Roma, 2 gen – In quella nobile corrente di pensiero che da Eraclito in poi identifica nelle tensioni oppositive il carattere fondamentale della vita, il generale prussiano Carl von Clausewitz (1780 – 1831) e la sua monumentale opera incompleta Della Guerra si erge tra i pesi massimi e tra gli autori più importanti. La recente riedizione di alcune parti significative tratte dall’opera maggiore per la collana Bur minima (122p., 7 euro) fornisce l’occasione per rinfrescare la memoria sui fondamenti strategici dell’arte della guerra, che è poi, per Clausewitz, arte politica per eccellenza e, infine, essenza della vita stessa. «La guerra di una comunità, di interi popoli, e particolarmente di popoli civili, deriva sempre da una situazione politica, è sempre causata da un motivo politico. È dunque un atto politico».
La guerra è un’arte perché influisce operativamente nel mondo circostante. In quanto tale deve essere reale, deve cioè rispondere a esigenze di concretezza, logica e disciplina d’azione. Una dottrina di tale specie non può dunque irrigidirsi su schemi comportamentali fissi, ma deve fondarsi su alcuni principi chiave e mantenere una grande elasticità, una grande capacità di operare in condizioni mutevoli. Da questo punto di vista strategia, tattica e visione oppositiva forniscono un efficace stimolo a un ampio spettro di attività umane. L’autore definisce la guerra come un atto di forza attraverso il quale ridurre l’avversario al proprio volere. La massima successiva da tenere a mente è la celebre: la guerra è la continuazione della politica con altri mezzi. Dunque la politica si dispiega nel suo pieno potenziale attraverso un atto oppositivo a cui partecipano due fronti contrapposti, due forze vitali impegnate a far prevalere il proprio interesse.
La profondità del testo non è puramente tecnica, ma approfondisce l’osservazione su quel vasto campo di caratteri dell’essere umano che si esprimono nella guerra. «La guerra, che è atto di forza, è di necessità anche faccenda dell’animo. Se non vi ha direttamente origine, vi ritorna più o meno, e questo più o meno non dipende dal grado di civiltà, ma dall’importanza e dalla durata dell’intento ostile». Il conflitto è questione umana e in quanto tale coinvolge in profondità non soltanto i gradi della gerarchia militare, ma anche i popoli e l’interiorità degli uomini. In Clausewitz, per quel poco che si può cogliere da una riduzione di un centinaio di pagine, sono contenute in nuce le osservazioni che in modo più approfondito appariranno dopo la Grande Guerra sulla mobilitazione totale e l’estensione della conflittualità a ogni aspetto della vita quotidiana. La guerra è questione che affonda nell’animo umano, chiama in causa ambizioni grandi e piccole, obbiettivi politici più o meno importanti e a seconda del caso spinge a un impiego di forze proporzionato alle motivazioni. La lotta di uomini in armi evoca una decisione elementare all’azione, spinge a operare per gradi (tattica) allo scopo di conseguire lo scopo finale (strategia). Perciò la grandezza del generale, degli alti gradi e in ultimo del genio militare riposa in quello che l’autore definisce autodominio.
Fattori determinanti che compongono il mosaico della strategia militare sono l’ora, il luogo, gli armamenti e il morale, tutti fattori che complicano la visione d’insieme e impongono una scelta di obiettivi principali e secondari che solo una mente lucida, controllata e abituata ad agire in base al calcolo delle probabilità dell’esperienza bellica riesce a condurre al successo. Quindi la guerra è una totalità che deve tenere conto dei moti dell’animo umano dai gradi più semplici dell’esercito, condotti attraverso un metodo operativo quasi meccanico, fino al massimo grado che, con capacità elastica e pieno autocontrollo, deve coordinare la grande massa delle operazioni tattiche al conseguimento di un ristretto numero di obbiettivi chiave. «Il principio è anch’esso una legge per l’azione, ma nel suo significato, formale definitivo non ne è che lo spirito, il senso, per potere lasciare al giudizio più libertà nella sua applicazione».
La guerra è il campo del prevedibile, secondo l’esperienza, e dove non vi è nulla di certo. Il confronto di volontà e forze mette sempre in campo una variabile, un’incognita, che solo la decisione come atto sovrano dipana e semplifica. La guerra è prima di tutto disciplina, autodominio e agire strategico, quindi paziente e progettuale, attraverso operazioni tattiche, cioè circoscritte e limitate. Quella del generale prussiano è una visione dell’uomo e del mondo che dispiega al massimo grado e in uno specifico campo di competenze la massima stoica vita est militia super terram.
Francesco Boco