(la prima parte dell’articolo è consultabile qui)
Roma, 1° mag – Quanto alla seconda questione, ossia il ritorno alla democrazia e alla libertà grazie all’entrata in vigore della Costituzione repubblicana, non si possono tacere alcune criticità. L’auspicio di un autorevole costituzionalista, quale fu il prof. Oreste Ranelletti (1868-1956), per cui la lotta politica del dopoguerra doveva svolgersi in termini non solo di libertà, ma anche di ordine e di giustizia, non trovò riscontro nel Testo fondamentale, trasformandolo in un campo caratterizzato da vaghe enunciazioni politiche e sociali (basti solo pensare alle diverse interpretazioni che la Corte costituzionale ha dato negli anni del principio personalista di cui all’art. 2).
Il “costituzionalismo”
Le contemporanee Costituzioni «patteggiate» sono caratterizzate da una sostanziale indifferenza nei confronti della giustizia con la conseguenza che i diritti e le libertà sono tali perché così decisi dalle forze politiche che riescono ad imporsi in un dato momento storico. Lo stesso bilanciamento dei diritti, tecnica operata sovente dal giudice delle leggi, diventa compromesso, o meglio mero equilibrio di poteri effettivi. Anziché regola per la società (come ad esempio nel progetto di Costituzione del Ministro dell’Educazione nazionale della Repubblica sociale italiana, prof. Carlo Alberto Biggini, elaborato nell’autunno del 1943), la Costituzione è divenuta strumento per la realizzazione di qualsivoglia progetto (come sostiene il costruttivismo) o di qualsivoglia compromesso (come ritiene la dottrina politologica dello Stato).
Il costituzionalismo, in questo modo, approda ad un’eterogenesi dei fini: anziché favorire un ordine politico, incrementa (grazie al continuo bilanciamento) l’accentuazione dei conflitti, mettendo a rischio gli stessi diritti e la stessa convivenza civile. Oggi le Corti costituzionali, ha scritto la prof.ssa Marta Cartabia (Vice-Presidente della Corte) con Luciano Violante in un recente libro, Giustizia e mito. Con Edipo, Antigone, Creonte, devono essere «custodi dei valori costituzionali» e svolgere al contempo una «funzione dinamizzante dell’ordinamento». Qual è, però, il punto di equilibrio tra la custodia e la dinamizzazione? Attraverso questa lettura interpretativa il destino che ci attende non è il trionfo della libertà, fondata sulla natura dell’uomo, dell’uomo quale parte organica di una comunità, ma il relativismo che ha come suo destino ultimo il nichilismo. A chi obietta che questo modo di ragionare è revisionismo, come fanno alcuni quotidiani faziosi quali la Repubblica, è doveroso replicare che la storia, se da un lato certamente non si nega, dall’altro consente sempre nuovi approcci, nuove interpretazioni che i dogmatismi ideologici di una certa stampa impediscono di vedere.
La Resistenza come “secondo Risorgimento”?
La Resistenza non fu un «secondo Risorgimento», come ha recentemente sostenuto a Vittorio Veneto (Treviso) il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, dal momento che mentre l’Italia unita è nata da un accordo tra partiti diversi, ideologicamente contrapposti e politicamente antagonisti, che ha trasformato la sconfitta nella prima guerra di indipendenza del 1848 nel successo del 1859-1860, quella repubblicana è nata dal risentimento, da una guerra di italiani contro italiani. L’esperienza della Repubblica sociale italiana, con i suoi diversi progetti di Costituzione (addirittura la proposta di una Confederazione europea: il c.d. progetto Galimberti-Rèpaci), dimostra invece come il fascismo stesso intendesse pervenire ad una democrazia organica la quale avrebbe evitato alla Patria inutili vendette e spargimenti di sangue.
Agire per sentimento, non per risentimento
Riporta il giornalista Ivanoe Fossani, che raccolse un soliloquio del Duce durante la notte del 24 marzo 1945 presso l’isola Tremellone nel Lago di Garda, poi trascritto e confluito nell’opera Mussolini si confessa alle stelle pubblicata nel 1952: «I fascisti dovranno agire per sentimento, non per risentimento. Chi agisce diversamente dimostrerebbe di ritenere che non è più Patria quando si è chiamati a servirla dal basso». Oggi molti hanno raccolto questa eredità, altri, purtroppo, vivono ancora nell’insulto, nell’offesa verso coloro che non tradirono.
Daniele Trabucco – Associato di Diritto Costituzionale Comparato e Dottrina dello Stato presso l’Istituto INDEF di Bellinzona (Svizzera).
Michelangelo De Donà – Dottore di ricerca in Storia-Università degli Studi di Pavia.
Professore a contratto di Diritto dell’Unione Europea presso il Campus universitario Ciels/Unimedia di Milano.