generale è sbagliato non provare a riappropriarsi del proprio sacrosanto monopolio di controllo del territorio e dei confini.
La debolezza con cui lo Stato italiano “cerca aiuto” è la ragione stessa del suo fallimento: e si tratta di un concetto universale, indipendente da quale partito o formazione politica sia al governo. Un mondo più normale, più giusto, certamente non perfetto, è un mondo in cui l’Italia è in grado di bloccare gli arrivi sulle sue acque territoriali, con mezzi militari se è necessario. Il fatto che Romano Prodi – non certo un fascista facinoroso – potesse farlo negli anni Novanta e che nessun governo possa farlo negli anni recenti e nel presente (neanche il Matteo Salvini gialloverde ha potuto solo immaginare di avviare operazioni di quel tipo) è il vero dramma. E non ha ragione di esistere, perché l’Italia era “piccola” come potenzialità negli anni Novanta come adesso. Oggi è perfino più piccola e più insignificante, bisognosa di firmare accordi per ambiti che dovrebbero rientrare pienamente nelle sue prerogative e diremmo di più: nei suoi sacrosanti diritti di Stato sovrano, se un giorno tornerà mai ad esserlo, almeno in parte.
Stelio Fergola