Roma, 19 ott – Cento anni fa, tra il 7 e il 8 novembre 1917 (25 e 26 ottobre, nel calendario giuliano) avveniva l’insurrezione decisiva della Rivoluzione d’Ottobre. Il comunismo passava dall’ideologia alla pratica. Con questo contributo di Gabriele Adinolfi inauguriamo un nostro speciale su questo anniversario e sul significato che esso può rivestire per noi, oggi [IPN]
Ce n’è per tutti, quasi una per ognuno di quelli che l’osservano.
Parlo della Rivoluzione d’Ottobre (che nel nostro calendario ebbe luogo il 7 novembre del 1917). Impossibile liquidarla in due parole o in un solo concetto. Si trattò di un fenomeno metafisico, sacrale, impegnato nell’inversione dei simboli e della riproposizione del tellurismo informe? Sicuramente, tanto che dietro al materialismo storico troviamo delle suggestioni per l’immortalità della stessa materia, immaginata come produttrice di energia e di spirito, che si sono spinte fino ai tentativi di far resuscitare Lenin dopo la morte.
I legami con le intelligence e con la teosofia, le filiazioni kabbaliste del nucleo ebraico predominante, confermano questo taglio controiniziatico che non ebbe difficoltà nell’alimentarsi con i rancori, le invidie, le gelosie scatenate dall’ideologia comunista. In Nuovo Ordine Mondiale tra imperialismo e Impero ho avuto peraltro modo di interpretare la rivoluzione bolscevica come l’affermazione del Quarto Stato nella destrutturazione progressiva del modernismo a cui facevo succedere l’attuale età dei Parìa, quella della Mondializzazione. La Rivoluzione Bolscevica fu dunque legata a centrali controiniziatiche che la favorirono? Indubbiamente, visto che fu foraggiata dalla finanza apolide e particolarmente dalla Casa Bianca, che fornì perfino il passaporto a Trotsky, e soprattutto da Wall Street. Senza le armi e i milioni degli Usa – molti più degli iniziali capitali svizzeri e turchi ottenuti da Parvus – e senza la complice mediazione della Croce Rossa a guida americana, non ci sarebbe stata rivoluzione; se poi ci fosse stata, l’Armata Rossa avrebbe perso la guerra civile; se infine l’avesse vinta, la neonata Urss avrebbe fatto bancarotta.
Fatte queste premesse, sarebbe stupido liquidare il tutto alla loro esposizione. Perché il bolscevismo sarà anche figlio della Controiniziazione e della Finanza, ma fu al tempo stesso un titano ribelle ai suoi padri ed è soprattutto difficile affermare chi dominò chi: i comunisti furono agenti degli usurai o questi erano e sono intimamente comunisti, come aveva affermato proprio Trotsky? Arduo avanzare un’affermazione netta e decisiva sull’argomento. Di certo non si possono ridurre Lenin, Trotsky e neppure lo stesso Stalin a burattini altrui, a me sembra più corretto considerarli dei rivoluzionari che trattavano non con dei loro padroni ma con delle nature a loro affini. E questo spiegherebbe anche perché tanto gli Usa quanto l’Inghilterra armarono e finanziarono poi Mosca fino a tempi più che sospetti, a Guerra Fredda bene avviata.
Ma che effetti produsse la Rivoluzione d’Ottobre?
La Rivoluzione Bolscevica segnò indubbiamente una cesura nella storia. Non solo e non tanto per la ferocia, il bagno di sangue e l’intervento del Terrore rosso, perché dobbiamo contestualizzare. Bisogna contestualizzare culturalmente, perché in quelle terre la ferocia subumana è una regolarità a tal punto che Napoleone si rifiutò di armare i Mugik contro lo Zar in quanto non era disposto ad essere egli la causa di carneficine terrificanti. E bisogna contestualizzare storicamente, visto che nel 1917 siamo nel pieno dei massacri della Grande Guerra e c’è assuefazione a veder morire la gente come mosche. La cesura nella storia venne segnata non tanto dalla ferocia in sé quanto dall’avvento di una fredda spietatezza in cui l’individuo era al servizio della macchina e andava a destrutturare la personalità in ogni forma, fino a produrre arte e urbanistica volutamente brutte e nemiche dell’estetica.
E qui si rivela l’anima autentica del comunismo e la distanza inseparabile dal mondo grecoromano. Mentre per quest’ultimo la personalità è centrale anche se va filosoficamente superata in alto, per lo spirito comunista è nel sub-personale che si deve retrocedere a qualsiasi costo. La Rivoluzione Bolscevica segnò anche una cesura nel movimento socialista che aveva colorato e acceso di speranze le società occidentali nei decenni finali del XIX secolo e gli inizi del XX. Quel movimento si sarebbe diviso in tre tronconi, il comunista, il socialdemocratico e il fascista, che si sarebbero combattuti aspramente tra loro. Noi possiamo rileggere la storia a ritroso e allora tutto rientra negli schemi, ma se contestualizziamo una volta di più ne facciamo di belle scoperte. La prima è che senza i socialdemocratici che schiacciarono la rivoluzione spartakista a Berlino e senza i fascisti che vinsero la guerra civile con i rossi in Italia, quasi tutta l’Europa sarebbe stata bolscevica entro il 1921. La seconda è che il cordone ombelicale socialista non venne reciso tanto presto. Basti pensare che il primo scontro cruento tra fascisti e rossi a Milano fu iniziato da una camicia nera che caricò gridando “Viva Lenin!”. Lo stesso Lenin, poi, era un ammiratore di Mussolini il quale, a sua volta, non appena al governo, riconobbe il governo di Mosca. Il Cremlino, infine, prima dell’avvento di Stalin, riconobbe come suo corrispondente ufficiale il solo Bombacci. Se ci ricordiamo che nel 1920, in piena guerra civile, Mussolini propose ai socialisti di smettere di combattersi ma di allearsi per insorgere insieme e se aggiungiamo che fino all’Affare Matteotti del governo Mussolini facevano parte dei socialisti, ci rendiamo conto che la storia è meno lineare di come la imbalsamiamo.
Il resto è noto: il comunismo si alleò con il capitalismo e gli consentì di vincere la guerra contro i popoli, e tutto questo seppellisce ciò che poteva essere e non fu. Resta da trarre il bilancio, ma quale? Il sistema sovietico è durato sette decenni ma sempre con la stampella americana, poi è crollato su se stesso. Il comunismo in Europa dell’Est non ha lasciato che rovine, può vantare solo la piena occupazione ma in un regime di fame e, come reazione alla sua brutalità quotidiana, il mantenimento di una certa elementarità positiva che si è invece andata perdendo in Occidente durante la dissoluzione avanzata. Una dissoluzione avanzata e liberal che, ironia della sorte, è opera soprattutto di individui che hanno sognato per anni la Rivoluzione d’Ottobre e che oggi sono attanagliati dalla nostalgia quanto prigionieri della dissociazione.
L’Urss invece di essere comunista fu capitalista di stato così come essi dicono, dissociandosi? Molti comunisti e soprattutto i leninisti accusano Stalin di tradimento, di controrivoluzione. Non discuto; quello che noto, per parte mia, è che se il comunismo stalinista è stato un sistema capitalista imperfetto e fallimentare, al tempo stesso il capitalismo, anche quello turboliberista, è andato di gran carriera verso l’edificazione di una società senza frontiere, senza etnie, senza religione, senza identità, e minaccia produzione e proprietà privata quando non in mano a società anonime, finanziarie o holding. Peraltro procede alla proletarizzazione planetaria e all’uniformità.
Se il regime stalinista ha avuto il torto di trasformare il comunismo in una macchina del capitale, forse si può dire altrettanto del capitale di oggi, macchina del comunismo degli spiriti e delle mentalità. Difficile quindi dire con certezza assoluta se la Rivoluzione Bolscevica sia stata un fallimento o un successo. E penso che nessuno possa affermare l’una o l’altra cosa a cuor leggero.
Per quanto mi riguarda ritengo che la cosa più importante sia studiare e capire la mentalità e la tecnica che consentirono a Lenin, minoritario ovunque, anche tra gli stessi bolscevichi, di fare la rivoluzione basandosi su quadri preparati e soprattutto sul nerbo dei sottufficiali della Rivoluzione. E anche di comprendere con quale spirito e con quali forme Trotsky riuscì ad organizzare un’armata e vincere una guerra civile già perduta. Lì abbiamo qualcosa da imparare e, per quanto riguarda quest’aspetto, la Rivoluzione Bolscevica fu indiscutibilmente un successo. Noi ne abbiamo altri da vantare, ma c’è sempre qualcosa da apprendere, soprattutto oggi che si parla tanto e si sentenzia a tutto spiano ma si studia pochino.
Gabriele Adinolfi
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